Capitolo secondo

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Verso le quattro del pomeriggio scesi le scale di buon umore, dovevo ammettere di aver dormito bene e che i rimasugli della pizza della sera prima avevano avuto un enorme impatto sulla mia merenda.

Soccombendo al caldo afoso, avevo optato per una canotta leggera e degli shorts a vita alta; tutto, fuorché rischiare di mostrare la cicatrice.

Distrattamente mi sfiorai il fianco destro, accecata da un improvviso e violento lampo di rabbia. Mi avevano costretto a scappare e nascondermi per così tanto tempo, e nemmeno sapevo il motivo.

Sbuffai, accantonando la mia personale nuovelatta di temporale per non rovinarmi il pomeriggio e presi le chiavi della macchina dal mobile vicino alla porta.

Urlato un saluto a Mary, che mi guardò vagamente dal portico sul retro, sommersa da documenti di chi sa quale affare, con Brandy che le dormiva placidamente sui piedi, mi chiusi la porta alle spalle.

Le mie fidate Vans bordeaux mi portarono davanti al garage aperto, e con il telecomando feci scattare la serratura della mia Mustang coupe nera, un meraviglioso regalo di Mary per il mio ultimo compleanno.

Sorrisi portandomi gli occhiali da sole dalla testa al naso, entrando nell'abitacolo. Abbassai finestrini e tettuccio, e appena il rombo dei 315 cavalli mi riempì le orecchie mi sentii come una bambina la mattina di Natale.

«Cazzo si.» mormorai elettrizzata.

Uscì in retro dal vialetto e mi avviai sulla strada, facendo girare più di una persona e godendo dell'invidia che leggevo sui loro volti.

«Adesso ci divertiamo.» scoccai, appena imboccata la statale.

Summer of '69 al massimo volume e pedale dell'accelerazione schiacciato a tavoletta, cominciai a sfrecciare tra le corsie.

L'aria mi sferzava il viso e le spalle scoperte, i capelli mulinavano al vento, ma mi sentii piena di vita.

Soprattutto quando mi lasciai andare ad una risata liberatoria, dopo aver superato di un soffio una Corvette gialla, il cui guidatore mi offrì gentilmente il dito medio dal finestrino.

Ah, brucia la sconfitta eh?

Neanche a farlo apposta, Burn it down partì dalle casse, e proprio non ci riuscii a non cantarla a squarcia gola, almeno finché non rallentai per fermarmi al semaforo rosso e fui costretta ad abbassare il volume, giusto per non offrire uno spettacolo indecente ai passanti.

Mi guardai intorno e osservai le strade popolate di gente che andava e veniva, mille colori si rincorrevano e splendevano alla luce del sole abbagliante.
Tutto sommato, San Diego non mi dispiaceva: avevo visto di peggio.

Tipo come quei sette mesi passati nella sperduta Lead Hill, Arkansas, dove l'unica possibilità di fare un bagno in estate era stata il fiume gelido.
In quel momento invece, persino imbottigliata nel traffico, concentrandomi bene, riuscii a sentire lo sciabordare dell'oceano e la salsedine nell'aria.

Decisamente meglio.

Nell'attesa che il semaforo tornasse verde, presi una sigaretta dalla borsa sul sedile e me la portai alla labbra, per poi mettermi a frugare nel portaoggetti alla ricerca del dannato accendino che perdevo sempre.

«Bellezza»

Mi bloccai con ancora le mani nello scomparto, sperando vivamente che quel nomignolo e quella voce che voleva essere sensuale (con scarsi risultati, tra l'altro) non fossero diretti a me.

«Serve da accendere?»

Ovviamente, poteva capitare solo alla sottoscritta.

Preso un bel respiro per non scompormi, alzai lo sguardo solo per ritrovarmi propio la Corvette gialla ad affiancarmi alla mia destra.

Corri lontano da me Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora