Una mostra inquietante

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E fu così che mi ritrovai, prima arrampicata al cancello di ferro arrugginito che scavalcai con agilità, e poi davanti all'entrata del vecchio negozio. La palla era riuscita ad infilarsi nell'unico posto in cui il vetro era rotto. Il buco era troppo piccolo per passarci...

"Non ci passo..." dissi a Bertold che mi osservava da dietro il cancello.

"Troverai un modo " disse con cattiveria.

In realtà c'era più di un modo ma non erano dei bei modi...
Avrei potuto rompere il vetro allargando il buco: troppo rumore e i vetri avrebbero potuto ferirmi.
Oppure dovevo scassinare la porta.

Provai con la seconda opzione. presi la tipica forcina dai capelli e il chiave mastro - fatto apposta per scassinare, lo avevo rubato, cioè, preso in prestito ad un fabbro- e mi misi a lavoro ma dopo 10 minuti gettai la spugna, esasperata. Come diceva sempre mia nonna: " le cose vecchie sono sempre quelle di qualità migliore. Se sono ancora qui a funzionare, vuol dire che fanno bene il loro lavoro."

L'unico modo per entrare era rompere il vetro. Presi il coltello, lo girai dalla parte del manico e iniziai a colpire i bordi del buco. Appena si fu allargato abbastanza per passate mi infila partendo dalle braccia. Spostai con le mani i pezzi di vetro e appoggiai i palmi per terra, poi infilai anche il busto ma, data la mia avventatezza non feci in tempo ad entrare completamente che sentii un acuto dolore alla schiena. Abbassai la spina dorsale e feci entrare anche le gambe. Finalmente ero entrata.

Aspettai qualche momento seduta sul pavimento per far abituare gli occhi al buio e riprendermi dal dolore. Rimasi in ascolto di rumori sospetti, non perché mi aspettavo uscisse un fantasma da dietro l'angolo ma per evitare spiacevoli incontri con ratti e animali vari. Ero troppo agitata per concentrarmi e captare i più piccoli rumori così mi alzai facendo attenzione ai vetri rotti e controllai la ferita alla schiena. Bruciava ma visto che quando ritirai la mano era solo leggermente macchiata da una lacrima rosso chiaro mi dissi che era una sciocchezza. Il giubbotto non era neanche lacerato.

Dopo un breve tour tra le stranezze di quel posto -si poteva trovare di tutto da vecchi orologi a bambole di porcellana, fino ad arrivare a servizi da té e mobili che profumavano di muffa- mi concentrai sulla palla. Guardai per terra ma non vidi niente poi la mia attenzione fu rapita da una parete interamente coperta di armi. Niente di che, utensili arrugginiti ed inutilizzabili, balestre ancora cariche puntate nel nulla, giavellotti che sembravano aver messo radici, spade che davano l'aria di aver combattuto tante battaglia...

La cosa cosa strana è che c'erano "armi" di ogni epoca. Tutte divise in settori: denti enormi e artigli, pietre levigate e clave, lance primitive, spade e balestre, baionette e palle di cannone fino ad arrivare ai fucili, alle pistole balestre e ai più moderni M16 -che pensavo essere riproduzioni-.

Poi alla fine della stanza li vidi. Se fossimo stati in un film sarebbe partita una base sonora del tipo what i've done dei Linkin Park.

Una fila di specchi vecchi e impolverati non riflettevano la luce perché a causa di un fitto strato di polvere, non riuscivo a vedere neanche me stessa. Ci passai la mano sopra e mezzo metro di polvere volò via facendomi lacrimare gli occhi.

Era un'intera fila di specchi che occupava la parete. Uno attaccato all'altro da parte a parte del negozio. Erano specchi deformanti, come quelli che si vedevano al luna park e ogni specchio mi rifletteva in modo diverso. Di tutte le stramberie che avevo visto era quella che mi attirava di più.

Non so perché ma mi venne l'impulso di pulire la superficie degli specchi, cosa assolutamente assurda, come tutto lì, del resto. La mia camera era il regno del caos. Vestiti per terra, polvere da vendere, resti di cibo e mai una volta mi venne in mente di pulire.

Presi una pezza e inizi a passarla sul vetro coprendomi la bocca e chiudendo gli occhi.

Appena arrivai all'ultimo specchio successe la cosa più assurda e terrificante che mi fosse mai capitata -e me ne erano capitate molte ...

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