chapter 20

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"e invece ti ricordi quando hai rotto la finestra della 2ª C?" scoppiai a ridere. io e dami parlavamo da ore, ormai ero andata a sedermi su delle scale, ancora. sarei stata lì per sempre, a rivangare quei momenti felici. certo, tutto sarebbe stato meglio se lui fosse stato lì con me, in carne ed ossa. ma se c'era una cosa che avevo imparato in quei mesi, era che bisogna apprezzare le cose che si hanno, piccole o grandi che siano. che poi non tornano indietro. che poi le trascuri, le perdi, e ci stai anche peggio. bisogna imparare ad essere felici con poco, ed io stavo cominciando a capirlo. ma anche quel pensiero, quel nuovo modo di affrontare le cose, non m'impediva di sentire la sua mancanza ogni secondo passato lontano da lui. niente avrebbe potuto impedirlo. e così, dopo quella sera, mi sembrò come se tutto fosse ricominciato da capo, di nuovo. io e dami ci sentivamo tutti i giorni, più di una volta al giorno. a volte quel matto mi videochiamava anche, logicamente nei momenti meno opportuni. mentre lavoravo, persino a scuola. eppure, nonostante la lontananza, nonostante i nostri errori, pareva che tutto andasse bene, per una volta. pareva che riuscissimo ad essere felici, più o meno, anche così. ma era praticamente sistematico che nulla sarebbe potuto andare liscio per sempre. arrivò anche il giorno in cui mi si ruppe ancora il cuore. ero in casa, sulla punta del letto, greta vicino a me, ero in chiamata, stranamente, con dami. suonarono alla porta, greta andò a vedere. ma era per me. era fottutamente per me.
"papà!" esclamai appena lo vidi. mh, quella scena non mi era affatto nuova.
"ma guarda un po' chi si è degnato di farsi vedere!" esclamò allora. non ci potevo credere.
"non sarei dovuta più tornare, giusto? parole tue.." ribattei alzando le mani in segno di resa, come aveva fatto lui a casa di dami. avevo ancora impresse in testa quelle sue parole, insieme alle altre mille che lui m'aveva detto fin da quando venni al mondo, che m'avevano fatto male, che, in parte, m'avevano fatto diventare ciò che ero. era anche colpa sua. anche merito suo. lui non commentò più.
"tua madre era preoccupata, come sempre." io sbuffai.
"sto bene" dissi guardandolo negli occhi. mi veniva da piangere. io stavo bene...credo.
"okay."
"come hai fatto a trovarmi?"
"è un quartiere piccolo, luna." giusto.
"e c'è nient'altro?" lui non rispose, non sapeva che dire. nemmeno io.
"beh allora forse è meglio che te ne vada." non volevo essere scortese, mi faceva male vederlo, però. lui sospirò.
"non far cazzate" disse semplicemente, per poi andarsene definitivamente. beh, non era andata male, ma probabilmente nemmeno bene. presi una felpa e uscii senza pensare, anche se greta mi chiamava da dietro. non riuscivo, giuro, anche se avessi voluto, ad ascoltare nessuno. nemmeno dami, purtroppo. camminai così tanto che oramai mi facevano male i piedi. mi sentivo in quel modo, che un nome non ha, è solo una sensazione, e non sapevo che altro fare. non sapevo perchè ci stessi, così. e allora, per l'ennesima volta, feci la prima cosa che mi passò per la testa. ero sempre stata una persona molto impulsiva, se ero presa male lo ero anche il doppio. andai in stazione, ancora. e in quel momento pensai che avrei potuto non tornare più. sapevo che ne sarei stata anche capace, trasformare quella follia in una sola andata. non avevo soldi con me, non feci il biglietto e salii di fretta, sul primo che andava a roma, senza scali. non avevo tempo da perdere, di tempo non ce n'era mai. scorreva sempre, e più ci pensavo, più precipitavo in quell'abisso. quello buio, non riuscivo più a scorgere un filo di luce e speranza, mi sentivo soffocare. succedeva mentre ero lì a fissare fuori dal finestrino, avrei voluto andare più veloce e non sapevo perché. sapevo solo che stava per venirmi un attacco. misi due dita sotto il mio mento e sentii i battiti del mio cuore accelerare. poi spostai la mano sulla mia coscia, che continuava a tremare. presi due lunghi respiri e pensai al viso di dami quando mi avrebbe vista. pensai ai suoi capelli lunghi, mossi e perennemente incasinati. alle sue labbra sempre rotte a furia di mordersele, ma capaci di dare i baci migliori. capaci di parlare le parole migliori. finalmente mi calmai. mi addormentai anche. quando mi risvegliai ero già quasi arrivati, avevo lo stesso un peso sullo stomaco. scesi, uscii dalla stazione di fretta, praticamente correndo, e ancora non capivo perché. quando uscii mi fermai e presi un'ampia boccata d'aria fresca. roma era sempre grigia, quasi pioveva, ed era esattamente come l'avevo lasciata. esattamente magica, come sempre. esattamente come la volevo. non potevo prendere nemmeno un taxi, salii allora su un pullman, l'unico che si avvicinava il più possibile a casa sua, sempre se l'avessi trovato lì. intanto mi aveva chiamata un paio di volte ed io non avevo ovviamente risposto. giuro, avrei voluto non tornare mai più indietro. quello che sarebbe successo dopo mi spaventava più di ogni altra cosa. misi un piede a terra, mi sembrava tutto maledettamente strano. feci quattro passi, rallentando un po' il ritmo, e alla buon ora arrivai davanti casa sua. che poi era anche casa mia. allora gli scrissi un messaggio.
"scendi." lui mi rispose subito.
"ma che stai a di"
"oh perchè non hai risposto alle chiamate prima?"
"luna che cazzo." sorrisi.
"tu scendi in strada." lui visualizzò e non rispose. aspettai diversi minuti, quando poi sentii dei rumori, spostai gli occhi dal mio cellulare a davanti a me, e lo vidi. mi tremavano le gambe. era...era lui, era bellissimo. capivo il disordine che si diffondeva velocemente nei suoi occhi. sembrava quasi che avesse paura, non sapevo perché.
"ciao?" dissi timorosa. dami sospirò e sorrise, come se finalmente fosse tornato a respirare. anche io, finalmente respiravo. mi avvicinai piano, non feci in tempo ad arrivargli vicino che lui fece un lungo passo e mi cinse per i fianchi. io gli buttai le braccia al collo, mi abbandonai al suo profumo. sentivo il mio petto bruciare.
"perché sei qui?" mi chiese ancora attaccato a me, stringendomi un po' più forte.
"non sei felice di vedermi?" non lo so, c'era qualcosa in lui che non mi convinceva. ci staccammo. dami roteò gli occhi, dopo deglutì guardandomi dall'alto.
"lo so che è successo qualcosa. altrimenti non saresti qui." era davvero bravo.
"perché non posso solo aver voglia di vederti?"
"hai sempre voglia di vedermi. ma non lo fai mai." il mio cuore mancò un battito. presi a guardarmi le scarpe, sporche di ghiaia, e poi a torturarmi le unghie.
"dai luna, sai cosa intendevo. stai bene?" disse cercando il mio sguardo, ma io non accennavo a spostare la vista da terra.
"adesso si" risposi, nonostante tutto, perché era la verità. qualsiasi cosa sarebbe potuta mai succedere, io, per essere felice, sarei sempre tornata da lui. sempre.
"non hai niente con te, sei scappata ancora, vero?" faceva troppe domande.
"fai troppe domande." finalmente lo guardavo negli occhi, mi sentivo fottutamente debole.
"scusa.." mormorò allora. sembrava fragile anche lui.
"sei bellissima" mi disse all'improvviso. io piegai la testa di lato, probabilmente ero arrossita. e ancora avevo gli occhi un po' lucidi.
"mi sei mancato, dami." il dolore traspariva dalla mia voce. allora si avvicinò, mi mise una mano sulla guancia, delicato, mi guardava in quel modo ed io mi stavo sciogliendo. si stava piegando piano, in mezzo secondo le sue labbra erano sulle mie. grazie a dio, grazie a dio ero felice di nuovo.
"mi dispiace, ti prometto che un giorno ce ne andremo" sussurrò ad un millimetro dalla mia bocca. non gli avevo ancora detto niente, eppure aveva già capito tutto.
"andiamocene ora" dissi sofferente, aggrottando le sopracciglia. si allontanò per guardarmi meglio, poi si morse il labbro inferiore. era dannatamente bello.
"di solito funziona al contrario. che t'è successo, non sei più quella che pensa troppo?" già, di solito era al contrario e mi piaceva il fatto che non fossi stata l'unica a notarlo. mi piaceva perché lui, se si trattava di me, di noi, era meticolosamente attento ad ogni minimo dettaglio.
"si, dami, ma mi sono rotta il cazzo."
lui fece il labbruccio, mi erano mancate anche le sue prese in giro e di potere, nulla da dire.
"vabe ascolta, di parlarmi non ti va, ma tu adesso sei qui e, insomma, direi che possiamo cogliere l'occasione e non starcene qui con le mani in mano, okay?" io annuii timida. non so perchè ma mi sentivo in soggezione, mi sentivo piccola.
"e dopo ce ne andiamo per sempre?" domandai ancora senza pensarci, senza freni. in quell'istante credo che dami capii quanto io stessi male e quanto io avessi davvero bisogno di lui, di fatti s'addolcì un po'. eppure non mi rispose, come avrebbe potuto? però mi si avvicinò piano e mi prese adagio il viso tra le sue mani. mi guardava, non solo negli occhi, d'appertutto. guardava le mie labbra e infondo, nonostante tutto, capivo quella sua astinenza perché, senza accorgermene, anche io guardavo le sue. vaffanculo, ci baciammo ancora, e ancora, fino a star per morire d'apnea. e successe che in un secondo, in fretta e furia, dami mi accompagnò di sopra, e finimmo in camera sua. non mi lasciò il tempo di godermi tutti quei ricordi che la vista di casa sua mi portava a mente, perché eravamo ancora appiccicati l'una all'altro e sapevo già dove stesse andando a parare. chiuse la porta dietro di noi, seppur fossimo soli, e poi tornò a fissarmi. avevo una stupida felpa e degli stupidi jeans, ma da come mi fissava sarei potuta essere una regina.
"cosa stai aspettando?" gli chiesi. lui fece un sorrisetto.
"non lo so, tu?" che stronzo.
"smettila."
"di far cosa?" gesù, non era il momento. ma lui era fatto così. e lui era lui, no?
"non posso darti quello che vuoi se non mi dici cosa vuoi" affermò provocandomi. okay, ero stanca davvero. mi avvicinai guardandolo male, gli misi una mano sul petto e lo tirai leggermente verso di me. rimasi un attimo incantata dal suo solito profumo, quello che mi era mancato tanto. quello che quando sentivo distrattamente per le strade, associavo a lui e di conseguenza a tutte quelle emozioni che solo il problematico ragazzo che avevo davanti sapeva farmi provare. non si poteva descrivere, quel profumo, era soltanto profumo di casa.
"guardami negli occhi e dimmi che sei abbastanza sveglio da capire cosa voglio." non ero mai stata così coraggiosa con lui, non che io ricordassi. mi andava di fare la stronza, si, perché sapevo lo eccitasse. infatti prese ad agitarsi, sotto il mio sguardo. eravamo troppo vicini, sentivo tutto il calore che cresceva in lui, e in me.
"io lo so cosa vuoi. tu, invece?" adesso ero io a sciogliermi davanti ai suoi occhi. si avvicinò ancora, piano piano, vicino al mio orecchio. affondò la bocca tra i miei capelli.
"dimmelo. dimmelo e te lo darò" sussurrò. io stavo per tremare. sapevo che questo momento sarebbe arrivato, purtroppo. il momento in cui lui avrebbe avuto bisogno di qualcosa, ed io non sarei stata in grado di darglielo. sarà stato che ero più piccola, di testa, e a certe cose io ancora non ero pronta. lui era dovuto crescere tanto in quegli anni, io non volevo crescere, forse. ne avevo paura, per davvero, perché sapevo di non essere abbastanza in quell'istante. sapevo di non esser capace a dire un semplice: "facciamo l'amore." ad un: "ti voglio su di me, per sempre, non lasciarmi." non ne ero capace e non sapevo che fare, perché lui aveva la necessità che io ne fossi in grado. così lo spinsi via da me, sfortunatamente il mio modo di estraniare quella confusione che mi tenevo dentro era sempre lo stesso; quelle fottute lacrime. erano arrivate all'improvviso, mi rigarono le guance violentemente. subito sopra il volto di dami si diffuse la preoccupazione.
"cazzo luna, io..."
"..scusa" lo interruppi tra un singhiozzo e l'altro. poi affondai il viso tra le mie mani, non volevo andasse così. ogni cosa era un dramma, se si trattava di noi. cristo, anche scopare, adesso.
"ehi ehi stai calma, è tutto okay." mi racchiuse tra le sue braccia, l'unico posto in cui sarei voluta essere.

soli in due ~ tha Supreme fan fiction Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora