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Kieran scese dall'auto e si incamminò verso l'edificio bianco che aveva di fronte

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Kieran scese dall'auto e si incamminò verso l'edificio bianco che aveva di fronte. Inforcò gli occhiali da sole; un sacchetto di carta marrone gli penzolava dalla mano, dentro c'era una sua maglietta autografata che stava per consegnare a un bambino di nome Matteo, ricoverato in quella clinica.

Era rientrato a Milano la sera prima, insieme a tutti gli altri. I tre giorni trascorsi a Goteborg erano stati pazzeschi, carichi di energia positiva ed emozioni intense.

Sveva. Aveva solo lei nella testa e l'aveva avuta per tutto il tempo che erano stati insieme. Dopo quell'episodio della piscina, quando era stato sul punto di baciarla, non era più riuscito a trattenersi e non era nemmeno stato capace di inventarsi qualche scusa per spiegare l'attrazione che sentiva. Quel giorno a Goteborg tutti si erano accorti di come ricercava avidamente la sua compagnia. Avevano parlato tanto, loro due da soli, sempre un po' appartati rispetto al gruppo e sempre sotto lo sguardo attento di Serena e Mark. E durante quelle loro conversazioni Sveva gli aveva raccontato di un bambino, Matteo, che era ricoverato nella clinica dove stava lavorando e che era un suo fan sfegatato. Così Kieran aveva deciso di fare una sorpresa al bambino, ma in realtà quella era solo una scusa per rivedere Sveva.

Voleva invitarla a cena, magari a casa sua per non dare troppo nell'occhio.

Si aggiustò i capelli specchiandosi nella vetrata dell'ingresso e varcò la soglia. Come avrebbe fatto a dirle qualcosa che persino lui faticava ad accettare? Sveva, la ragazza più antipatica che avesse conosciuto, ingessata, bacchettona e miss so tutto io gli era entrata dentro come mai nessuna.

Non era possibile. Eppure il solo pensare a lei gli faceva spuntare un sorriso sulle labbra e quando erano insieme non faceva altro che guardarla, spinto da un'attrazione totale a cui non sapeva resistere. Era ammaliato da tutta la sua figura, ogni volta che la guardava scopriva particolari che lo facevano impazzire, come il modo in cui inclinava la testa quando prestava attenzione o come si scostava i capelli dal volto con le dita affusolate e delicate. Avrebbe voluto scostarli lui, quei capelli. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sfiorarle la pelle, smarrirsi nei suoi occhi e assaporare finalmente le sue labbra carnose. Quel desiderio di averla, di stringerla tra le braccia e respirare il suo odore, era così forte da fare male.

Si avvicinò allo sportello informativo e chiese della dottoressa Sveva Romanini. Terzo piano, corridoio di destra, gli fu indicato dalla signora con un marcato accento del sud. Salì le scale a due a due, imboccò il corridoio di destra e la vide subito. Veniva con un altro dottore nella sua direzione, indossava il camice bianco e sotto un paio di jeans. Era molto presa dalla conversazione e si accorse di lui quando erano ormai a pochi passi di distanza. Gli sorrise, sul volto l'espressione di stupore e felicità più bella che Kieran avesse mai visto. All'improvviso non sapeva più cosa dire né perché si trovasse lì. Sorrise come un ebete.

«Ciao, Sveva.»

«Kieran! Professore, lui è Kieran Blom, un compagno di squadra di mio fratello.»

«Certo, lo conosco! Molto piacere, Mario Turriani.»

Lo svedese strinse la mano al dottore. «Sono venuto a portare la mia maglia a Matteo, il bambino di cui mi hai parlato l'altro giorno.»

«Ne sarà felicissimo» rispose il professore.

«Che bel pensiero. Ti accompagno nella sua stanza.»

«Io vi lascio. Sveva, ci vediamo dopo.»

Il professor Turriani si allontanò.

«Non mi aspettavo di vederti. Non avevi da fare con Enrico stamattina? Mi ha detto che dovevate organizzare la festa a sorpresa per il compleanno di Valentina.»

Kieran non riusciva a pensare a nient'altro che alle labbra di Sveva. Sì, aveva un appuntamento con Enrico, ma lui poteva aspettare. Si decise a chiederle di uscire a cena con lui. Una sola cena, per capire tutto. «Lo raggiungo tra poco. Ascolta, stasera...»

«Dottoressa.»

Un'infermiera si era fermata accanto a Sveva. Le consegnò alcuni fogli. «Questi sono i risultati delle sue analisi. E il dottor Minno dice se può raggiungerlo un attimo nella sua stanza.»

Lei raccolse le carte e congedò la ragazza. «Digli che arrivo subito. Kieran, puoi aspettarmi solo un secondo? Puoi andare nel mio ufficio, verso la fine del corridoio, c'è scritto il mio nome sopra. E poggiami queste sulla scrivania.»

Kieran prese le analisi e si incamminò. Che diamine, il dottor Minno doveva rompere proprio in quel momento? Lesse i nomi sulle targhette vicino alle porte chiuse fino ad arrivare davanti a quella di Sveva. Girò la maniglia e accese la luce. La stanzetta era piccola e bianca, troppo bianca. Un computer portatile era chiuso sulla scrivania, un lettino con un paravento bianco si trovava in fondo alla stanza. Si richiuse la porta alle spalle. Poggiò il sacchetto di carta su una sedia e le analisi sul tavolo, ma lo sguardo gli cadde su una scritta. Test di gravidanza.

L'infermiera aveva detto che quelli erano i risultati delle analisi di Sveva. Con la voce della coscienza che gli gridava di non farlo, aprì il foglio.

Esito: Positivo. Richiuse in fretta il foglio e lo posò sulla scrivania assieme agli altri. Si lasciò cadere sulla sedia.

Sveva era incinta. Ma di chi era? Di Mark? Impossibile, si conoscevano solo da qualche settimana e poi lei non aveva mostrato un qualche interesse per Mark nonostante le sue continue avances. E allora chi? In Svezia gli aveva detto che aveva chiuso una storia sei mesi prima. Probabilmente aveva avuto un'altra relazione in quell'ultimo periodo.

Questo cambiava tutto.

Meglio così, si disse. Lei era intelligente, colta, raffinata; lui, al contrario, era ignorante e rozzo. Non potevano essere più diversi. Non avrebbe funzionato, quella attrazione non li avrebbe portati da nessuna parte. Si sarebbe consumata tra le lenzuola nel giro di qualche settimana, come un fuoco di paglia.

Meglio così. Avrebbero evitato di creare situazioni imbarazzanti per il futuro. Si alzò e prese la busta con la maglia proprio nel momento in cui si apriva la porta. Sveva entrò raggiante e Kieran avvertì una stretta allo stomaco.

«Eccomi.»

«Devo andare, scusami.»

Un'espressione mortificata le colorò il viso. «Ti ho fatto fare tardi?»

Kieran si avvicinò alla porta. «Ho ricevuto una telefonata.»

«Ok, se vuoi posso portargliela io la maglia e poi quando sarai più libero potrai passare a salutarlo.»

«Che maglia?»

«La maglia per Matteo.»

«Ah, sì, giusto. La maglia.»

Annuì e diede il sacchetto a Sveva che lo stava fissando in modo strano. Si sentiva a disagio ma anche un po' incazzato. Era incinta e se ne andava in giro a baciare uomini come se niente fosse.

«Beh, allora ci vediamo. Passa quando vuoi.»

Eppure in quel bellissimi occhi blu non scorgeva nessuna traccia di preoccupazione. Erano due profonde pozze di mare calmo in una meravigliosa giornata assolata.

Un ultimo sguardo prima di andare. «Riguardati.»

Così dannatamente belloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora