Capitolo dieci

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Quella notte rimase impressa nella mia mente, i giorni successivi furono difficili, gli allenamenti, le lezioni nulla sembrava andare bene al 100%.
Con Robert il rapporto era precipitato, ci scambiavamo qualche parola a stento, avevamo messo le cose in chiaro, fra di noi non poteva esserci più nulla, solo un'amicizia.

Dylan invece era sempre premuroso con me, una mattina mi regalò un fiore, era appassito, me lo diede dicendo che anche se quel fiore fosse appassito, sarebbe rimasto così, per sempre come la sua vita, come quello che provava per me.

Non stavamo insieme, recepivo i suoi segnali, lui era il mio scudo, a scuola eravamo osservati parecchio, lui non era molto gettonato se non per essere uno dei più carini, io ero la cheerleader e non vedermi con Robert faceva partire pettegolezzi inutili fra le persone.

Un pomeriggio, dopo gli allenamenti trovai Dylan che mi stava aspettando fuori la palestra su una moto molto bella, grigia e nera, mi passò il casco e titubante lo misi per poi salire sopra, mi portò a casa sua, non sapevo cosa volesse fare.
La sorpresa mi rese felice ma tutto mi sembrava strano, decisi però non fare sempre la sospettosa e ci avviammo.

Una volta arrivati fuori casa sua e dopo aver posato la moto insieme ci dirigemmo verso la porta .

La domestica aprì la porta, Dylan mi prese per mano e mi portò nello studio del padre, egli era concentrato a perlustrare la cartina della città per la caccia notturna.

-"Salve ragazzi, entrate." Disse girandosi verso di noi e facendo cenno con la mano di scendere

-"Vado subito al dunque, Lea continua ad avere quelle strane visioni ed apparizioni, ultimamente ha dei segni sul corpo, simili a quelli che possiamo fare noi agli esseri umani  anche solo stringendo la mano" disse preoccupato

Io ne avevo parlato con Dylan ma non volevo che egli ne parlasse con altre persone, non volevo far preoccupare nessuno.
La situazione era già molto seria è preoccupante, non avrei voluto peggiorare le cose ancora di più.

Il padre mi visitò, non era un dottore ma nei suoi anni di esperienza e di tanti casi analizzati riusciva sicuramente a dare una spiegazione plausibile, grazie all'incredibile studio svolto nel corso del tempo.
Scrisse qualche appunto sulla sua agenda marrone scuro, sfogliò qualche manuale vecchio ed impolverato con movimenti veloci e gli occhi che andavano da denatura a sinistra velocemente per cogliere più informazioni possibili nel minor tempo possibile.

Non era sicuro della diagnosi, probabilmente Oliver, con il suo morso e con il suo veleno non mi aveva trasformata, ma aveva un pezzo di me, con il suo gesto fu l'unico ad usare i suoi poteri su di me, poteva entrare nella mia mente, cercare di manipolarla, voleva portarmi a lui ma senza una spiegazione a noi ovvia, voleva me, probabilmente i lividi erano dovuti alla sua presenza, quando dormivo, molto probabilmente poteva trovarsi nella mia stanza e provocarmi lividi per mandarmi dei messaggi, voleva me e nulla lo avrebbe fermato.

A queste parole Dylan andò su tutte le furie, ero legata più ad Oliver che a qualsiasi altra persona, lui era più forte di me.

Dylan si sentiva impotente, odiava l'idea che l'altra parte della sua famiglia,con principi diversi avesse tutto questo potere su di me.

Il problema era capire cosa voleva da me Oliver e perché. Ma sapevo che affrontarlo così, impreparata non mi avrebbe portata da nessuna parte, dovevo studiare un piano da sola, non volevo mettere nei guai nessuno, dovevo reagire e affrontare questo problema.

Altri giorni passavano e le notti erano un incubo, non dormivo, avevo attacchi di panico la mattina e l'ansia aumentava ogni giorno sempre di più . La mia vita era quasi perfetta, mi mancava poco per essere felice e ora, sentivo capovolgersi tutto, nulla riusciva a farmi stare bene se non il tempo che passavo Dylan, solo in quel momento Oliver era lontano la me.

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