XIV.Tamacti

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Dopo aver rivelato la mia decisione, sicuramente avventata ed ispirata dal mio istinto fiducioso, Selva si chiuse a riccio, ignorando le uova e stendendosi su quello che ormai era diventato il suo rifugio sicuro, il mio letto.

Non provai a parlare con lei, infondo non ero mai stato bravo con le parole, e finsi di non sentire i suoi singhiozzi strozzati e trattenuti.

Non si muoveva e sembrava realmente triste a arrabbiata col sottoscritto, ma per quanto difficile potesse essere l'accettazione di dover abbandonare i propri cari e la sua vita, quella era l'unica cosa da fare. Mi aveva chiesto varie volte di poter almeno telefonare a casa per tranquillizzare i suoi genitori in pena, ma avrebbero potuto localizzare la chiamata e trovarla subito, e sarebbe stato più sicuro sia per lei che per i suoi cari non sapere dove fosse nascosta.

Probabilmente a quell’ora erano già entrati nella loro umile casa, mettendola a soqquadro per trovare la ragazzina ricercata, minacciandoli con la loro altra figlia per rivelare il suo nascondiglio, e allora avrebbero ceduto, col timore di perdere anche quella.

Dovevamo lasciare Minartas al più presto, non potevo più aspettare.

Quando smise di piangere e sembrò tranquillizzarsi, mi avvicinai a lei e le porsi un pezzo di carta unto e stropicciato che avevo trovato in fondo ad un cassetto e una matita.

Lei mi guardò confusa, mettendosi seduta sul materasso. I suoi occhi castani erano ancora rossi e gonfi dal pianto silenzioso, ma non mi guardavano più con rabbia, se non con indifferenza, e pensai che fosse peggio.

-Puoi scrivere un messaggio ai tuoi genitori, dicendogli che stai bene. Rassicurali e basta, non lasciare informazioni che potrebbero incastrarti. I soldati saranno forse i primi,a leggerlo.-

Lei prese il foglio e la matita con mani tremanti. -Come farai a consegnarlo?-

-Non preoccuparti di questo.-
Entrai in bagno per farmi l'ennesima doccia, sentendo il suo sguardo bruciarmi sulla schiena.
Pensavo che fosse pericoloso anche scrivere una lettera, quei soldati erano imprevedibili, ma non ero riuscito a resistere alle sue lacrime nascoste, come se si vergognasse di piangere davanti a me.
Provavo una certa pena per la sua situazione. Ero stato giovane anche io, e alla sua età non avevo più nessuno su cui contare, nessuno che mi avrebbe protetto, perciò mi sentivo responsabile anche io, se i suoi genitori non potevano occuparsi di lei, lo avrei fatto io, anche se nessuno lo aveva fatto con me.
Non sapevo nemmeno se definirmi il suo rapitore o il suo salvatore, probabilmente nessuno dei due.
Quando rientrai nella camera, Selva era seduta sul tavolo e guardava con indifferenza il foglio di carta.
-Ecco, ho scritto il messaggio.-
Mi avvicinai e presi la lettera spiegazzata.
La sua scrittura mi destabilizzò. Non era come mi aspettavo. Ero molto bravo a leggere le persone, e avrei immaginato uno stile diverso, più aggraziato e ordinato come lei, ma mi sbagliai, ancora non la conoscevo.
Aveva scritto frettolosamente metà in corsivo e metà in stampatello e le parole non seguivano tutte le stessa linea. Ci misi un po’ a capire ciò che aveva scritto.
“Sono Selva, sto bene e sono al sicuro, non preoccupatevi per favore . “
Mi sarei aspettato qualcosa di più sdolcinato e triste, ma che ne potevo sapere io dei suoi sentimenti.
-Scrivi come un bambino di sei anni.-
Per la prima volta dopo molte ore smise di guardarmi con astio e mi sorrise, abbassando gli occhi.
-Sono pigra, non mi è mai piaciuto scrivere, ma lo so fare meglio.-
-Nemmeno io scrivo bene, in realtà. Non per la pigrizia, ma perché non lo faccio da tanti anni.-
Alzò lo sguardo, guardandomi con occhi curiosi. -Se non lo fai da tanto, come fai a dire che non lo fai bene.-
-Beh, il fatto che ci ho messo più del dovuto a leggere il tuo messaggio è già un brutto segnale.-
Selva ridacchiò a labbra chiuse, scuotendo la testa divertita. -Non disperare, nemmeno io capisco la mia scrittura.-
Sussultammo entrambi quando sentimmo bussare violentemente alla porta.
Selva si irrigidì e guardò la porta d'ingresso con timore, ma avrei riconosciuto il tocco di Ombra ovunque.
Mi avvicinai per togliere la sbarra di ferro e la mora si fiondò nella stanza come un uragano, il volto sudato e i vestiti appiccicati al corpo muscoloso.
-Mi hai fatto chiudere la macelleria, spero davvero sia importante questa volta!- esclamò andando diretta verso il frigo alla ricerca di una birra fredda. Io non le bevevo quasi mai, le compravo più che altro per lei.
Il suo sguardo si bloccò sulla figura di Selva. -Come mai è ancora qui?-
-Partiamo.-
-Chi, dove?-
Indicai la ragazzina, che manteneva lo sguardo intenso della mia amica. – Lasciamo Minartas. Non la consegnerò a Mama Mandombe.-
I suoi occhi si spalancarono sorpresi e per poco non gli andò di traverso la bibita. -Sei completamente impazzito, Tamacti.-
Mi aspettavo quella reazione. Erano mesi se non anni che le dicevo che presto sarei partito alla ricerca di una vita migliore, glielo ripetevo talmente tante volte che probabilmente aveva incominciato a non credermi più.
-Oramai così ho deciso, ti chiamato solo per avvisarti. Nessuno ovviamente deve saperlo.-
-Quindi è questo che vuoi! Suicidarti? Vuoi intraprendere un viaggio con un’umana ricercata, e non sai nemmeno cosa ci sia la fuori! Potrebbe esserci di tutto, lo sai? E se ti sbagliassi? Se quello che resta del mondo è solamente il nulla più totale?-
-Ho aspettato questo momento per tanti anni, se ho deciso di andarmene è perché sono certo, perché ho preparato questo piano sin da quando sono arrivato qui. –
La fuga spericolata non era l'unica soluzione per lasciare Minartas. Potevi chiedere l'aiuto della strega, e ritrovarti in poco tempo dall’altra parte del mondo, ma il prezzo da pagare non era nemmeno immaginabile.
-E quando vorresti partire?-
-All’alba. Mi serviranno delle scorte…alimentari.- esitai, sperando che Selva non capisse che mi stessi riferendo ai cuori umani nelle celle frigorifero del negozio di Ombra.
Mi sarebbero bastate solamente per i primi giorni, poi avrei dovuto ricorrere al solito modo disumano.
-Non è una buona idea, Tamacti. Se dovessero collegarti all’umana, ti ucciderebbero all’istante.-
-Smettetela di parlare come se non ci fossi.-
Guardammo Selva stupiti, non aspettandoci quell’interruzione, ma aveva ragione. Non aveva nessuna colpa lei, e avrei voluto che anche la mia amica testarda lo avesse capito.
-Non voglio mettere a rischio la vostra vita, avete fatto già molto per me. Tornerò di sopra e…-
-No.- esclamai serio, sperando che capisse che ormai ero irremovibile.
Ombra finì ciò che rimaneva nella sua bottiglia e fece un verso gutturale, un ringhio contrariato che sorprese la ragazzina.
-D’accordo, ok! Ti farò avere i cuori per il viaggio, ma non posso assicurare sul mio silenzio.-
Incrociai le braccia al petto guardandola con sospetto. Ombra non mi avrebbe mai tradito, nemmeno per tutto l'oro del mondo.
-Se mi dovessero torturare per sapere dove sei, potrei anche dire tutto, non voglio mica morire ora!-
Continuavo a non capire. Doveva aver qualcosa in mente, così la incitai a continuare.
-Verró con voi. Non rischierai così di venir scoperto perché io non potrei parlare e il mio aiuto ti serve. –
Ombra era un’ottima lottatrice. Dava pugni come un uomo e usava i coltelli come se fossero le sue stesse mani.
Aveva imparato dal migliore.
-Cosi sia, allora. Partiremo all’alba, porta solamente le armi, i cuori e i tuoi documenti. –
Ombra annuì, e dalla sua espressione incerta capii che non era molto sicura e probabilmente aveva anche un po’ di paura. Ne avevo anche io, dopotutto, ma non potevo rivelarlo.
Presi la lettera dalle mani di Selva, sfiorando per un momento le sue dita delicate. Teneva stretto quel foglio come se fosse la sua ancora di salvezza.
-Saró di ritorno presto. Riposati, dovremmo camminare molto. Consegnerò questa ai tuoi genitori.-
Lei mi sorrise grata non riuscendo a nascondere quel velo di tristezza che le velava gli occhi .

Il mercante di cuori (SOSPESA)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora