Wonderful changes (DOROTHY)

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Partire per la Cina non è la nostra sola preoccupazione, se così possiamo intenderla; dal momento che facciamo parte di un libro che chiunque può leggere (più che altro è anche un pretesto per cambiare un po'), optiamo per una scelta mai presa in considerazione fin'ora.

Non si tratta affatto di una cosa semplice, soprattutto per padre e figlia, ma infondo non lo è neppure per me, come potrebbe sembrare, se dovessi provare ad immaginare il risultato finale.

La mia curiosità è talmente alta che mi crea forti crampi allo stomaco, quasi traducendosi in uno stato d'ansia.

Dovendo recarci al night club di cui, a quanto pare, è proprietario Jonathan, abbiamo cambiato il nostro abbigliamento con uno più formale, rimanendo comunque sul semplice: io ho optato per un aderente vestito rosso brillantinato a bretelle, una collana nera stretta a collare ed i capelli sciolti dalla cui fronte pende il mio diadema, ed infine un paio di scarpe con il tacco a spillo. 

Azelie è fasciata da un vestito altrettanto aderente, al contrario del mio, nero (colore che ormai predilige e da cui fa fatica a staccarsi) ed anche lei la chioma scolta a fior di spalla; il tutto si intona incredibilmente con i suoi occhi scuri.

Il cambiamento che entrambe aspettiamo con più ansia, però, è senz'altro quello di Ardeth: solitamente siamo noi donne quelle sempre lente a vestirci, eppure in questo caso ho trovato l'eccezione che conferma la regola.

Mentre sono occupata a creare cerchi invisibili con le dita sul polso destro, non mi passa inosservato che Azelie è immersa nel completo mutismo ed ha lo sguardo corrucciato che ancora una volta mi ricorda troppo suo padre.

Mi sollevo con il busto riprendendo posto accanto a lei, e spostandole una ciocca ondulata nera dietro orecchio (inutilmente visto quanto abbia i capelli ribelli e tendenti a restare scompigliati) le chiedo se c'è qualcosa che la preoccupa; lei esita alcuni secondi prima di aprirsi, rivelando le sue perplessità sul fatto se i parenti che andiamo a trovare saranno o meno contenti di vederla.

"Certo che lo saranno..." faccio poi un passo mentale indietro, spostando lo sguardo davanti, stringendomi nelle spalle "Magari rimarranno un po' perplessi perché non gli abbiamo mai detto nulla di te in questi quattordici anni, ma non vedo perché non dovrebbero essere felici di conoscerti"

"D'accordo, ma... come farò a parlare con loro e loro con me dal momento che non capisco bene quella lingua?"

La sua domanda posta con uno sguardo perplesso mi scatena un piccolo attacco di divertimento, ma non sarebbe giusto riderle davanti, la metterebbe maggiormente in difficoltà o la farebbe sentire in imbarazzo.

"Tranquilla, Azelie, non dovrai mica fare un sermone di presentazione. Io e tuo padre ti faremo da traduttore..."

La mia attenzione e quella di mia figlia viene improvvisamente catturata dal tonfo sordo di un bambino piccolo che correndo ha finito per cadere a terra; mi alzo immediatamente e lo raggiungo, seguita da Azelie, chiedendogli se si fosse fatto male e contemporaneamente aiutandolo a rimettersi sulle sue gambette, osservando da me la sbucciatura che si è procurato sul ginocchio destro, da cui attraverso le pellicine hanno iniziato a ramificarsi strisce sottili di sangue.

Nonostante abbia le labbra strette ed il contorno degli occhi corrucciati arrossato, prossimi ad un pianto, lui non versa neppure una lacrima, in compenso serra le manine in due piccoli e paffuti pugnetti.

Gli accarezzo i capelli, ma non faccio in tempo a chiedergli come mai si trova qui da solo, che una voce femminile alle nostre spalle ci induce a voltarci verso la proprietaria: una donna di età matura e dai capelli scuri lasciati sciolti lungo le spalle, che si dirige correndo nella nostra direzione con la mano destra attaccata alla fronte e l'altra a mantenere il laccio corto della borsa nera.

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