Mi risveglio attaccata ad una macchina che emette dei bip, che al mio tentativo di sollevarmi dalla mia posizione, da coricata, aumenta il suono. Un ragazzo, seduto nella sedia poco distante dal mio letto, dorme, ma si sveglia subito appena sente. Il mio cuore accelera: è Mario. Si precipita in corridoio, gridando a gran voce che mi son svegliata. Mi ricorico, mentre mi guardo in giro: sono da sola in una stanza bianca, accanto a me macchinari e tubi vari, delle sedie e un tavolo, davanti una TV. Entra un'infermiera accompagnata da un medico di mezza età, che iniziano a visitarmi. Mi rimuovono dei tubi, mi somministrano delle medicine, poi, dopo un po' di silenzio e dopo che il medico ha controllato dei fogli, sospira e inizia a parlare:<Non hai avuto nessun danno permanente, anche se sei rimasta per molto tempo incosciente e con un battito molto basso. Ora la situazione sembra stabile, ti abbiamo amministrato delle vitamine, ma dovrai seguire un percorso di disintossicazione: il tuo corpo piano piano sta cedendo, è stato un vero miracolo quello della settimana scorsa>. A quelle parole, deglutisco, annuendo impercettibilmente. <Abbiamo già chiamato i tuoi tutori, che hanno immediatamente provveduto alla tua sistemazione in una struttura adeguata. Ora cerca di riposarti e non fare eccessivi sforzi>. Annuisco ancora, ringraziandoli, poi mi siedo sul letto e scendo. Le mie gambe sono un po' intorpidite, ma continuo a muovermi fino al tavolo dove c'è una borsa con dei vestiti puliti. Afferro una felpa e un paio di pantaloni grigi, poi l'intimo. Vado in bagno e dopo mezz'ora che ci sto dentro, mi sento rigenerata, pulita. Mi osservo le braccia prima di uscire: sono martoriate dai buchi, che piano piano stanno cambiando colore. Mi viene da piangere e silenziosamente lascio che delle lacrime mi solchino il viso, poi prendo coraggio e torno in camera. Mario è in piedi davanti al letto, il cellulare in mano mentre digita velocemente sullo schermo che gli illumina il viso. È cambiato tanto: ha uno sguardo più rilassato, i capelli più lunghi. <Ciao> sussurro, sedendomi sul letto. Distoglie lo sguardo dal telefono e lo concentra su di me. Non risponde, ma mi abbraccia stretta. Ricambio, sospirando serena: il suo profumo è sempre lo stesso. Mi stringe ancora più forte e sento che trema, poi scoppia a piangere, prima in silenzio, poi con forti singhiozzi. Cedo anche io e in pochissimo tempo ci troviamo a piangere insieme abbracciati dopo mesi senza vederci, senza parlarci, senza sentirci. Mi viene in mente il primo giorno alla casa famiglia, e piango di più mentre lo stringo più forte. Si stacca e mi guarda, asciugandomi le lacrime. Copio il suo gesto e insieme sorridiamo. Poi comincia a parlare:<Sono scappato perché mi hanno offerto delle grandi opportunità, non potevo dire di no. Ho colto la palla al balzo per allontanarmi anche da te perché stavi iniziando a farmi male, a tarparmi le ali: eri troppo fragile per poter essere salvata. Non ti ho mai abbandonata, sappilo: ogni giorno qualcuno dei ragazzi mi scriveva di te, di cosa facevi. Ho seguito ogni tua mossa da lontano, ogni tuo gesto. Mi mancavi tantissimo, tante volte son stato tentato di tornare e salvarti, ma mi tratteneva la musica, gli impegni. Volevo andare avanti->. Lo interrompo: <Grazie. Mi basta che tu sia qui> mormoro, mentre lo abbraccio ancora. Ora ci aspetta una vita insieme.