Capitolo ventisette

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Il palmo di Josh arrivò schiaffandosi sulla mia bocca, interrompendo la mia frase.
Rimasi interdetta da tanta frettolosa violenza, mentre mi trucidava con gli occhi.

«Mi avevi promesso» sibilò furente «che non avresti fatto niente di testa tua, cazzo.»

Me lo scrollai di dosso infastidita, cercando di non arrabbiarmi. In fondo glie lo avevo tenuto segreto.

«E infatti io ho rispettato le tue regole.» calcai «Ora, per l'amore del cielo, mi ascolti o ti devo obbligare, scorbutico che non sei altro?»

Contrariato e dubbioso, mi incitò a proseguire con un movimento del mento, preso in contropiede per il suo errore.

Alzai gli occhi al cielo, poiché non ce la faceva proprio a non avere ragione.

«Quando ti ho trovato nel vicolo, quella sera...» iniziai, sentendolo irrigidirsi sotto di me «io avevo frugato nell'ufficio di Mary, e avevo trovato dei fascicoli.»

Le sue sopracciglia schizzarono verso l'alto «Tu cosa?!» chiese speranzoso.

Lo zittì con un gesto veloce della mano, per non perdere il filo del discorso «Ce n'è uno che ha il mio nome sopra e dentro contiene le mie informazioni: tutti i posti in cui ho vissuto, le scuole, i dottori, i miei dati personali, quelli sui miei genitori e...» mi bloccai, mordendomi l'interno della guancia.

Ancora mi bruciava quello che avevo letto, anche se non serbavo più rancore verso i miei o Mary. Avevo capito che le loro intenzioni erano state delle migliori.

«E...?»

«E... un documento di passaggio di custodia. Mary era stata nominata mia tutrice già prima che i miei morissero. Ci sono di mezzo dei soldi, un mucchio di soldi, e anche un indirizzo. Si riferisce ad una cassetta di sicurezza, quindi pres-»

Josh aggrottò le sopracciglia «Puoi farmelo vedere?» mi interruppe.

Sospirai annuendo, aveva ragione: sarebbe stato più facile mostrarlo che raccontarlo.

Mi alzai dal letto, prendendo una forcina dal comodino e controllando il telefono per avere notizie di Mary, poi gli rubai la maglietta da terra.
Si, avevo il mio armadio a due passi, ma quella aveva il suo profumo addosso, e se dovevo affrontare quella storia per forza avevo bisogno di un ulteriore supporto morale.

Ridacchiai, vedendolo saltellare qua e là per infilarsi i boxer, prima che mi squadrasse da capo a piedi.
Alzò un angolo della bocca compiaciuto, approvando silenziosamente la mia mise.

Cautamente mi arrestai davanti alla porta chiusa dello studio, con il cuore in gola. L'atmosfera rilassata era completamente svanita, rimpiazzata dal nervosismo.
L'ultima volta che ci ero entrata avevo avuto un attacco di panico piuttosto pesante, dovuto alla pistola nel cassetto.

Ma chiusi gli occhi, cercando di calmare il respiro tremolante.

Josh mi superò ignaro dei miei turbamenti, afferrando la maniglia e strattonandola malamente «È chiusa.» constatò.

Ma non mi dire, giura!
Si guadagnò una patetica smorfia di ovvietà e uno sbuffo rivolto alla sua impazienza.

Lo scansai, riservandogli un'occhiataccia, e mi inginocchiai davanti alla serratura; aprì la forcina con i denti e la infilai nella fessura, cominciando le manovre.

«Mi prendi per il culo?» sussurrò sbigottito «E questo dove l'hai imparato?!»

Chiusi gli occhi per un secondo, racimolando della sacrosanta pazienza «Come credi che sia riuscita a scappare?» cantilenai retorica «Attraversando i muri?»

Corri lontano da me Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora