Roma, 1968
Erano un paio d'anni che Rebecca non aveva un appuntamento. Aveva vent'anni e l'unica cosa che desiderava era incontrare un ragazzo che si innamorasse di lei e forse quel giorno era arrivato. Aveva incontrato Roberto al bar sotto casa dove lei lavorava, avevano scambiato due parole e lui le aveva chiesto di uscire. Si erano messi d'accordo per sabato sera sotto la lampada Osram, la lampada che avevano fatto installare otto anni prima in onore delle olimpiadi.
Erano le otto e Rebecca iniziò a guardarsi intorno, sperando di vederlo arrivare. Lei era sempre in anticipo, ma ora erano le otto e poteva rilassarsi.
La stazione Termini era gremita di gente: gente che arrivava e tornava, gente che saliva sui taxi in coda e che suonavano il clacson all'impazzata; i tram erano così pieni di persone che sembrava dovessero implodere da un momento all'altro; gli edicolanti che vendevano i biglietti del bus non respiravano un secondo, non avevano nemmeno il tempo di bere un goccio d'acqua per riprendersi dal caldo afoso che c'era. Nonostante fossero le otto e fosse una sera dei primi di giugno, Roma era afosa e calda. Rebecca però soffriva di mal di gola, così si era portata un foulard che si annodò al collo.Guardò l'orologio: le otto e dieci.
Roberto era in visibile ritardo; forse aveva avuto un inconveniente. Sapeva che lavorava in un alimentari aperto fino a tardi, ma quel giorno era libero, glielo aveva detto più volte mentre decidevano a che ora e dove vedersi.
Rebecca si strinse nelle spalle e sorrise a se stessa: era così felice di quell'appuntamento che non stava più nella pelle! Immaginava già lui che la prendeva per mano e si scusava, poi le dava un bacio dolce sulla guancia.
Quando si rese conto che erano le otto e un quarto, iniziò ad agitarsi:"Tra poco arriverà. Cosa dovrò dirgli? Come stai?". Rebecca non era solita uscire con molti ragazzi e sapeva che si sarebbe imbarazzata e sarebbe arrossita come sempre; iniziò anche a fantasticare su come poteva essere vestito, chissà se si sarebbe messo quei pantaloni che le piacevano tanto, quelli che aveva indosso quando si erano visti per la prima volta. Cominciò a chiedersi anche se le avrebbe portato dei fiori o dei cioccolatini, ma a lei in fondo non le importava: voleva solo dirgli che le piaceva tantissimo e si chiese se sarebbe bastata mezz'ora -il tempo che ci voleva da Termini al centro- per dirgli tutte queste cose.
Il tempo passava e la gente continuava ad entrare e uscire dalla stazione, ma Roberto non si vedeva.
Un bambino iniziò a piangere disperato e la mamma si sedette vicino a Rebecca e gli preparò un po' di latte nel biberon.
<<Mi scusi signorina, ma se non faccio così questo mi piange per tutto il tragitto fino a casa!>>
<<Non si preoccupi. Ma il latte non sarà freddo?>>
<<Oh no. L'ho scaldato poco fa a casa di mia madre, proprio perchè sapevo che questa è l'ora della pappa. Ma non potevo trattenermi lì. So che per alcune persone è fastidioso un bambino che piange.>>
Rebecca sorrise:<<Ma no, faccia con comodo.>>
<<Sa dirmi l'ora?>> Aggiunse poi la ragazza, guardando la donna negli occhi.
<<Le otto e venti, cara.>>
Mentre conversava con la donna, quattro ragazzi con il coupè si fermarono davanti a loro. Quello che stava al volante si sporse dal finestrino:<<Bella. Sai per caso dove sta via Boncompagni?>>
Rebecca guardò la donna che rispose al posto suo:<<Stai fuori strada caro. Sinceramente non so spiegarti bene.>>
I quattro ragazzi fecero un cenno con la testa e rimisero in moto la macchina partendo a tutto gas.
<<Che facce da galera, quei quattro.>>
Rebecca sorrise, poi tornò ai suoi pensieri. Ma dove era finito Roberto? Possibile che fosse in ritardo di venti minuti?
<<Cara, sono le otto e venticinque. Non dovresti stare qua tutta sola.>> Disse la donna alzandosi. Poi mise a posto il biberon e ripose il ragazzino nella carrozzina. Un profumo di lillà arrivo alle narici di Rebecca, forse il profumo della donna.
<<Sto aspettando una persona.>>
<<Oh capisco. Beh allora ti lascio. Ci si vede in giro, ciao tesoro.>>
La donna si allontanò lentamente, la scia di lillà dietro di lei.
Rebecca si sedette al posto della signora e guardò la grande lampada sopra di lei: era assurdo il ritardo di Roberto. Non appena fosse arrivato gliene avrebbe detto quattro e avrebbe messo il muso a meno che lui non l'avesse portata da qualche parte per farsi perdonare. Secondo lei era un tipo romantico, magari l'avrebbe portata davanti un tramonto, a quell'ora a Roma c'era ancora un po' di sole e sarebbe stato bello salire verso le scuderie del quirinale e vedere il sole che scendeva sulla città eterna. Sarebbe stato magnifico! Rebecca lo avrebbe sicuramente perdonato e il muso non sarebbe durato più di qualche minuto.
Sorrise di nuovo pensando a quel tramonto e a tutte le cose che lui le avrebbe detto lì davanti, magari l'avrebbe anche baciata e le avrebbe anche regalato una rosa.
La gente iniziava ad essere sempre di meno, la calca sui tram era sparita e i taxi camminavano più velocemente; Rebecca guardò l'orologio: le otto e trenta. Diede un'altra occhiata intorno, ma di Roberto nemmeno l'ombra. Si alzò lentamente e capì in quel momento che lui non era in ritardo: non sarebbe venuto. Vide in lontananza un tram arrivare, alcune persone corsero per non perderlo, aumentò anche lei il passo e il rumore sul selciato si fece più forte.
<<Biglietto signorina.>> Disse il conducente. Lei glielo passò, con aria smarrita e triste. Si voltò un'ultima volta verso la lampada, ma a parte il cerchio luminoso che formava per terra, non c'era nulla, non c'era nessuno. Si sedette sconsolata al primo posto vuoto che trovò, sciolse il foulard che aveva al collo e appoggiò la testa al finestrino. Il tram partì e lei non si voltò più verso la grande lampada vicino la stazione.
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amoR- Amore nella città eterna
Chick-LitUna raccolta di racconti di fantasia, tutti d'amore e tutti ambientati a Roma. Dagli anni '50 sino ai giorni nostri, l'amore raccontato in mille modi diversi tutti in grado di emozionare e sulle note delle canzoni d'amore italiane più belle.