chapter 16, dami's pov

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cosa cristo avevo fatto? era questo che mi domandavo, lì con le gambe a penzoloni, seduto sul lavandino del bagno sporco di una stupida discoteca, in cui mai prima di allora avevo messo piede. avevo ancora in mano quella scatola infernale, gli occhi quasi viola e un misto di cose dentro che se fossi stato lucido non avrei saputo provare senza uccidermi. restai in quello stato di trans per molto tempo, finché nic arrivò e mi portò a casa. non gli dissi niente, eppure il mio sguardo vuoto gli aveva già raccontato tutto.
"sei una testa di minchia, mo va a dormire" affermò scaricandomi davanti il palazzo. io biascicai qualcosa d'incomprensibile, non capivo più un cazzo. poi mi diressi all'appartamento, per davvero. ne avevo abbastanza persino io delle mie cazzate. in testa avevo il suo viso, lì con jacopo e i ragazzi a sballarsi. se chiudevo gli occhi la vedevo sorridere, nel buio di quel maledettissimo locale, chissà dove a milano. e poi sentivo la mano di quella puttana sul mio cazzo. andai a sboccare al cesso, perlomeno ebbi il riflesso di portare il mio culo in bagno. mi addormentai lì per terra, più privo di sensi che altro. il problema arrivò quando la luna sparì e il sole sorse. sei un figlio di puttana, uno stupido pezzo di merda. era questo che la voce nella mia testa mi ripeteva continuamente, mentre mi dirigevo in cucina. sono un figlio di puttana, uno stupido pezzo di merda. presi il mio cellulare e andai sul suo contatto. sapevo già fosse inutile, la chiamai. ovviamente lei non rispose. e poi, cosa avrei potuto dirle? mi dispiace, sono un disastro, mi sono fatto fare una sega da una sconosciuta, ti ho tradita perché in realtà mi manchi. suonava ridicolmente patetico. lei me lo disse; "se andrai con qualche altra ragazza..." e io le risposi di non voler nessun'altra. io le risposi la verità più sincera. e ora avevo infranto tutto, avevo mandato all'aria i piani e mi ero giocato quel briciolo di fiducia che lei, nonostante tutto, ancora riponeva in me. ero fottuto, avevo il cuore fottuto. passai il resto della mattina con gli occhi gonfi, ogni tanto qualche lacrima mi tradiva. mi sentivo solo un perdente, e senza di lei, per davvero, non m'interessava di vincere nient'altro. così feci la prima cosa che mi saltò in testa. riempii di fretta il mio eastpack nero e presi un taxi diretto alla stazione. stavo giocando col fuoco? assolutamente. potevo fermarmi? certamente. l'avrei fatto? ero quasi completamente sicuro che, seppure una parte di me la ritenesse una cattiva idea, ormai non avrei più potuto fare un passo indietro. ci ero troppo dentro. salii sul primo treno per milano, dovetti aspettare in stazione circa mezz'ora. erano già le dieci quando mi ritrovai seduto al mio posto, con un mattone nel petto e un nodo così stretto in gola che facevo fatica a respirare. fanculo, non potevo manco fumare. sarei arrivato a milano giusto in tempo, appena sarebbe uscita da scuola. non era a casa sua, l'unico posto che conoscevo, per cui sarei dovuto dirigermi lì, altrimenti non avrei saputo dove altro trovarla. sempre se c'era andata, a scuola...arrivai finalmente a milano, dopo quasi tre ore di viaggio, e il sole splendeva alto in cielo. avevo una nausea tremenda, mi stavo ammazzando le dita a furia di mangiare le unghie. quasi usciva sangue. non toccai cibo, non quella volta, non in quelle condizioni. come potevo pretendere anche solo di fare un'azione banale come quella? tutto ciò che riuscivo a fare era pensare e autocondannarmi, fino a diventare il mio incubo peggiore, presente nella realtà. li a milano bisognava faticare forse di più per salire su un maledetto taxi, ma dopo essermi sbracciato per dieci minuti riuscii a salirci. sapevo solo il nome della scuola, né l'indirizzo, né la zona, ma a quanto pare bastò, poiché in meno di venti minuti mi ritrovai in mezzo a centinaia di adolescenti in preda a mille ormoni. li guardavo parlare, urlare e spingersi l'uni con gli altri, impassibile. un'ondata di ricordi mi pervase, avevo un intero allevamento di farfalle nello stomaco. poi mi smossi, feci qualche passo. non sapevo sul serio cosa avrei fatto. e finalmente la vidi, lì con lo zaino in spalla e una ragazza a fianco, che le parlava, e lei faceva finta d'ascoltare. conoscevo bene quell'espressione, quella di quando in realtà era persa nel suo mondo, quel bellissimo mondo in cui anche io, in quell'istante, sarei voluto essere. mi avvicinai appena, così che potesse vedermi, e restai lì fermo. dopo accadde che spostò gli occhi nei miei, e io non ci capii più niente. lei inarcò le sopracciglia, forse incapace di credere che potessi trovarmi davvero li. eppure c'ero sul serio. poi chiuse gli occhi, capivo la sua frustrazione e al contempo confusione. disse qualcosa alla ragazza al suo fianco, poi si diresse verso di me, con passo deciso da far paura. io avevo la bocca asciutta.
"che cristo ci fai qui?!" ormai eravamo tanto vicini. non era così che m'immaginavo il suo ritorno, che a dire il vero in quel caso era il mio. avrebbe dovuto abbracciarmi, io avrei dovuto stringerla forte a me. e invece sembravamo sconosciuti in mezzo ad una folla.
"luna, per favore, andiamo in un posto più appartato." il cuore mi batteva così forte che temevo sarebbe scoppiato. lei mi guardava come se non provasse più niente nel vedermi, e questo faceva più male di qualsiasi altra cosa al mondo. poi fece un risolino ironico.
"sei incredibile. se hai qualcosa da dirmi, dimmelo qui." nonostante tutto, apprezzavo che mi stesse dando una possibilità. anche solo di parlare, non di farmi perdonare, io lo sapevo, ma volevo che quel castello d'illusioni resistesse ancora un po' in piedi. mi misi le mani tra i capelli, ero nel panico. come quando vuoi fare qualcosa e puoi, ma sai che non servirà a nulla. inspirai a fondo prima di aprir bocca di nuovo.
"mi dispiace, ti ci pulirai il culo con le mie scuse, e lo capisco. solo...parliamo, luna. ti prego, fammi sistemare tutto." lei mi fissava come se non mi credesse, e come biasimarla, infondo?
"allora parlami" disse con voce spezzata. le stavano venendo gli occhi umidi. perché ero sempre io la ragione delle sue sofferenze? perché se aveva gli occhi bagnati, già tutti e due sapevamo fosse per colpa mia?
"ho fatto un casino, luna. non volevo, ho perso il controllo, non ero in me." ero patetico. lei annuii comprensiva. sapevo stesse per ferirmi, sputare veleno. io non ero pronto, ma me l'aspettavo. me lo meritavo.
"mi dispiace che tu sia venuto fin qui, ma nessuno te l'ha chiesto. ora è meglio che tu vada, torna a casa e lasciami qui, al mio posto." mi aveva trafitto il petto.
"il mio posto però è con te, luna.."
"smettila, cazzo!" sbottò.
"se fosse davvero come dici..se tu non fossi..un bugiardo, non avresti...non avresti fatto quello che hai fatto!" ormai stava piangendo, davanti ai miei occhi. io provai ad asciugarle una lacrima, ma lei spinse via la mia mano da davanti il suo viso, quasi con violenza. stavo sprofondando. nel
frattempo attorno a noi si era creato un gruppetto di ficcanaso rompicazzo.
"che avete da guardare?!" dichiarai alzando il tono. tutti si voltarono dall'altra parte, riprendendo a camminare come nulla fosse. io riportai lo sguardo su di lei. si asciugò di fretta il viso con il palmo della mano.
"ti prego, vattene" mormorò in tono di supplica; non più arrabbiata, totalmente sconfitta.
"non voglio lasciarti sola, non voglio tornare a casa sapendo che tu stai così, per colpa mia" affermai mentre la mia voce cominciava a tremare. intanto il parcheggio della scuola era diventato praticamente deserto. quel silenzio era il vero colpo di grazia, come se le mie parole non le facessero più alcun effetto. io deglutii.
"ti ho vista con gli altri e..ho chiamato nic. avevo bisogno che qualcuno mi stesse vicino per evitare che combinassi qualche stronzata. poi però mi ha portato in un locale...ho fumato fino a sboccare, luna. io non ero lì presente, non c'ero sul serio. è successo tutto in fretta, e tu non mi parlavi da giorni e io..stavo male" ripresi sempre più fragile. lei ora si mordeva il labbro inferiore, per trattenere ulteriori lacrime. avrei voluto baciargliele, quelle labbra. avrei voluto che fosse tutto okay, ma mai un cazzo lo era.
"sai che c'è dami?" io avevo gli occhi lucidi.
"avevi ragione quando dicevi che ti saresti cacciato in qualche guaio. solo..non raccontare più cazzate a me e a te stesso per fingere che vada tutto bene." io non capivo, vedevo sempre più sfocato. a lei sembrava fosse passata ormai, da un secondo all'altro. era fredda come pietra e pareva avere un cuore di ghiaccio, in quel momento.
"non rassicurarmi se poi sarai il primo a farmi dubitare di te." aveva fottutamente ragione. una lacrima mi rigò la guancia.
"io avrei voluto darti solo certezze..." mormorai a pezzi.
"eppure non è stato così" rispose secca, come se ormai non si potesse più andare avanti. mi chiedevo come facesse a restare così impassibile, ma dopotutto aveva la delusione dipinta in volto. mi facevo schifo da solo, più del normale.
"sono una testa di cazzo, perché rovino sempre tutto?!" scoppiai, parlando più a me stesso, e portando una mano davanti al viso per cercare di nascondere quella patetica disperazione che prese il sopravvento. facevo un po' fatica a respirare, mi stava per venire un attacco, lo sentivo. poi sentii le sue dita prendermi il polso e spostarmi lentamente la mano che mi copriva gli occhi. aveva uno sguardo accigliato.
"ce ne andiamo, forza" mi disse quasi arresa.
"dove?" chiesi tirando su col naso. mai avevo pianto davanti a lei e mai avrei pensato di farlo. ma era vero che mai, come allora, avevo provato una così forte paura di perderla. la verità è che non mi ero mai fatto vedere così fragile da lei, o perlomeno capitò poche volte. non piaceva, cazzo, odiavo farmi guardare dai suoi profondi occhioni scuri in quello stato.
"non lo so, via da qui."

soli in due ~ tha Supreme fan fiction Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora