Capitolo diciannove

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«Ecco così...» disse papà, tenendo ferma la ciotola più grande «versala tutta e poi cominciamo a impastare.»

Dubbiosa, guardai quell'intruglio di farina e uova, pungolandolo con un dito «Ma si appiccica tutto!»

Papà scoppiò a ridere e in tutta risposta mi sporco il naso con del cacao «È proprio quella la parte migliore!»

«Ma no, guarda!» insistetti, piagnucolando, e gli mostrai tutte le mie dita paffute incollate tra loro.

«Papà ha ragione, piccola peste.»

Mamma arrivò alle nostre spalle e si accucciò davanti a me, mi prese in braccio e mi fece sedere sul bancone.

Sorrise, poi prese la mia mano destra «Perché quando hai finito... io posso mangiarti tutte le dita!»

Scoppiai a ridere quando entrambi mi presero una mano ciascuno, rubandomi tutto l'impasto dai polpastrelli.

***

Sbuffai.
Ancora e ancora.
'Fanculo, che nervoso.

Io mischiavo e amalgamavo, ma mi sembrava di avere più pastella sulle mani che nella ciotola.

Non avevo mai capito come facesse papà ad uscire indenne dalla preparazione dei suoi biscotti, ma la mia cucina sembrava un campo di battaglia e io ero una vittima di guerra.
A nulla mi era servito mettere il grembiule e legarmi i capelli, ero comunque sporca dalla testa ai piedi, sudavo e mi stavo incazzando a morte.

Erano già le undici della mattina di Natale, Mary aveva preparato un manicaretto la sera prima e io, come mio solito, non solo ero in ritardo per la cottura, ma dovevo anche prepararmi per quando fossero arrivati Annie, Josh e Brandon.

Ancora mi stupivo di avere ospiti per pranzo, soprattutto del biondino.
Si era rivelato insolitamente.. simpatico?

Superati i primi momenti di incomprensione lo vedevo sotto un'altra luce, soprattutto da quando usciva con Annie.

Più maturo, mi azzardai a pensare.

Certo, come concordato io e Josh gli avevamo fatto un discorso degno della corte marziale, che se avesse sgarrato anche una sola volta avrebbe fatto prima a scavarsi la tomba da solo ma, nel complesso, fino a quel momento era stato veramente bravo.

Per quanto mi infastidisse, dovevo dare a Cesare quel che era di Cesare. Lo vedevo come guardava la mia amica: adorante, come quando ci si perde davanti ad un quadro che ti ruba l'anima.

Finalmente, dopo quelli che mi sembrarono secoli, riuscii a fare le palline di impasto e metterle sulla teglia per infornarle.

Le guardai, storcendo un po' la bocca.
Certo, un po' deformi, ma era la sostanza la cosa importante, giusto?

Esausta, sbuffai ancora una volta e, chiudendo il forno con un fianco, cominciai a leccarmi le dita dirigendomi in doccia.

Mi piantai davanti allo specchio alla base delle scale, con un indice in bocca e gli occhi fuori dalle orbite.

Santissima Madre Divina.

Quasi mi venne un colpo.
Parte della fronte, la tempia con il mio piccolo neo, il sopracciglio e tutta la guancia erano coperti di farina e cacao; sul collo avevo segni evidenti di uova e zucchero a velo; il grembiule facevo prima a buttarlo che a lavarlo e...

I miei capelli.
I miei poveri capelli.

Mi scappò un guaito e mi avvicinai al mio riflesso: mi ero fatta la coda alta per nulla, tutte le punte erano aggrovigliate e impregnate di cioccolato secco.

Corri lontano da me Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora