Capitolo trentotto

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«Farò rifare l'asfalto
per quando tornerai.»
-Le luci della centrale elettrica-

#Josh

Fumava tranquilla, con le caviglie incrociate sulla ringhiera del balcone e la testa abbandonata indietro, mentre aspettava il mattino.
Non era cambiata molto dopotutto, soffriva ancora di insonnia e osservava l'alba.

Da quella distanza non riuscivo a vederla bene in volto purtroppo, ero nascosto nell'ombra della terrazza del palazzo di fronte, e la stavo osservando da un po'. Prima l'avevo vista seduta sul davanzale di una delle camere, con lo sguardo fisso su qualcosa al suo interno, poi dopo un paio d'ore era uscita fuori nell'afa estiva, e non si era più mossa.

Stranamente, questa volta riuscire a scovarla mi era risultato insolitamente facile, come se volesse farsi trovare, come se avesse smesso di scappare. Ci avevo messo meno di due giorni, aveva seminato tracce e briciole di pane per tutta Roma, e questa sua resa mi aveva destabilizzato. Ormai ero abituato a doverla cercare con la lente di ingrandimento, non mi sarei mai aspettato che si palesasse così spontaneamente alla luce del sole.

Mi aveva preso in contropiede, quindi avevo bisogno di qualche giorno per prepararmi ad affrontarla, nel frattempo l'avrei osservata da lontano. Non avevo avvertito nessuno di averla trovata, avevo il terrore che fosse tutto frutto della mia immaginazione.

Dopo sette merdosi di anni mi lasciava ancora completamente senza fiato, mi ero dimenticato quanto cazzo fosse bella. Aveva compiuto 27 anni da qualche mese, ma rimaneva incantevole come quando era ancora adolescente.
Anzi, mi correggo, adesso era anche meglio. Adesso era una donna, le sue forme una volta ben delineate erano state addolcite dalla crescita e dalla gravidanza, e ai miei occhi risultava una meraviglia, soprattutto per quello. Solo a guardarla da lontano mi scatenava un desiderio irrefrenabile, riuscivo a stento a contenermi, ma se le fossi saltato addosso dal nulla probabilmente l'avrei persa per sempre.

E tutto il risentimento era sparito, si era volatilizzato nel nulla nel momento esatto l'avevo vista uscire dal suo ufficio. Lei e la sua solita postura fiera, stretta in quel tubino blu notte che Dio solo sapeva come avrei voluto strappare. Avrei voluto prenderla dalle spalle e urlarle addosso i peggiori insulti, per avermi abbandonato in quel modo senza darmi la possibilità di spiegare, al contempo volevo solo affondare il viso tra i suoi capelli e sentimi di nuovo a casa.

Ma cazzo, mi era mancata così tanto, quella criniera bionda era sempre la stessa, gonfia e lunga, era rimasta la mia leonessa.
Studiai le sue gambe snelle, ancora stese sulla ringhiera, assaporando il momento i cui mi sarei trovato di nuovo tra di esse, e scorsi alcune macchie più scure.
Tatuaggi? La mia Scarlett si era tatuata? Un disegno enorme le ricopriva la coscia destra per intero e spariva sotto l'orlo di quei pantaloncini striminziti che portava.

Gesù, doveva proprio uscire così scosciata? Va bene che era notte, ma chiunque avrebbe potuto vederla.

Il rumore della sedia su cui era sistemata mi strappò dalle grinfie di quella gelosia assurda, lei buttò il mozzicone dal balcone, prese un ultimo respiro e rientrò in casa, lasciandomi lì imbambolato come un cretino.

Non mi ero nemmeno accorto che fosse sorto il sole, e di colpo di assalì la stanchezza del fuso orario.
Mi buttai sul letto, avrei dormito un paio d'ore, giusto il tempo per ricaricare le batterie e non svenire per strada sotto questo sole accecante, che tanto mi ricordava San Diego.

Mi addormentai, per la prima volta da anni, con il sorriso sulle labbra.

Ti ho trovata, amore mio, adesso non mi scappi più.

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