Capitolo sedici

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Ecco, una volta avevo parlato di una scheggia sotto la pelle, sottile e infida, che bruciava e non si levava; di una scheggia che si era spezzettata, ramificando il dolore, espandendo il proprio raggio d'azione.

Mi ero scavata la carne, tagliata la pelle, torturata a più non posso per toglierla, ma l'unico risultato che avevo ottenuto era un corpo martoriato e leso, ancora più dolorante.

E quei pezzetti erano rimasti lì eh, mica ero riuscita a sbarazzarmene, alla fine.

E a quel punto sarebbe stato meglio lasciar perdere fin dall'inizio, no?
Avrei dovuto lasciare quella scheggia intera, e attendere pazientemente che si formasse il callo intorno, pronto a sopprimere il fastidio.

E invece no, io testarda quella scheggia l'avevo stuzzicata, pungolata e tirata.

E, alla fine, si era frantumata sotto le parole di Annie, sotto i suoi comportamenti scostanti, sotto passi leggeri che stavano scendendo le scale.

Gli stessi passi che portarono quella donna incantevole e furibonda davanti a me, nascondendomi alla vista la mia scheggia dagli occhi neri.

E se gli sguardi avessero potuto uccidere, io sarei dovuta essere sotto tre metri di terra.

Più lei infilzava i suoi occhi color dell'ambra striati d'oro nei miei, più io mi stupii di quanto mi sentissi... piatta.

Non calma e tranquilla... semplicemente piatta.
Avrei voluto tanto arrabbiarmi e pestare i piedi, ma non ne avevo alcun diritto, ed era come se in fondo lo sapessi già.

Ero già pronta a dovermi leccare le ferite, come avevo sempre fatto; l'avevo capito subito che stare dietro a uno come lui mi avrebbe portato un sacco di graffi da curare.

E quindi intorno a tutti quei pezzi di scheggia, cominciai a formare un callo per soffocare il dolore, per spegnere il bruciore che quella vista mi stava regalando.

Poiché io, di stare male di nuovo, non ne avevo voglia.
Quindi non importava nemmeno della cotta stratosferica che mi ero presa: andava messa da parte, e subito, prima che fosse troppo tardi.

E anche se il callo rendeva il cuore pesante, ne avevo bisogno. Perché io, con la testa china e le spalle curve non andavo da nessuna cazzo di parte.

Nessuno si doveva accorgere quel mio dolore, nessuno lo avrebbe potuto usare contro di me, nessuno mi avrebbe vista debole e ferita.

Quindi alzai il mento e sorrisi sfrontata, vincitrice su quelle schegge che ero riuscita a fermare appena in tempo. Giusto un soffio prima che si infilassero nelle pieghe dell'anima, dove poi era impossibile recuperarle.

Perché forse, Josh non ne valeva la pena.

«E tu chi sei?» la mora mi squadrò da capo a piedi, con le braccia conserte e un'espressione di puro disgusto sul bel viso.

Alzai le spalle, indifferente «Scarlett.»

A lei la risposta parve non piacere, perché sbuffò teatralmente e roteò gli occhi.
Sapevo benissimo cosa intendesse con quella domanda: voleva inquadrare il mio ruolo, conoscere la mia collocazione, sapere se le sarei stata d'intralcio.

Beh, aveva sbagliato persona con cui usare banali giri di parole, non le avrei dato la soddisfazione di vedermi piegata.

Dei risolini mi fecero girare, e ringraziai la poca grazia di Brandon che inciampò nei gradini del portico, andando a sbattere contro la porta a vetri.

Annie gli era subito dietro, ancora completamente fradicia, ma quando incrociò gli occhi dell'angelo alle mie spalle, la smorfia che assunse mi fece accapponare la pelle.

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