chapter 19

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per un breve momento spostai lo sguardo verso le stelle. non riuscivo a stare calma, facevo fatica a respirare.
"abbiamo bisogno di pensare, credo" affermò dami sviando.
"mh" commentai semplicemente, aspettando un qualcosa che sapevo non sarebbe arrivato.
"non posso stare qui. lo capisci?" no, no che non capivo.
"cos'hai intenzione di fare?"
"vado a casa" rispose, confermando le mie paure. poi si voltò e prese a camminare. io lo seguii per un po'.
"torna indietro luna, fatti accompagnare a casa da qualcuno. rischi di cacciarti in qualche altro guaio, fidati" affermò lui mentre continuavamo a camminare, teneva lo sguardo dritto dinanzi a sé. io pensai che in quell'istante niente sarebbe potuto andare peggio. però mi fermai. lo guardai camminare, allontanarsi da me, senza più ripensamenti, o perlomeno così a me pareva.
"dami!" lo richiamai da dietro. lui si girò. ogni volta che pensavo d'aver toccato il fondo, scoprivo ci fosse un fondo più fondo. e questo me lo dimostravano i suoi occhi distrutti, i suoi bellissimi occhi che sempre desideravo incrociare, ovunque mi trovassi.
"ti amo" dissi solamente. eppure mai avevo detto qualcosa di più vero. dami sospirò.
"anche io." poi riprese per la sua strada. io restai lì, perennemente con gli occhi bagnati, la testa incasinata e la pelle d'oca. riuscii a smuovermi solo dopo svariati minuti, prendendo la decisione di ritornare al club. e ora che cazzo avrei dovuto fare? mentre mettevo un piede davanti all'altro, passo dopo passo, mi chiedevo perché tutto dovesse essere sempre così complicato. mi chiedevo se fossi rimasta, cosa sarebbe successo. dove saremmo ora. se fossimo stati ancora insieme, se fossimo stati felici. ma era inutile pensarci, era un vicolo cieco, ciò che era stato non si poteva più cambiare. quando rientrai nel locale, la testa mi stava scoppiando. sentivo rimbombare la musica dappertutto dentro di me. riuscii a raggiungere il privè, mi sembrava d'aver appena scalato una montagna. corsi subito verso jacopo, ai miei occhi appariva l'unica via sicura, in quell'istante.
"che fine hai fatto?" mi chiese sorridendo. appena arrivai di fronte a lui cambiò espressione.
"stai bene?" chiese più serio.
"devo andare a casa" risposi solo. io lo vidi confuso.
"se vuoi vado a piedi, ma non so se ci riesco." stavo delirando, ero troppo lontana da casa, a piedi sarei arrivata in un paio d'ore.
"no, cazzo, no. ti accompagno." gli sorrisi. prima di andare sboccai nel bagno del bar, jacopo disse agli altri che sarebbe tornato subito, poi eravamo pronti. salimmo sulla sua porsche carrerra, lucente come le sue collane. avevo un po' di paura, lo ammetto, jacopo non era lucidissimo. ma quella macchina era dannatamente comoda. dopo abbassai il finestrino, guardavo milano sfrecciare di corsa, l'aria fresca che mi travolgeva. ci misi un po' per ricordare a jacopo la strada di casa, ma alla fine arrivai sana e salva..più o meno. prima di scendere dall'auto presi un grande respiro.
"grazie, davvero, non so come.."
"non scusarti, questo è nulla" m'interruppe. io annuii sorridendo appena. mi sentivo incredibilmente piccola, non capivo perché. ero immatura, avrei dovuto ancora imparare tanto dalla vita, e quel momento d'imbarazzo me lo ricordò.
"riguardo quel che è successo prima.." cominciò lui, timoroso. merda.
"mi dispiace, jacopo. non sai quanto" lo fermai prima che avesse potuto farsi strane idee.
"oh" commentò solo lui. io mi portai le mani sul viso. non volevo, vaffanculo, no che non volevo, ma purtroppo mi misi a piangere, in silenzio.
"ti ho incasinato" dissi tra le lacrime. lui se ne accorse.
"ehi ehi non fare così" mormorò spingendosi più vicino a me.
"sei un po' una stronza, ma lo capisco, davvero." io invece non capivo come facesse a non odiarmi a morte, dopo tutto. l'avevo illuso, ben due volte, eppure sembrava non perdesse mai la speranza. o forse era solo come sembrava: non gliene fregava granché. voglio dire, forse era il tipo che per certe cose, per tipe come me, non avrebbe ucciso. e un po' lo capivo.
"dov'è finito dami?" chiese solo poi. io presi un respiro profondo. se in quell'istante ci fosse stato dami, con me, mi avrebbe stretta forte al suo petto. ma lui non era lì, e jacopo non era dami.
"se n'è andato." dissi soltanto.
"cioè? dove?"
"torna a roma." lui sbarrò gli occhi.
"proprio adesso, a quest'ora?" io annuii. che altro avrei potuto fare?
"si, è proprio come stai pensando. ci ha visti, abbiamo parlato e poi lui se n'è andato" ruppi il silenzio, biasciando appena.
"beh mi..mi dispiace" disse lui evidentemente a disagio, non sapendo che altro dire.
"è colpa mia, perché chiedi scusa?" poi lo guardai negli occhi, sospirai. aprii la portiera e, lentamente, misi una gamba fuori. a malavoglia anche l'altra, e mi presi qualche secondo per capire come potessi andare avanti senza cadere. ma prima mi voltai.
"grazie e...scusa" ripetei. lui scosse la testa sorridendo.
"forza entra in casa, bestia" mi disse cauto. io sorrisi, ma qualcosa m'impediva di girarmi. lo salutai definitivamente con un cenno della mano, lui mi mando un bacio, ironico. risi un po', e finalmente me ne tornai a casa. inutile dire che greta mi accudì come si deve, una volta viste le mie condizioni. nonostante tutto, a primo impatto, era quasi felice che mi fossi lasciata andare, ma quando le raccontai tutto, quando non vide dami con me, capì che qualcosa non andava. le raccontai, mi consolò, e poi mi addormentai, forse per colpa dell'alcol. la mattina però arrivò. di andare a scuola non mi andava, di lavorare non mi andava, di alzarmi dal letto, proprio, non mi andava. avrei voluto tornare indietro nel tempo, quello sì, prima di quella sera. e non quella appena passata, nemmeno quella fottuta notte in cui dami mi chiamò, mi uccise. sarei voluta tornare alla sera prima del mio ritorno a milano. a dire il vero, se proprio avessi voluto sognare in grande, sarei voluta tornare a due anni fa. eppure mi trovavo nel presente, e in quell'istante andava tutto che era uno schifo. alzai quel culo dal letto, feci tutto ciò che andava fatto. con la testa sul banco, a stare attenta proprio non ci riuscivo. ma d'altronde, chi ne sarebbe stato in grado, in quella situazione del cazzo? avevo la testa altrove, come sempre. di fatti l'ultima campanella arrivò a suonare così in fretta che non pareva vero. per non parlare del pomeriggio passato al pub. facevo fatica anche a prendere le ordinazioni, a scrivere, a sorridere, a parlare. a fare quelle cose che in realtà erano la quotidianità, ma non mi sembrava di essere reale, di star vivendo davvero. mi sembrava che fosse tutto un incubo, sul serio, dalle grandi alle piccole e stupide cose. ritornata su, in appartamento, ero del tutto morta. come ogni giorno, si, ma quel giorno un po' di più. e il motivo era piuttosto comprensibile ed evidente. sentivo quel costante vuoto. avevo provato a chiamare dami un paio di volte, nell'arco della giornata, ma come previsto non rispose mai. certi istanti mi sentivo finita, disperata, a volte avrei voluto solo piangere. ma era normale, penso. per il resto del tempo, invece, mi sentivo solo svuotata, come se non sentissi assolutamente più nulla. quella tortura continuò per un paio di giorni ancora. nel frattempo continuavo a cercare di vivere, si, come sempre. la sera uscivo, tra me e jacopo c'era stato un po' di disagio all'inizio, poi pareva esser tornato tutto come prima. almeno con lui. poi però ecco che tutte quelle menzogne che mi raccontavo si smontarono, in meno di una frazione di secondo. era notte fonda, forse le quattro, o le cinque. io non riuscivo a dormire, come ogni notte, ma quella notte non sapevo cosa, ma qualcosa era diverso. ero scesa in strada, facendo il più silenzio possibile, avevo preso la metro e me n'ero andata in centro. milano era vuota, era meglio del solito. diciamo un po' meno peggio del normale. avevo addosso la sua felpa viola, enorme, mi copriva quasi anche le ginocchia. dopo il telefono suonò. lessi il suo nome sul display, il mio cuore cominciò ad accelerare fin da subito. mi presi qualche istante prima di rispondere.
"pronto?" non sapevo perchè l'avessi detto, non rispondevo mai "pronto" ad una telefonata.
"ei" disse lui. cristo, quanto mi era mancata la sua voce. quanto mi mancava, tutto di lui.
"ciao" dissi allora, non volevo farlo trasparire, ma nel mio tono si leggeva chiaramente il sollievo che provavo nel sentirlo, finalmente.
"ti ho svegliata?"
"io? scherzi?" dissi sorridendo un po'. lui fece un risolino. lo volevo davanti a me. volevo piangere ancora, per sempre se sarebbe servito a riportarlo qui da me.
"come stai?" gli chiesi allora. lui sospirò.
"prossima domanda?" quanto mi faceva male, tutto ciò.
"okay, uhm, dove stai di bello?"
"di bello proprio da nessuna parte. sto a..emh, casa? se si può chiamare così." non riuscivo a smettere di sorridere.
"sul balcone?"
"mh mh" confermò lui il mio presentimento. lo conoscevo fin troppo bene.
"vedi la luna?" domandai alzando gli occhi al cielo. era piena. luminosa.
"si, è piena." sentii un tonfo nel petto.
"tu dove sei?" mi chiese poi.
"sono andata a far due passi, sto davanti al duomo."
"oh wow, e..com'è?" non riuscivo più a fingere.
"è uno schifo, tutto." mi tremava un po' la voce.
"scusa se non mi son fatto sentire" affermò d'un tratto.
"perché tutti continuano a chiedere scusa? non hai colpe" dissi allora. mi uscì dal cuore.
"ce le abbiamo entrambi." si, forse era così.
"luna io..io ho bisogno che tu ti fida di me e che io possa fidarmi di te."
"perché?" d'altronde, era vero, no? perché?
"perché ti sto dando il mio cuore, sul serio." non avrei voluto farlo soffrire mai più, proprio mai più. chiusi gli occhi un secondo.
"anche io, dami." ero stata profondamente sincera, forse si capiva dal mio tono.
"lo sai, quando hai detto che ora sarebbe stato tutto peggio. perché non potevi sbagliarti? perché è dovuta andare in questo modo?"
"non lo so. anche io avrei voluto sbagliarmi."
"ora..ora che si fa?" avevo paura di sentire la sua risposta.
"stai facendo troppe domande." io feci un risolino.
"e non chiedere scusa" mi precedette.
"okay, scusa."
"..cioè, okay" mi corressi.
"sei incredibile!" affermò ironico, ma dolce. sentivo stesse sorridendo, anche io.
"non lo so che cosa si fa, ora" riprese dopo infinti attimi di silenzio. l'ansia mi stava mangiando.
"jacopo è una bella persona, per quanto io lo conosca. davvero" affermai all'improvviso.
"perché mi stai dicendo questo?" domandò lui visibilmente irritato.
"lasciami arrivare al punto." presi un lungo respiro.
"il punto è che ho sbagliato. ho fatto un errore che da sobria, e senza l'immagine di un'altra addosso a te costantemente in testa, non avrei mai fatto." finalmente sputai il rospo.
"oh" commentò banalmente dami. mi dava fastidio quando non parlava. ma a volte lo facevo anche io.
"beh, anche io ho sbagliato, allora" disse solo. sospirai ripensando a tutto il casino.
"non sbaglieremo più" esclamò dami d'un tratto.
"si?"
"si." sorrisi nuovamente. non era tutto a posto, ma infondo, a noi, andava bene così. ci vivevamo nel disordine, e ci avevamo sempre vissuto. ma insieme. soli, ma insieme.

soli in due ~ tha Supreme fan fiction Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora