Capitolo dodici

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«Oh, I always let you down
You're shattered on the ground
Still, I find you there next to me
And oh, stupid things I do
I'm far from good, it's true
But still, I find you next to me»
Imagine Dragons

Josh

Battei piano le palpebre, svegliato da una sensazione di arsura nella bocca, mi sembrava di non aver bevuto acqua per mesi.

La sveglia sul comodino segnava le tre e mezza del mattino e io sentivo un caldo tremendo addosso nonostante la finestra socchiusa ed il venticello che entrava.

Le tre e mezza? Cristo, dove diamine era sparito tutto il resto della serata?

L'ultima cosa che riuscivo a ricordare era Peyton, la sua canottiera striminzita e il suo essere così asfissiane che mi aveva fatto sbroccare come un matto, facendomi lasciare il suo appartamento senza nemmeno una benedetta sveltina.

Il bar, Kyle e Otto, gli shot di vodka, poi... il buio più totale.

Provai ad alzare la testa, ma la affondai di nuovo nel cuscino, soffocando un gemito di dolore a causa di una fitta che mi trapassò il cervello da parte a parte.

Quanto cazzo avevo bevuto?
Grazie a Dio ero finito a casa, ma il come ci fossi arrivato rimaneva un mistero, dato che avevo lasciato l'auto a Bran.

Presi un profondo respiro per trovare il coraggio di muovermi ancora, ma fui tramortito da un profumo che non era decisamente quello del mio bagnoschiuma.

Cioccolato.

Sgranai gli occhi, con ancora la faccia premuta nel cuscino.

No.
No, no, no... per favore no.

La testa prese a martellarmi, a ritmo delle pulsazioni aumentate del mio cuore alcuni flash mi illuminarono la mente annebbiata: il liquore, un cane che abbaiava, uno schiaffo, una marea di capelli biondi e un paio di occhi verdi da morirci.

Scarlett.

Scarlett che mi sorrideva tristemente, che mi tirava fuori dalla macchina, che mi faceva cadere sul letto.

Prima ancora di maledirla perché mi aveva aiutato anche quando non me lo sarei meritato, mandai all'inferno me stesso appena l'ultimo flash mi passò davanti agli occhi: l'avevo implorata affinché restasse.

Deglutii a vuoto, e mi decisi ad alzare la faccia dal cuscino. La voltai verso sinistra per studiare la situazione.

Ero sdraiato sulla pancia, scomodo nei bermuda che non mi ero tolto, e seguì il mio braccio con lo sguardo, fino a trovarlo avvinghiato possessivamente sullo stomaco scoperto di Scarlett.

Porca troia.

Sbattei le palpebre di nuovo, sicuramente non avevo ancora smaltito la sbronza, che cazzo ci faceva mezza nuda?!

Mi aveva tolto la maglia... e io... io... l'avevo accarezzata... e...
Dio, più cercavo di ricordare più sembrava che il cervello volesse schizzarmi fuori dalle orecchie.

No, non potevo aver fatto sesso con lei in quelle condizioni. A malapena si faceva toccare quando ero sobrio, figuriamoci concedersi a me in quello stato.

Mi pietrificai, terrorizzato all'idea che si svegliasse e mi trovasse a guardarla come un maniaco.
Localizzai i suoi pantaloncini e la maglietta rossa piegati perfettamente sulla cassettiera; il fatto che non fossero sparsi per la camera era un'agognata conferma.

Sorrisi, tornando ad osservarla: la ragazzina mi aveva rubato un'altra maglietta, doveva essere un vizio.
Quella volta ne aveva presa una vecchia, di quando andavo ancora a scuola, della squadra di rugby. Cielo, avrebbe potuto entrarci cinque volte tanto le stava grande.

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