"è in ritardo di qualche minuto" dissi sporgendomi a leggere il monitor dietro dami.
"stai un po' meglio?" mi chiese fregandosene completamente della mia affermazione. poche volte avevo sentito un così forte peso nel petto, non stavo bene per un cazzo.
"si" risposi tuttavia.
"sei sicura?" lui sapeva tutto, in ogni momento. i miei occhi divennero lucidi, per l'ennesima volta.
"non voglio voltarmi e lasciarti qui." lui deglutì, poi chiuse gli occhi per qualche secondo.
"già, nemmeno io." capivo bene cosa stesse provando, ma odiavo la sua freddezza. forse lo intuì da come lo stavo guardando.
"pensi non stia male perché non scendono lacrime a me quando scendono a te?" mi spiazzò, come sempre.
"per favore, smetti di guardami così!" sbottò poi con voce rotta. io non riuscii più a trattenermi, scoppiai in pianto.
"non sopporto vederti così, ti prego.." continuò con voce sempre più tremante. io tirai su col naso e lo guardai negli occhi. adesso anche i suoi erano umidi. dopo mi buttai tra le sue braccia. si sentiva il rumore dell'acqua fuori, sempre più forte. all'improvviso sembrava che il resto del mondo si fosse fermato, tranne i nostri battiti, tranne la pioggia. lui affondò la testa tra i miei capelli, io appoggiai la guancia al suo petto.
"mi dispiace" sussurrò al mio orecchio, col dolore nell'anima.
"è come hai detto tu, siamo delle teste di cazzo" dissi scoppiando nel dire le ultime parole.
"non vorrei fosse in alcun altro modo" affermò lui inspirando a fatica. per la prima volta dopo troppo tempo cominciai a godermi il momento, senza più pensieri, almeno per quel breve e piccolo istante.
"dami, grazie di tutto" dissi calmandomi, ancora tra le sue braccia. non osavo staccarmi. lui non rispose per diversi secondi.
"scrivimi quando arrivi." non era da lui, ovvio, era come se non ce l'avesse nemmeno un cellulare.
"ricordi quando dovetti andarmene la prima volta?" gli chiesi poi, non so perché. ci staccammo.
"certo che me lo ricordo." poi si morse il labbro inferiore. non mi staccava gli occhi di dosso, mi domandai come avrei fatto a continuare senza sentire il suo sguardo puntato su di me. senza più sentire la sua voce, il suo profumo, il suo tocco.
"promettimi...solo..che torni" disse ancora mantenendo quel tono pieno di debolezza, ma duro allo stesso tempo, probabilmente ricordando quella volta, ricordando il silenzio della mia assenza.
"non posso starci senza di te, è scontato che torni" risposi sorridendo amaramente. dami sospirò.
"ti amo dami." non credevo di averlo detto sul serio, eppure ormai avevo confessato. sono una che ci pensa sempre due volte prima di parlare, ma in quel momento no. e mentre lui spostò immediatamente lo sguardo nella mia direzione, io scrutai il suo viso, impaziente di ottenere una reazione da parte sua. a momenti le mie gambe non reggevano dalla tensione. lui mi fissava stupito, come biasimarlo. poi qualcos'altro attirò la mia attenzione; il rumore del treno che arrivava, sfrecciando, frenando fragorosamente. così mi rigirai nella sua direzione.
"beh, devo andare.." non mi lasciò dire nient'altro, mi prese per i fianchi, mi fece avvicinare a lui e mi baciò, abbassandosi leggermente. allora mi alzai in punta di piedi, per facilitare le cose, e misi le mie braccia attorno al suo collo. mi bastava questo, il sapore delle sue labbra sulle mie, il sapore della sua bocca nella mia. ormai non pretendevo più parole, solo questo.
"perderò il treno se.."
"si" concluse lui. mi lasciò andare, sentii il freddo del vuoto che cresceva dentro sfiorarmi la pelle. presi la valigia e gli sorrisi. lui però non ricambiò, aveva la solita espressione accigliata, di quando cercava di nascondere il dolore. così mi voltai, un passo dietro l'altro salii sul treno, senza guardarmi indietro. presi posto, come sempre vicino al finestrino, giusto in tempo poiché appena mi sistemai partì. lo vidi lì in piedi, cercare il mio sguardo. mentre passavo lentamente finalmente mi notò, fece un veloce e malinconico gesto di saluto con la mano, io ricambiai. restai con la mano sospesa a mezz'aria qualche attimo, poi mi lasciai andare sul sedile, senza più un briciolo di serenità dentro le ossa. m'infilai le cuffiette e mi torturai ascoltando in loop il suo album. non ne potevo fare a meno. mi addormentai anche, qualche minuto, ma temevo di fare qualche incubo, così mi svegliai quasi contro volontà. passai il resto del tempo a fissare fuori dal vetro il mondo, continuando a ripetermi che era finito tutto, che stavo tornando e non andando. che stava finendo e non cominciando. non riuscivo, non in quella occasione, a fingere, anche per solo un secondo, che fosse tutto okay. arrivai a milano in poco più di tre ore, lì c'era il sole e di scendere proprio non mi andava. con la coda tra le gambe mi diressi verso la fermata dei pullman, fuori l'entrata principale. nel frattempo pensavo alle cazzate che avrei potuto dire una volta arrivata a casa. si, insomma, delle scuse che risultassero il più sincere possibile. intanto il sole stava calando, lentamente, e mi chiesi cosa stesse facendo dami ora. se mi pensava anche lui, se stava a casa o da qualche parte per roma o chissà dove altro. magari stava suonando. arrivai alla mia fermata e scesi dal bus, era poco lontana da casa, giusto qualche minuto a piedi. camminavo lentamente, mi volevo godere quel tramonto, anche se nulla era più uguale senza di lui. mi sentivo un po' patetica. e purtroppo arrivai dinanzi il mio palazzo. citofonai.
"sono luna" dissi soltanto, il cancello si aprì. ero sicura fosse stata mia madre, papà non mi avrebbe aperto nemmeno. nell'ascensore mi guardai allo specchio dopo un bel po' che non lo facevo. avevo le occhiaie, i capelli in disordine. ero un casino. non ero fatta, ma lo sembravo uguale. come previsto, alla porta c'era mia madre.
"che fine hai fatto?" mi chiese semplicemente, mentre entravo.
"dov'è papà?" chiesi sviando.
"è uscito stamattina dicendo di star andando a cercarti, non è ancora tornato." merda. scommisi fosse andato a bere al bar di quella troia. non ricordavo nemmeno il suo nome, ma li avevo visti insieme miriadi di volte.
"okay, beh, meglio così."
"mi spieghi ch'è successo?" mia madre era sempre stata molto comprensiva, o forse non le importava molto di quello che facessi, finché ero viva.
"mi ha trovata, poi abbiamo litigato e se n'è andato, tutto qui. quando tornerà sparerà tante puttanate, non ascoltarlo" dissi dirigendomi in camera per disfare la valigia. lei mi seguì.
"che significa? spiegati." io mi voltai nella sua direzione.
"sono andata a roma, mamma." lei alzò gli occhi al cielo.
"pensavi non lo sapessi? gesù, sei mia figlia, ti conosco meglio di chiunque altro." un po' mi stupì, lo ammetto, ma non credevo proprio fosse così.
"beh ho detto cose di cui mi pento a papà, solo perché ero arrabbiata."
"del tipo?" continuò sempre più irritata.
"che avrei lasciato scuola, che me ne sarei andata bla bla bla..." lei scosse la testa.
"sei sempre stata troppo melodrammatica, succede la stessa cosa ogni volta. sei distrutta, c'hai una faccia orrenda, cosa non mi hai detto?" in realtà era solo questa la verità, il resto si poteva anche intuire.
"papà mi caccerà" dissi solo. poi tornai a fare quello che stavo facendo. presi a togliere i vestiti sporchi e a mettercene di nuovi, praticamente tutti quelli che avevo. lei restò in silenzio, ferma dov'era. io sbuffai.
"e tu" ripresi voltandomi.
"non farai nulla, come sempre."
"oh ti prego.."
"no, è la verità e va bene così." la interruppi.
"me ne vado davvero, almeno per un po'. chiamami se papà diventa più stronzo di quello che è. posso offrirti un aiuto morale, quello che non mi hai mai dato tu."
"sei una viziata! quando finirai quei due spicci non tornare strisciando!" mi urlò dietro, mentre mi dirigevo verso l'uscita, di nuovo. nulla di diverso da ciò che avevo già sentito, poco prima. così andai da quella matta di greta, una mia compagna di classe. era una delle poche persone di cui mi fidavo, li a milano. sapevo non mi avrebbe abbandonato.
"merda luna! che storia, siediti un po' che stai tremando tutta!" per l'appunto. abitava da sola, non viveva nemmeno lei una bella situazione familiare. lavorava al ristorante sotto casa, pensavo che per qualche tempo avrei potuto adottare anche io uno stile di vita simile a quello.
"che domande, ovvio. puoi stare qui fin quando vuoi. mi darai una mano giù, che ce n'è sempre bisogno."
"greta, non so davvero come ringraziarti" le dissi sorridendo.
"non devi, sul serio. tutto per un'amica in difficoltà" mi rispose sorridendo a sua volta.
"e poi, qui da soli ci si annoia. fidati, sarà una gran figata convivere. comunque a scuola è successo un bel casino, quello stronzo di mattia è stato sospeso..." purtroppo smisi di ascoltarla. continuai ad annuire e sorridere, mi scaldava il cuore vederla così eccitata, forse più di me. ma la mia testa era totalmente su di un altro pianeta. dopo un paio d'ore di chiacchiere varie greta mi portò giù, per farmi conoscere il posto e tutto il resto. era un piccolo locale, il personale era gentile. il proprietario era un uomo sulla cinquantina, non troppo alto, molto cordiale. avrei dovuto tenere un colloquio l'indomani dopo scuola. era già lunedì, avevo un gran nodo in gola nel pensare quanto tutto stesse cambiando velocemente. a dire il vero era già capitato, in terza superiore, ancora a roma. avevo ottenuto lavoro in una piccola officina giornalistica. per quei mesi praticamente vissi a casa di dami, ma ero io a mantenerlo. non era un bel periodo per lui, sua madre se ne era appena andata di casa. però non potevo continuare a pensarci, altrimenti mi sarei messa a piangere. quei momenti erano ormai legati al passato, non sarebbero più tornati. una vita corsa a scappare dal dolore causato dagli altri o da noi stessi, sempre mano nella mano. e ora eravamo ancora da soli, ognuno per le sue. in quell'istante mi resi conto di non avergli scritto nessun messaggio. dopo aver mangiato un piatto di pasta al volo, tornammo nell'appartamento. io mi feci finalmente una doccia lunga un'infinità. nel frattempo greta mi aveva preparato il letto, nella stanza accanto alla sua. era davvero un bel posto, in realtà quasi meglio di quella topaia di casa mia. dopo aver dato la buonanotte a greta e averla ringraziata per la centesima volta, mi buttai tra le lenzuola e presi il telefono. era mezzanotte.
"sono a casa, già da un po'" inviai subito il messaggio, senza esitare.
"non casa mia però :/" aggiunsi subito dopo. aspettai qualche istante online, poi spensi. restavo lì con le mie mani in mano, a fissare il soffitto, immersa nell'oscurità. all'improvviso arrivò una notifica. quando sul display del mio iphone lessi il suo nome, il mio cuore mancò un battito.
"che cazzo hai combinato?" alzai lo sguardo in su. non mi lasciò il tempo di rispondere che stava già scrivendo qualcos'altro.
"chiamami." sorrisi nel buio.
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soli in due ~ tha Supreme fan fiction
Hayran Kurgu⚠️ licenza poetica: il vero nome dell'artista su cui è basata questa fan fiction non corrisponde al nome da me scelto nella storia, per una banale scelta stilistica. si tratta di un adattamento, tutto ciò che comprende questo personaggio, per il res...