Capitolo Ottavo | Delusion

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Aprì la porta di casa, che emise un piccolo cigolio abbastanza fastidioso e dopo averla chiusa, facendo attenzione a non farla sbattere, scivolai contro la lastra fredda di legno con la schiena, poggiando la testa all'indietro e le mani sul mio volto.
Di guai ne avevo combinati, ma questo era di sicuro il peggiore dato che la vittima sarei irrimediabilmente stato io.

“Inizi a frequentare qualcuno che non sia Akim?. Sono sconvolta ” disse mia madre, camminando in modo scherzoso avanti a me. Eppure aveva notato che non era il momento di fare squallide battutine.

“Fondamentalmente non sono cazzi tuoi, buonanotte ” risposi in modo scortese e lasciai che rimanesse scioccata dal mio comportamento arrogante. Non ero mai stato arrogante, neanche da bambino. Al massimo piangevo e mi rifugiavo in bagno.
Camera mia era il disordine assurdo, l'entropia molecolare faceva un baffo al caos che popolava quella piccola e buia stanza. Ma non avevo comunque voglia di ordinare quel disastro.
Fu un sonno turbolento quello, ma dopo pensieri filosofici e inutili che occuparono la mia mente per qualche ora, riuscì ad addormentarmi e a dare un po' di pace a quella circostanza.

***

“Mike ” una strana voce, troppo dolce per essere quella di mia madre, mi svegliò.

“Vai via ” sbuffai soffocando nelle coperte calde ed accoglienti.

“Svegliati, dai ” continuò in modo insistente.

“E che cazzo, é domenica lasciatemi dormire ” dissi in modo scorbutico.

“Allora, va bene, vado via ” decisi di girarmi perché quella voce mi era familiare, un po' di meno la sua presenza, ma la voce sì. Notai dei ricci biondi familiari e le mani enormi, Ashton aveva delle mani enormi. Giusto, era lui ed io lo avevo scacciato come una mosca. Si trovava sulla soglia della porta e lo feci fermare tirandogli dietro la nuca un pacchetto di fazzoletti.

“Ash, che ci fai qui?” dissi alzandomi e cercando di scusarmi per il mio comportamento.

“Mickey!. Ero venuto così, non c'è un vero motivo ” ridacchiò abbracciandomi, ed era così bello essere stretti ti prima mattina da qualcuno che non ti odia ne ti urla in faccia stronzate pur di farti mortificare.

“La prossima volta però non così presto, va bene?. Non di prima mattina, insomma ” mi lamentai ed indicò  la sveglia.

“Michael sono le undici passate, tu non hai cognizione del tempo ” rise accarezzandomi i capelli.

“Che vuol dire?” sbuffai appoggiando la guancia nell'incavo del suo collo. Era così dolce.

“Nulla, lascia stare. Dormi ancora ” rispose ridendo e annuì perché infondo era la realtà. Siccome ero incapace di mantenermi alzato, mi sedetti sul letto e li diedi opportunità di condividerlo con me, il che era un grande onore.

“Allora, cosa devi dirmi di così importante o almeno cosa facciamo oggi dato che non voglio restate a casa?” gli chiesi e lui mosse freneticamente le mani ed era nervoso. Non sapevo cosa fare, perché era la prima volta che mi capitava una cosa del genere.

“Ti hanno ucciso il pappagallo e vuoi fare il suo funerale, ma la trovi una cosa imbarazzante e quindi sei venuto a chiedermi una soluzione. Ho indovinato?” ridacchiò e riuscì a tranquillizzare la situazione.

“Ecco, é un po' più complicato. Vorresti, insomma, uscire con, intendo da soli, con me?” disse in modo confuso e non capì il perché di tutta quell'ansia e quella preoccupazione.

“Oh, certo. Dammi il tempo. Mi cambio e sono da te, però rimani qui ” dissi alzandomi e cercai di togliere la maglietta per trovarne una più adatta. Insomma uscire in pigiama era troppo per questa gente che vuole la moda e la cerca nell'immondizia.

Afraid | MukeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora