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Milano, finalmente

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Milano, finalmente.

Seduta ad un tavolino di una caffetteria, mentre guardava lo scorrere frenetico della vita quotidiana nella sua città, Sveva si rese conto di quanto le fosse mancata.

La chiamata da parte del suo mentore era stata provvidenziale; era arrivata nel momento giusto, quello in cui tutto il suo essere, stremato, le urlava di prendersi una pausa da New York.

Finì di mangiare il pezzo di dolce che aveva nel piattino e uscì. L'aria era già molto calda e piacevole. Sveva passeggiò senza fretta e senza una meta precisa, godendosi la città quasi come se fosse una turista. Sentiva che qualcosa dentro di lei si stava risvegliando, schiacciato per troppo tempo dal peso del dolore. Una labile fiammella, ancora timorosa e incerta. Bastava alimentarla nel modo giusto.

Pensò al suo lavoro e a quello che l'attendeva. Adorava fare il neurochirurgo e da qualche tempo aveva iniziato a scoprire il piacere di insegnare. Il suo mentore, Carlo Turriani, l'aveva sempre spronata in tal senso, anche quando erano a New York insieme e la voleva come assistente all'università, ma Sveva in quel periodo era presa dagli studi sul campo, dalle operazioni in sala agli esperimenti in laboratorio. In seguito ad alcune sue pubblicazioni sulle riviste scientifiche del settore era stata invitata a diversi seminari e in quelle occasioni si era scoperta ben felice di poter divulgare il suo sapere.

Il professor Turriani poi era tornato in Italia e oltre a dirigere un ospedale occupava anche la cattedra di Neurochirurgia all'università di Milano. Pur immaginando di ricevere un altro rifiuto, per l'inizio del nuovo anno accademico aveva chiamato Sveva, la sua allieva migliore che aveva portato con sé a New York diversi anni prima. Sveva sapeva di averlo lasciato di stucco quando aveva accettato. Ne aveva terribilmente bisogno. Sperimentare l'insegnamento la stuzzicava. L'indomani avrebbe incontrato Carlo e messo a punto un piano di studi adeguato. Poi sarebbe iniziato lo studio e gli approfondimenti per la preparazione delle lezioni.

Nel suo peregrinare giunse davanti alla boutique di Giorgio, un suo vecchio amico. Sostò per qualche minuto davanti alla vetrina, ammirando gli abiti di alta sartoria esposti. La sua attenzione fu catturata da un tubino rosso, le spalline larghe e lo scollo leggermente a V, lungo fin sopra al ginocchio. Voleva provarlo e pensava che sarebbe stato perfetto per la festa di inaugurazione del locale di suo fratello Enrico, quella sera stessa.

Entrò.

Giorgio era dietro al bancone, la testa calva china su un registro, intento ad annotare qualcosa. La alzò meccanicamente, solo per un cortese saluto, poi tornò a scrivere.

«Ciao Giorgio.»

Nel sentire pronunciare il suo nome, Giorgio alzò di nuovo la testa e fissò la donna con più attenzione. Quando la riconobbe, il suo sguardo s illuminò.

«Oh mio dio, Sveva!» mollò la penna e uscì dal bancone, andandole incontro. «Sei tornata!»

Si abbracciarono. Sveva gli sorrise in maniera affettuosa. Giorgio la fece allontanare un poco e la squadrò da capo a piedi.

Così dannatamente belloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora