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Io e Mario iniziammo a frequentarci come fidanzati in quel periodo oscuro lì: eravamo sempre insieme, sia con gli altri che non. Eravamo belli, affiatati, innamorati. Io da una vita, lui da quasi.
Ci confessammo ogni sentimento, ogni segreto, ci mettemmo a nudo senza toglierci i vestiti. Fu bello e fu speciale.
Fino a quando Mario non partì, rilasciandomi sola. Crollai nella droga, stavolta in quella più pesante, colmando vuoti che non sapevo di avere.
Tornai in casa famiglia, mi obbligarono ad andare da una psicologa, che diventò la mia nuova amica.
Quando Mario tornò, erano già passate due estati: il nostro ricordo era sbiadito, io ero precipitata sempre più a fondo nel tunnel della droga, con un punto di non ritorno. Non glielo dissi però: sapevo che mi avrebbe abbandonata ancora. Uscimmo, mangiammo insieme, fumammo una canna e poi mi riaccompagnò nella casa famiglia. Mi baciò forte, con trasporto e desiderio, mentre immaginavo come sarebbe stato dormire con lui la notte, girarmi nel letto e trovarlo accanto a me, dormiente ed in pace con il mondo, sereno.
Riniziammo a vederci tutti i giorni, a volte marinavamo la scuola. Persi l'anno. Mi cambiarono di scuola, persi i pochi amici che avevo, mentre la droga mi risucchiava ogni energia ed ogni misero spicciolo che avevo.
Durante la primavera dei miei 16 anni, tornò mia madre a reclamarmi. Mi rifiutai di andare con lei, di seguirla. Mi promise una vita brillante, facendomi sprofondare ancora di più: crebbero le mie insicurezze, le mie paure, iniziai a soffrire di attacchi di panico ed ansia, smisi di mangiare, aumentai le dosi della droga. Mario iniziò a preoccuparsi, chiamò gli assistenti sociali che mi riportarono in quel posto. Lo odiai. Per mesi, non gli rivolsi la parola.

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