Noi siamo delle rock star - Parte I

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Marriott Hotel – Amburgo
Stanza 165
Ore 3 del mattino

Alla fine optai per il rimorso e, lì per lì, non me ne pentii in alcun modo. Fu bellissimo aspettare con adrenalinica apprensione la fine del concerto, tornare in albergo carica di quell'eccitante ardore che è tipico dei giovani innamorati, sgattaiolare furtivamente dalla mia camera e bussare con altrettanta circospezione alla porta di Brian mossa soltanto dalla gioia di rivederlo e tuffarmi tra le sue braccia.

Entrai. Lui chiuse la porta e io gli aprii il mio cuore. Le sue labbra si posarono sulle mie nel bacio più bello, emozionante, esaltante che un uomo avesse mai potuto regalarmi. Fare l'amore con lui poi fu il culmine del piacere, il trionfo della passione, la perfetta esaltazione di tutti i sensi.

Mi svegliai che credevo fosse già mattina, ma avvertii il torpore, la stanchezza, la fatica del giorno precedente che ancora m'opprimevano sulle palpebre fiacche. A fatica le aprii, intorno a me era semibuio, ma questo non mi impedì di capire e ricordare dove mi trovassi. Provai a sollevare un po' la testa, ma un ostacolo umano mi frenò dal farlo come avrei voluto: le braccia di Brian mi cingevano strette la nuca e quello che credevo essere il cuscino su cui m'ero addormentata era in realtà il suo petto. Non potevo muovermi e, tutto sommato, non mi dispiaceva il motivo per cui non potevo farlo.

Ruotai gli occhi e notai che il chiarore proveniva dall'esterno, dalle tende filtravano le luci dei lampioni, dei palazzi, della città che non si ferma mai, nemmeno a notte fonda. Girai ancora lo sguardo e, per quello che mi fu possibile, osservai un po' la stanza: non era molto dissimile dalla mia, spartana ma pulita, essenziale ma ordinata. Le pareti erano chiare come le tende, nell'angolo accanto alla finestra c'era una poltrona di velluto con davanti un basso tavolino da caffè e dietro una lunga lampada da terra, ai lati del letto matrimoniale c'erano due comodini e, sulla parete opposta, un armadio a tre ante, lo avevo visto appena messo piede nella camera, dopo non avevo più avuto la possibilità di guardarmi intorno dato che avevo avuto ben altro da fare. Ruotai gli occhi ancora, stavolta verso l'alto, verso Brian. Era bellissimo, sembrava un angelo mentre dormiva sereno, il suo respiro profondo ma regolare, i riccioli lunghi e scuri sparsi sul cuscino e alcuni più corti che gli ricadevano morbidi sulla fronte. Era sbagliato, sbagliatissimo quello che avevamo fatto, sapevo che un giorno o l'altro la vita, così come la mia severa coscienza, mi avrebbe presentato il conto per quello che avevamo fatto alla povera Amalia, ma in quel momento non volevo pensarci.

-Dream of me...
Dream and I'll be right next to you...-

Cominciai a cantare sottovoce. Era da giorni che avevo in mente una melodia dolce e armoniosa, ma non riuscivo a mettere su un testo che fosse potuto andar bene con quel suono così delicato. Fu guardando Brian e ripensando a tutto l'amore che ci eravamo scambiati, che le parole m'uscirono dalla bocca naturalmente, in modo spontaneo.

-Dream of me...
Dream and youll be right next to me, next to me...-

-Allora sei davvero sveglia?-

La domanda di Brian m'interruppe subito. Vedeva esibirmi tutte le sere sul palco eppure mi vergognavo che mi sentisse cantare a cappella, da sola, senza accompagnamento musicale.

-Che c'è? Ti vergogni di me?- mi domandò ancora, sorridendo -Lo sai cosa penso, che hai una voce stupenda Lilibeth-

Pian piano s'alzò con le spalle dal letto e si appoggiò alla testiera. Feci per stendermi accanto a lui, ma mi fermò: -No, resta...resta con la testa qui, su di me, non andar via-

E feci come mi aveva detto. Posai di nuovo la testa sul suo petto, che saliva e scendeva al ritmo regolare del suo respiro, Brian appoggiò la mano destra sulla mia schiena e la sinistra tra i miei capelli sciolti e completamente disordinati.

On a Trip to Fame - Brian May FanfictionDove le storie prendono vita. Scoprilo ora