Capitolo Quarto | Attraction.

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Quando uscì dalla mensa, decisi di andare sul tetto della scuola dove di solito ero solo oppure si potevano trovare persone alquanto depresse che fumavano erba oppure ragionavano pessimisticamente sulla vita come Bukowski . Presi posto sul cemento freddo e fissai l'orrenda panoramica scura e quasi deturpata che mi permetteva di vedere la scuola. La città pareva una donna sulla cinquantina, violentata e abbandonata a se stessa sul ciglio della strada. Mi ero dimostrato di nuovo debole di fronte ad Hemmings e l'idea che fossi parso così stupido mi dava la voglia di un suicidio istantaneo, avevo quasi perso la dignità. Mi faceva questo effetto, se si parlava di lui si scatenava dentro me una guerra. Era tra l'odio e l'attrazione. Non so cosa c'era in quel ragazzo che mi attirava, ma di certo la cosa non andava oltre, del resto il termine attrazione si addiceva perfettamente perché sentimentalmente non ero avvolto in quella bolla di stupidaggine che la gente definiva “amore”.  Capivo la gente solo osservandola, ma lui era così strano, così cupo. E la gente così mi irritava, non c'è bisogno di nascondere la propria personalità, perché unica e bella, unica e differente. Unica e brillante. 

Aveva tutto e pure sembrava non gli bastasse, quindi, riconfermo l'idea che fosse un viziato. Sentì dei passi dietro di me, ma non gli diedi conto realizzando che già l'idea che qualcuno mi disturbasse mi irritava e continuai ad inspirare nicotina dalla sigaretta.

“Mike smettila, non ti fa bene ” disse Akim, che come al solito mi aveva scoperto però annuì indifferente.

“Akim, come si ci sente quando qualcuno ti osserva?” le chiesi.

“Dipende da chi ti osserva. Se é una persona che ami o che vuoi ti fa piacere riceve attenzioni da lui. Ma se la odi oppure non te ne frega allora da fastidio  ” mi rispose tranquilla.

Allora perché a me le attenzioni di Hemmings non mi davano fastidio, a me non interessava lui ne la sua mente perversa, però può darsi che non mi dessero fastidio perché infondo io lo registravo come un essere neutro nella mia vita. Quello che lui faceva a me non cambiava la vita, quello che lui non faceva a me non interessava.

Io avevo sempre pensato di odiarlo perché avevo sempre presupposto che lui odiasse me, ma in realtà nessuno dei due si era mai incontrato, non avevamo mai parlato, già era tanto se conoscessimo entrambi uno l'esistenza dell'altro. E se lui non mi odiasse?. Be', ci si abitua con il tempo.

“Ma é per Luke?” mi chiese preoccupata.

“No, lascia stare. Non sono affari che ti riguardano ” dissi alzandomi e intuì di essere stato fin troppo brusco.

Decisi di tornare a casa prima per evitare di incontrare Ashton o Hemmings, oppure una qualunque persona che avesse desiderato di aprire una conversazione con me.
Non avevo il coraggio di chiamarlo Luke perché una persona la chiami per nome se ne conosci la personalità, se ne conosci anche solo la voce, non di certo perché lo hai visto due o tre volte di rado per i corridoi dell'Istituto.

Il silenzio mi invase i timpani ed io con tranquillità accessi MTV, giusto per non uscire fuori di testa, il silenzio a volte può essere violento.  Passarono canzoni e canzoni, stupide, senza senso, profonde, inascoltabili, finte, strane e nessuna di loro seppe come farmi distrarre dai miei pensieri.  Non persi tempo a cantare con la tv, avevo di meglio da fare per quanto la musica fosse la mia passione principale, ma c'erano momenti in cui neanche lei era una buona soluzione, ma solo un metodo per procurarsi mal di testa.

Uno sconosciuto mi chiamò e lessi il numero con calma per quanto le ultime due cifre mi sembrarono familiari ma tralasciai i miei dubbi. Presi il telefono, mi guardai intorno e risposi.

“Pronto? ” la voce era profonda, da uomo ma vellutata. Una bella voce.

“Parlo con Michael? ” proseguì e spensi la televisione annuendo.

“Si ”

“Piacere sono Nicolas, volevo solo fare conos- ” cercò di parlare in modo affettuoso ma staccai la telefonata gettando il telefono il più possibile distante da me.

Non avrei mai avuto il coraggio di parlare con lui dopo quello che era successo con suo figlio. Soprattutto avendo scoperto una buona parte del caratteraccio del figlio, speravo che lui non avesse gli stessi geni. Non amavo le persone ricche e snob, per quanto potessero essere i migliori amici a prescindere, nel momento in cui si celebravano festività dove erano inclusi regali.

Uscì di casa e camminai fino al parco ponendo i piedi uno dinanzi all'altro e contando i passi.  Mi misi sotto un albero sedendo in modo scomposto e aprì il libro di chimica per studiare qualcosa . Una ragazza da capelli rosa e viola, che personalmente odiai sapendo che era solo una puttanella di alti borghi, si avvicinò a me.

“Ciao ” disse sorridente, scostando i capelli da una spalla all'altra e incrociando le gambe in modo nevrotico.

“Senti non ho tempo da perdere, sii breve e coincisa ” dissi sbuffando e mantenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi, così che la cosa potesse sembrare dura e convincente.

“Sei Clifford, giusto?”

“No, sono Michael ed è stato un piacere conoscerti, ora ciao ” dissi sarcasticamente. Scoppiò a ridere con quella voce stridula e da bambina che ancora non ha affrontato la prima fase dello sviluppo.

“Scusa. Ehm, sai ti volevo chiedere se un giorno di questi ti potesse garbare l'idea di uscire insieme ” disse imbarazzata.

“Domani ti va bene? ” le chiesi. Avevo bisogno di distrarmi dalle varie situazioni, quindi pensai che probabilmente non sarebbe stata una cattiva idea.

“Okay. Ti va bene a casa mia?. Mio fratello da una festa... ” propose gesticolando.

“Va bene” dissi. Mi diede il suo numero e andò via. Cazzo, non mi aveva fatto nulla. Di solito quando vedevo una ragazza iniziavo  ad immaginare come la serata avrebbe potuto avere un risvolto erotico e a come sarebbe stato interessante scoparla, ora invece tendevo anche a giudicarle come quelle baldracche invidiose che dovevano puntualizzare ogni minimo difetto di ogni donna perfetta.
Mi sentì prendere il braccio e mi girai in modo brusco stanco di essere disturbato da chiunque volesse, insomma volevo un po' di libertà e solitudine.

“Hemmings ” sussurrai veramente stanco di tutta quella merda che circondava ogni secondo negativo e positivo della mia vita.

“Senti sfigato, di' a qualcuno di ieri e sei morto” mi ricattò e annuì massaggiandomi le tempie.

“Certo ” sussurrai osservando il labbro inferiore stretto tra i denti che tra un po avrebbe rilasciato sangue.

“Non é che sei gay?” mi chiese ed arrossì.

“No, mi piace la fica. Ma del resto stavo notando, da futuro medico che sarò, che si farà una bolla sulle labbra se non disinfetti il piercing ” urlai privo di virilità.

“Okay, Michael sai essere davvero inquietante ” disse ridendo e pensai che avesse ragione. La sua risata era morbida e dolce, quasi come se volesse negare quel brutto carattere che mostrava quando, non solo a me, ma anche a lui attacca l'ansia.

“Cazzo ridi a fare ” sbuffai imbronciato.

“Sembri un bambino viziato ” mi sbeffeggiò e lo guardai in malo modo per quanto la situazione si mostrasse confidenziale e simpatica.

“Senti chi parla!” risposi.

“Almeno non sono un verginello ” mi guardò ridendo.

“Vaffanculo ” urlai e me ne andai.

Mi aveva offeso e  non era colpa mia se le ragazze dopo aver conosciuto il mio  lato debole mi lasciavano. Perché infondo alle donne, detto in modo volgare — e concedetemelo, perverso, dell'uomo piace solo ciò che è duro.

Afraid | MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora