chapter 1

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erano le sei di mattina di un martedì d'ottobre. a milano c'era la solita nebbia malinconica, accompagnata da quel fresco venticello autunnale. che un po' mi dispiaceva lasciarla, ma ciò che mi aspettava a roma era molto più grande di qualche nuvola grigia. a pensarci bene nemmeno mi piaceva stare lì, ovunque stessi, in realtà, faceva sempre tutto schifo. ma non era sempre stato così. c'era quel tempo, non tanto lontano, in cui anche se le cose andavano a puttane, riuscivo a farmene una ragione. ce l'avevo, una ragione, e quella mattina d'ottobre stavo andando a trovarla. dopo aver aspettato un paio d'ore in stazione, salii sul treno. mi sentivo diversa, sembrava tutto così surreale mentre ascoltavo le sue crude parole nelle cuffiette e fissavo gli alberi che correvano veloci fuori dal finestrino. quando arrivai erano quasi le undici.
a roma il tempo era anche peggio, e io amavo quando era peggio. appena misi piedi sul cemento del piazzale di transito, un'ondata d'ansia mi pervase. fino a quel momento avevo cercato forse d'ignorare quelle stupide voci che mi assillavano continuamente, ma era arrivato il momento di dover affrontare la realtà, ormai non potevo più tirarmi indietro. dami era esattamente di fronte a me, teneva il telefono nella mano destra e probabilmente stava schiacciando tasti a caso, preso dall'agitazione. Poi alzò lo sguardo, forse intuendo che era il mio treno, e i nostri sguardi s'incrociarono. fu piuttosto nauseante, si, insomma...strano. dopo gli sorrisi. non era cambiato affatto, non avevo mai provato tante cose insieme nello stesso istante. mi avvicinai per salutarlo come si deve, si vedeva chiaramente che entrambi non sapevamo da che parte iniziare, avevamo troppe cose in sospeso. la mia valigia pesava parecchio, si sa come sono le ragazze in fatto di bagagli, e questo non mi facilitava affatto la vita in quel momento così delicato.
"ehi" mi disse alzando leggermente l'angolo della bocca. non sorrideva quasi mai.
"ciao" risposi sospirando. subito dopo qualcosa scattò in noi, nemmeno so cosa, ma in una frazione di secondo crollammo entrambi sotto i nostri tristi occhi. mi buttai tra le sue braccia e lui ricambiò quell'insolito gesto affettuoso stringendomi per i fianchi. ero vestita così come capitava, non ero una che ci faceva troppo caso, a quelle cose. ma solo poi mi ricordai di star indossando la sua felpa, quella del suo colore preferito, viola, e larga, che persisteva a profumare di lui anche dopo cento lavaggi. dami quel giorno ne indossava un'altra altrettanto grande, bianca panna, e dei jeans neri. se ne fregava parecchio anche lui, di quelle cose. dopo diversi secondi fui costretta a staccarmi.
"forza, uhm, andiamo" proseguì un po' impacciato. mi era mancato il suono della sua voce, il suo accento romanesco, orgoglioso e burino. mentre uscivamo da quel posto caotico mi chiese com'era andato il viaggio e via dicendo, di quelle cose che si chiedono per cortesia, ecco. man mano che camminavamo cominciavo a sentirmi più a mio agio, i ricordi dei momenti passati insieme si facevano sempre più vividi, sempre più violenti.
"ho sentito che a breve farai uscire un nuovo mixtape" affermai all'improvviso. sapevamo tutti e due che prima o poi saremmo arrivati a parlare anche di questo. dami era sempre stato attratto dal mondo della musica, quando andavamo a scuola insieme produceva i beat migliori che avessi mai sentito in vita mia, e non mi stupisce che si sia integrato facendo così tanto rumore nella scena del rap italiano. da quando me n'ero andata cominciò per gioco, forse un po' per distrarsi, e nessuno poteva immaginarselo ora a scalare tutte le classifiche. ma non era cambiato, e questo mi rincuorava. non era un tipo social, per nulla, i suoi fan non avevano nemmeno la ben che minima idea di che faccia avesse e questo semplificava il dover stare in giro, ad essere sinceri.
"già, manca poco" commentò lui.
"hai ascoltato qualcosa?" mi chiese in seguito, visibilmente impaziente di ottenere una risposta. era probabilmente una delle mille domande che gli frullavano in testa in quell'attimo.
"si, certo."
"...e?"
"che vuoi che ti dica? te l'avevo detto quello che pensavo, no?" forse ero stata stronza, o forse m'infastidiva il fatto che tra tutte le cose di cui potessimo e avessimo il bisogno di parlare, dovevamo per forza indugiare su di lui, nonostante fossi stata la prima a tirar fuori l'argomento. eravamo sempre stati entrambi troppo egoisti. dami alzò gli occhi al cielo.
"non hai mai smesso di essere incazzata con me, per tutto questo tempo?" finalmente entravamo nel vivo della conversazione. nel frattempo eravamo già quasi arrivati a casa sua.
"nah, dopo un po' la rabbia passa. solo...a volte ci penso" risposi alzando le spalle. era la verità.
"io ci penso sempre" riprese lui con amarezza. prima che me ne andassi, era tutto fottutamente perfetto. non può dirsi tutta colpa sua se me n'ero dovuta andare, ma in parte lo era.
"comunque, eccoci." nemmeno casa sua era cambiata. lo stesso palazzo di sempre, la vernice sulle veneziane scrostata, i muri non stuccati e l'ascensore era ancora rotto. fortuna abitava al secondo piano. si offrì di portarmi lui la valigia per le scale e mentre salivamo non gli levai gli occhi di dosso per nemmeno un secondo. probabilmente non ero mai stata davvero arrabbiata con lui, ma questo dami non lo poteva e doveva sapere. i suoi capelli castani erano come sempre in disordine, ricordo che le poche volte in cui erano presentabili ero sempre pronta ad incasinarglieli nuovamente. appena entrammo nell'appartamento, la nostalgia più profonda si fece strada nel mio cuore. mi sopraggiunsero alla mente tutti i pomeriggi passati lì dentro, gli scazzi, le litigate, i momenti seri, troppo intensi per due ragazzini ingenui come lo eravamo noi.
"beh, che c'è? sempre la stessa merda, che t'aspettavi?" affermò di sorpresa lui. dio, odiavo quando faceva così. per l'incapacità di comunicare si rifugiava nell'insicurezza e finiva per diventare lo stronzo più grande che conoscessi.
"ascolta, se ti va dopo che ti sistemi facciamo un giro e non ci pensiamo, okay?" aggiunse subito dopo, forse provando a rimediare. io annuii. in quei giorni avrei dormito nella camera un tempo di sua sorella, ora viveva lì da solo e il che mi sollevava. mi feci una doccia veloce, indossai un'altra felpa e poi uscimmo. mi era mancata, la mia roma.
"quindi ora sei...pulita?" mi chiese dopo un po' che camminavamo.
"già, da un mese. non durerà a lungo, comunque." volevo essere chiara con lui fin dal principio. non ero cambiata, ero sempre la stessa. lui fece un sorrisetto e io già sapevo cosa aveva in mente

soli in due ~ tha Supreme fan fiction Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora