17. Diciannove giorni

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<<Cazzo>> tutti si girarono verso Olcan. Era stato solo un sussurro, ma tutti lo avevano udito. Olcan era piegato a terra, in posizione fetale. Gli faceva male tutto il corpo. Si sentiva impotente, triste. Provava dolore, ma c'era anche orgoglio, sfrontatezza.
Caleb.
<<Olcan, Ol, ti prego, dimmi che ti succede, Olcan! Dove ti fa male e perché?>> Olcan non stava rispondendo a Ruana. Sapeva che i suolmate potevano comunicare in molti modi diversi. Fin'ora, lui e Caleb, avevano utilizzato solo la voce. Adesso, inconsapevolmente, si trasmettevano le sensazioni. Glielo aveva spiegato, suo padre, una volta.
I mate, sono i soliti compagni, ma essere soulmate, era una cosa di genetica. Caleb lo aveva nel DNA e lo aveva trasmesso anche al suo compagno. L'omega gli aveva detto che suo nonno era un soulmate genetico e l'aveva trasmesso a lui.
I suolmate, possono avere diverse caratteristiche. C'è chi ne possiede una, chi due, chi tre. Dipendeva da quanto eri fortunato. Loro, per il momento, ne avevano sperimentate due.
Erano sei in tutto:
Comunicare nella mente.
Provare le sensazioni e le emozioni dell'altro.
Udire la voce del compagno anche se è molto distante da sé stessi.
Scambiarsi il corpo.
Dare energia all'altro.
Sentire la presenza del mate, anche a distanza.

Nessuno di questi era facile, ma molti, come lo scambio dei corpi, erano pericolosi.
Era strabiliante come, appena capito chi era il compagno, i "poteri" genetici andassero anche all'altro.
Olcan l'aveva sempre chiamata magia.
Tutti questi però, facevano permettere di vedere attraverso gli occhi del compagno.
Chiuse i suoi, di occhi. Li strinse con forza. Vedeva il nero. Si concentrò su Caleb, sulle sensazioni che provava l'omega. Sul dolore, la fatica.
Passavano i minuti e più si sforzava più non vedeva niente.
Caleb smise di passargli le emozioni.
Il contatto finì, così come i suoi tentativi.

<<Olcan. Cosa è successo?>> L'alfa alzò gli occhi. Li posò su Clayton sicuro che lui avrebbe capito. <<sensazioni ed emozioni di Caleb>>
Il fratello dell'omega spalancò gli occhi diventati rossi <<porca puttana!>>
Aveva capito.


<<Caleb, scusa, non sono riuscito a fermarlo neanche questa volta, mi dispiace tantissimo!>> Il corpo di Kele era tremolante, scosso dai singhiozzi. Caleb lo trovava estremamente dolce. Guardandolo, una volta, giorni prima, si era accorto che anche l'altro omega era ricoperto di lividi. Recenti e più vecchi. Era un mostro. <<Kele, va tutto>> un gemito di dolore lasciò le sue labbra quando l'omega disinfettò i graffi sulla sua schiena. Il più gracile sussurrò uno 'scusa' a cui Caleb rispose con un cenno del capo <<Va tutto bene ok? Fai già troppo per me sapendo ciò che ti fa>> guardò il suo collo coperto. Lo era sempre. Chissà cosa gli faceva <<io starò bene. Devo solo aspettare che Olcan mi trovi. Da quanto sono qui? Lo sai?>> Kele lo guardò dispiaciuto facendo un sorriso triste di circostanza <<diciannove giorni>> undici di torture.
Si perse nei suoi pensieri, come era solito fare mentre Kele lo medicava. Non avrebbe voluto litigare con Olcan l'ultima volta che l'aveva visto. Odiava il rimanere in sospeso e lì, nolente o volente, era obbligato ad esserlo.
Da quando l'omega gli aveva portato dei farmaci per contrastare lo strozza lupo, era riuscito a ricomporre i pezzi che gli erano mancati i primi giorni e ricordava perfettamente ciò che era successo. Se avesse potuto rivedere il suo alpha, lo avrebbe perdonato subito. Qualunque cosa non gli avesse detto. Lo avrebbe baciato e abbracciato con talmente tanta forza da fargli perdere il respiro. Lo avrebbe tenuto vicino a lui per sempre. Non gli interessava cosa sarebbe potuto succedere. Rivoleva il suo amato Olcy. Rivoleva il suo compagno. Rivoleva l'amore. Rivoleva la sua famiglia.

Ricordava anche come era stato rapito. Per una cazzata in realtà, ma l'uomo era stato veloce, non ci aveva messo molto e soprattutto era stato efficiente. Un colpo per stordirlo, un tuffo nel lago per fare perdere le tracce, un sacco, due corde et voilà, l'omega era preso.

<<Caleb, ehi>> lo toccò alla spalla <<dovrei medicarti anche, ecco, lo sai, lì...>> Non lasciò continuare quel discorso imbarazzante e demoralizzante, si girò lasciando il suo orifizio in piena mostra sussultando ogni qualvolta Kele toccasse col disinfettante le nuove ferite. <<Questa volta hai perso più sangue>> gli comunicò. Non se ne preoccupò particolarmente. Era più spaventato dal fatto che gli avrebbe fatto male per tanto tempo.
Al contrario di ciò che si poteva pensare, Caleb non era stato traumatizzato da quegli avvenimenti.
Sì, gli dolevano e ovviamente avrebbe preferito che non ci fossero, ma per loro, gli omega, era normale sentir parlare di abusi sessuali. Nel suo vecchio villaggio, quello in cui abitava fino ai suoi quindici anni, se ne sentiva parlare ogni giorno. Anche alcuni suoi amici, maschi o femmine che sia, erano stati violentati. Ci si faceva l'abitudine psicologica.
Il fisico si abituava dopo un po', ma la mente, quella di Caleb, non gli faceva avere strani incubi, attacchi di panico, no. La mente dell'omega era sempre pronta. Scattante. Cercava di realizzare piani, anche impossibili, per fuggire. Per fare del male all'uomo incappucciato e soprattutto, portare via Kele. Non meritava tutta quella sofferenza. Non la meritava davvero.

Per un momento la testa gli girò e poi fu invasa da delle sensazioni diverse dalle proprie. Preoccupazione, timore, paura, rabbia.
Olcan.
Sapeva di cosa si trattava. Era il suo modo di comunicare giornaliero, per sapere come stava.
Gli rispose: pazienza, tranquillità e serenità.
Il contrario di come stava.

<<Tieni>> prese la pastiglia dalle mani del ventenne e la portò alle labbra. Prese la bottiglia d'acqua, ci diede un sorso. Ingoiò e ne bevve ancora.
Si asciugò le labbra con la mano destra.
<<Devo andare adesso, mi dispiace>> gli sorrise come a rassicurarlo. Stava bene. E poi gli strizzò l'occhio. Stava ad indicare che lo avrebbero fatto stare male, quel bastardo.
Gli sorrise poco più tranquillo di rimando, abbracciandolo. Ricambiò. Il corpo era mingherlino, la vita troppo stretta, i fianchi troppo sinuosi, i capelli troppo lunghi, le braccia troppo corte e senza muscoli. Non era l'abbraccio di Olcan.
Per il momento, se lo sarebbe fatto bastare.

La tana del lupo -la casa nei boschi-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora