Scared of my own image, scared of my own immaturity
Scared of my own ceiling, scared I'll die of uncertainty
Fear might be the death of me, fear leads to anxiety
Don't know what's inside of me
Don't forget about me, don't forget about me
Even when I doubt you
I'm not good without you, no, no
Temperature is dropping, temperature is dropping
I'm not sure if I can see this ever stopping
Shaking hands with the dark parts of my thoughts, noNon era facile credere che le cose sarebbero andate meglio, che ce l'avrei fatta. Ero piena di speranze quando mi trasferii nell'appartamento inutilizzato di mio zio. Con il mio lavoro da pasticcera e il mio nuovo ragazzo sembrava che tutto andasse per il meglio, ma l'effetto novità svanì presto. Non ci volle molto tempo prima di ritornare a quel miscuglio di frustrazione e delusione che accompagnavano la maggior parte delle mie giornate. Un'altra primavera stava tornando ed io, come al solito, stavo aspettando l'autobus per tornare a casa. Faceva abbastanza freddo per essere alla fine di marzo, ma ciò non mi disturbava, non attendevo con ansia l'arrivo dell'estate come gli altri. Mi piaceva il fresco. Guardai l'ora sul mio cellulare, segnava le 14.19. L'autobus era nuovamente in ritardo, o forse no. Non feci in tempo a pensarlo che vidi in lontananza la piccola figura del mezzo, con tanto di pannello luminoso che descriveva la linea 9. Mi sedetti in fondo e misi le cuffie sperando che nessuno mi avrebbe disturbata durante il viaggio. Quel giorno il lavoro era stato meno faticoso del solito. Non che sia veramente faticoso fare torte e pasticcini, ma spesso mi annoiavo a tal punto che mi pesava fare qualunque cosa. Poi doversi alzare alle 6 per poter arrivare puntuale alle 7 e iniziare a fare impasti era una rottura di palle. La cosa positiva era che almeno finivo presto, alle due ero libera di godermi il pomeriggio e la serata. L'autobus era appena partito e stavo per perdermi nella musica, come recitava il mio tatuaggio a tema Eminem sul braccio sinistro, quando mi suonò il cellulare. Irritata guardai il nome sul display: Jacopo, il mio ragazzo. Sospirai e risposi alla chiamata.
«Ehi.» esortai con il mio solito tono pacato.
«Amore, hai finito lavoro?» domandò allegro.
«Si ho finito, sono in bus ora. Che c'è?» sospirai, ignorando il fastidioso nomignolo che più volte gli avevo detto di evitare.
«Pensavo di venire da te, così stiamo un po' insieme.»
«Emh, si, come vuoi.» cercai di non sembrare infastidita, ma non penso di esserci riuscita.
«Perfetto! Comunque, stai bene? Ti sento strana.» assunse un tono preoccupato.
«E' tutto ok, tranquillo. Ci vediamo a casa, ciao.» liquidai la conversazione.
«Va bene, ciao.»
Finalmente tornai alla mia musica, mentre giocherellavo con il mio piercing, un semplice anellino argentato al lato sinistro del labbro inferiore. Chiusi gli occhi e andai dove mi portava la mente, vagando nell'oscurità dei miei pensieri in cui dominava il caos. Arrivata al mio appartamento riconobbi subito la sagoma di Jacopo, che mi stava attendendo davanti al cancello. Mi salutò con un bacio a stampo che quasi non ricambiai, ma feci comunque finta di essere contenta di vederlo. Come prima cosa, appena entrati in casa, cercò di approcciarmi per fare sesso cominciando a strusciarsi e a baciarmi il collo. Scivolai via dalla sua presa e inventai una scusa plausibile per rifiutare le sue avances.
«Scusa, non mi sento un granché. E sono esausta.» esortai fingendo una voce stanca.
«Umh, ok... Sei strana in questi ultimi giorni.»
«E quando mai non lo sono.» ridacchiai amaramente.
«Sembra quasi che non mi vuoi intorno.» aggiunse perplesso.
Esitai un attimo prima di rispondere. «No, è solo un periodo stressante. Non ti preoccupare.»
«Se c'è qualcosa che non va puoi dirmelo.»
«Sto bene, davvero. Sono solo stanca.» risposi quasi irritata.
«Va bene.» si arrese. Dalla sua voce capii che non lo avevo convinto del tutto, ma non avevo voglia di parlare, quindi non insistei. «Ti va di guardare un po' di tv?» disse poi.
«Sicuro!»
A questo non rifiutavo mai. Oltre a distrarmi un po', in quei momenti non si parlava; Jacopo sapeva bene quanto mi infastidiva parlare mentre ero presa a guardare qualche programma. Le uniche cose che accettavo erano dei brevi scambi di commenti attinenti. Passò circa un'ora; eravamo entrambi in silenzio sul divano davanti allo schermo. Ammetto che mi dispiaceva essere fredda con lui, dopotutto era sempre gentile e disponibile, ma dentro di me sapevo che non potevo andare avanti così. Io non volevo una relazione. All'inizio, circa 4 mesi prima, era solo un passatempo, nulla di più. Poi lui si convinse che stavamo insieme e io non sapevo che fare. Perché no, pensai, provare non costa nulla. Alla fine il mio istinto aveva ragione: mi sentivo solo intrappolata in qualcosa che non volevo. E non sapevo come uscirne. Dopo tutte le volte che l'ho sfruttato e usato, mi sentivo troppo in colpa per mollarlo. Era da stronzi, decisamente, ma sono umana anch'io. Ed essere stronzi fa parte della natura umana; è sopravvivenza.
«Ary?» mi chiamò all'improvviso riportandomi alla realtà.
«Mmh?» risposi biascicando appoggiata al cuscino.
«Ti va di fare qualcos'altro?»
«Mmh, no.»
Rimase in silenzio qualche minuto. «Allora vado a casa. Non sopporto quando fai così.» disse irritato e si diresse verso la porta. «Ciao.» aggiunse prima di uscire.
Immagino che avrei dovuto sentirmi male per questo, uscire e rincorrerlo, ma la realtà era che mi sentivo sollevata. Finalmente il silenzio e la solitudine, le uniche due cose che mi facevano sopportare le ultime settimane. Nonostante fossero il mio toccasana, silenzio e solitudine erano allo stesso tempo un mix letale: potevo ascoltare ogni mio pensiero, ogni immagine si faceva chiara davanti ai miei occhi. Così, per cercare di evitare ciò, misi un po' di musica dal mio telefono e mi fumai una sigaretta. Non fumavo costantemente, solo qualche volta. Ognuno ha i suoi vizi; io ne avevo tanti, e altrettanti difetti.
Il giorno seguente la solita routine mi attendeva: sveglia, lavoro, interazione sociale, cena, tempo per me medesima, nanna. Dopo il lavoro vidi Jacopo per riappacificare la situazione tra noi. Ero stronza, ma non insensibile. Passai tutto il pomeriggio con lui. Prima al bar, poi una passeggiata in centro e infine mi riaccompagnò a casa. Sorprendentemente non ero disinteressata o irritata dalla sua compagnia, anzi, furono momenti piacevoli. A casa mi preparai una cena veloce e poi uscii per una camminata. Adoravo uscire la sera: il buio, le luci della città, il fresco clima serale. Tutto sembrava più affascinante, quasi magico. Girovagai senza metà per un po' e mi fermai su una panchina al parco. La luce soffusa dei lampioni creava un'atmosfera tranquilla e rilassante in cui i miei pensieri si facevano sentire. Il mio solito malessere, il mio inseparabile compagno da molto tempo, riemerse puntuale come un orologio. I pensieri schizzavano da una parte all'altra. Vecchi ricordi che venivano a galla, l'insoddisfazione e l'odio per me stessa, i rimorsi, le aspettative altrui, le decisioni...il caos che prendeva il sopravvento. Avevo imparato a conviverci, riuscivo ad ignorarlo alcune volte. E quando non ci riuscivo, beh, avevo i miei metodi, come l'alcool ad esempio. Qualunque cosa pur di fermare quella disperazione. Tornai a casa verso le 11, non vedevo l'ora di addormentarmi e perdermi nei miei folli sogni; una situazione bizzarra, un'incredibile avventura, la scoperta di un luogo inaspettato o, perché no, un piacevole porno. Quella notte mi regalò una fuga amorosa verso meravigliose terre sconosciute. Tenni strette quelle immagini quando mi alzai l'indomani, volevo poter fuggire di nuovo non appena qualcosa sarebbe andato storto. Difatti lo stress era dietro l'angolo. Arrivata al lavoro venni informata che dovevo fare nuovi dolci, la maggior parte dei quali non conoscevo e dalla preparazione complicata. Feci del mio meglio per prepararli mentre fingevo di ascoltare le continue chiacchiere del mio collega. Durante i miei 15 minuti di pausa ricevetti una telefonata, era una ragazza non molto più grande di me che lavorava come cuoca in un ristorante abbastanza importante. L'avevo conosciuta quando andai a fare la cameriera nella mensa di un villaggio turistico per una settimana; lei era la mia compagna di stanza e andavamo d'accordissimo. Ingoiai il boccone di panino che stavo masticando e riposi perplessa.
«Pronto?» dissi incerta.
«Arianna, ciao! Come stai?» esortò lei con tono allegro.
«Umh, non c'è male.» mentii come da prassi. «Tu, invece? Stai ancora nel lusso?»
«Tutto alla grande. E si, sono ancora nel lusso!» ridacchiò.
«Come mai questa telefonata improvvisa?» domandai curiosa.
«Ho una cosa da proporti.»
«Narrami tutto.»
«Allora: il mio capo ha contatti all'estero e a uno di questi serve un cuoca e assistente per lo staff di una band che deve partire per un tour mondiale. Viaggio, vitto e alloggio sono inclusi. Mi ha chiesto se ero interessata, ma ho rifiutato, sai con il bambino in arrivo e tutto il resto. E mi è venuto in mente che tu avevi detto di voler girare il mondo e soprattutto cambiare aria, così ho fatto il tuo nome.»
«Oh. Wow.» ero basita «Io...non saprei, così su due piedi. E poi, io faccio dolci principalmente, non penso di essere all'altezza.»
«Te la cavi pur bene a cucinare! Ho ancora il ricordo dei tuoi piatti improvvisati nella cucina del villaggio! Comunque non servono particolari capacità e non è un lavoro impegnativo, bisogna cucinare piatti da buffet e avrai anche un sacco di tempo libero. E non sarai sola, c'è anche un'altra cuoca. E poi pagano davvero bene.» spiegò.
«Beh...sembra interessante. E quanto dura il tour?»
«5 mesi. E comincia la settimana prossima. Quindi se vuoi andarci devi decidere in fretta, tipo entro oggi.» disse con tono serio.
Ero spiazzata. Non sapevo veramente cosa dire. «Ok, emh, ci devo pensare un attimo. È una decisione importante.» farfugliai.
«Certo, certo. Ma sbrigati, è un'occasione fantastica, ci metteranno poco a trovare qualcun altro.»
«Si capisco. Beh, adesso devo tornare al lavoro, ti chiamo più tardi allora. E toglimi una curiosità: di che band si tratta?»
«Non lo so di preciso. Anche se l'ho pregato, il mio capo non poteva dirmelo per questioni pubbliche, o quelle cose lì. Ha solo detto che è un duo molto famoso.»
Ci salutammo e tornai ai dolci. Avevo solo mezza giornata per decidere ed ero nel panico. Da una parte avevo l'occasione di girare il mondo con una band famosa, ma dall'altra ero terrorizzata. Mollare tutto e partire per 5 mesi. Ho sempre sognato di mollare tutto e andarmene, trasferirmi a Londra e iniziare una nuova vita. E adesso avrei potuto farlo, con i soldi che avrei guadagnato potevo tranquillamente realizzare il mio sogno. Ma faceva paura. Non sapevo se ero in grado di poterlo fare, adesso di punto in bianco. Chiaramente il pensiero mi ossessionava, tanto che feci casino nella preparazione di una torta e il mio collega mi rimproverò. Finito il turno corsi all'autobus. Volevo andare a casa e parlarne con le mie amiche. Mandai subito un messaggio al nostro gruppo e attesi trepidante una risposta. Quando arrivai al mio appartamento ancora nulla. Era passata mezz'ora in cui due avevano visualizzato senza rispondere e basta. Mentre attendevo irritata mi cambiai per uscire, dovevo vedere Jacopo, gli avevo promesso che sarei andata con lui a scegliere il completo per il matrimonio di suo cugino. Stavo percorrendo la via in cui abitavo per andare all'incrocio dove mi aspettava Jacopo, quando finalmente qualcuna mi rispose. Una di loro mi disse di andare, altre due scrissero che dovevo fare quello che credevo meglio e l'ultima ancora non si era fatta sentire. Sì, queste erano le mie amiche che vedevo sempre meno e che quando avevo bisogno d'aiuto erano sempre sbrigative. Non gliene facevo una colpa, dopo la scuola ognuna ha preso la sua strada. Tenevo molto a loro e loro tenevano a me, anche se mi sentivo quasi sempre quella tagliata fuori. Ci sentivamo spesso e qualche volta riuscivamo ad uscire, ma l'età adulta era sbocciata per tutte e io mi sentivo costantemente in ritardo. Avevo quasi 22 anni e avevo combinato ben poco di tutto quello che volevo fare per pigrizia, paura, incertezza, o semplicemente perché non ne avevo la possibilità. Salii sulla macchina di Jacopo, che partì di fretta.
«Insomma com'è andata oggi?» mi chiese.
«Mi hanno offerto un lavoro.»
«Ah si? Che cosa?»
«Cucinare per dei buffet. La paga è ottima.» parlavo con lo sguardo fisso sulla strada, come se fossi in trance.
«Beh allora accetta!» mi consigliò dando tutto per scontato.
«Dovrei partire per 5 mesi.»
Tolse lo sguardo dalla strada per guardarmi perplesso. «Cosa? Partire per dove?»
«Praticamente farei parte dello staff di non so quale band e seguirli nel loro tour mondiale, che dura 5 mesi.»
«Ah.» disse freddo.
Nel frattempo eravamo arrivati al negozio e ci stavamo dirigendo all'entrata. Il silenzio prese il sopravvento per alcuni minuti.
«E hai già deciso?» riprese poi il discorso mentre prendeva alcuni vestiti da provare.
«No...» risposi triste.
«Beh, secondo me non ne vale la pena. Mi passi la camicia bianca?»
«Perché dici?» domandai mentre gli allungavo i vestiti dentro il camerino.
«Partire per così tanto, fare tutto quel casino solo per qualche soldo in più? Te la cavi benissimo anche adesso. Come sto?» finì la frase aprendo la tenda e mostrando il primo completo.
«Troppo nero.»
«Allora passami quello blu.» richiuse la tenda del camerino «E poi le storie a distanza non funzionano quasi mai.»
«Quindi è per questo?» sentivo che stava per arrivare uno di quei momenti in cui trovavo di tutto pur di vendicare la rabbia repressa verso ciò che mi faceva stare male, ma che normalmente ignoravo.
«Non vorrei stare 5 mesi lontano da te.» continuava a usare quel tono di voce irritante e a parlare come se mi conoscesse.
«E non pensi a quello che voglio io?»
«Che vuoi dire?»
«Che con quello che guadagnerei potrei finalmente trasferirmi a Londra. E poi girerei il mondo.»
«Londra? Cosa?» assunse un tono un po' sconvolto e uscì dal camerino con indosso il completo blu.
«Te l'ho detto che voglio vivere là.»
«Ah si, ma credevo fosse una di quelle cose che si dicono tanto per dire.»
«Beh no. Ero seria.»
«E non pensi a me? Io non voglio vivere in un posto dove piove sempre!» si arrabbiò.
Aggrottai la fronte e non risposi, non sapevo cosa dire. Abbassi lo sguardo sul cellulare, avevo 2 messaggi. Uno era della mia amica che prima non aveva risposto, anche lei diceva che dovevo fare quello che mi sentivo. Ottimo. L'altro era della ragazza che mi aveva proposto il lavoro e mi chiedeva se avevo deciso.
«Come mi sta questo?» mi interpellò di nuovo.
In quel momento mi arrivò un altro messaggio da mia madre in cui mi ricordava per l'ennesima volta che avevo lasciato da lei una felpa, probabilmente come scusa per farmi andare là.
«Allora?» insistette seccato Jacopo.
«Beh...» cercai di dire qualcosa, ma volevo solo urlare. Troppe decisioni, troppe pressioni. Sentivo una morsa chiudersi intorno a me, soffocandomi. Credevo che mi sarebbe esplosa la testa da un momento all'altro. «Io...io non lo so, scusa.» dissi con lo sguardo perso.
Jacopo mi guardò decisamente perplesso. Io presi di fretta la mia borsa e corsi letteralmente via. L'asfalto passava sotto i miei piedi e il mio corpo affaticato chiedeva pietà; non ero molto atletica. Mi fermai al primo cartello dell'autobus che trovai e ripresi fiato. Aspettai meno di 10 minuti prima di prendere l'autobus che mi avrebbe portata a casa. Quando scesi ripresi a correre, mi sentivo come se qualcuno mi stesse inseguendo e a stento riuscivo a trattenere le lacrime. Chiusi a chiave la porta e cominciai a piangere. Tolsi gli occhiali, mi rannicchiai sul letto e diedi libero sfogo ai singhiozzi. Mi sentivo schiacciata dal peso di tutto ciò che mi circondava, da tutto quello che componeva la mia vita. Gli sbagli e gli errori che avevo commesso si facevano strada nella mia memoria, mentre tutto lo schifo che mi era stato riversato addosso durante gli anni mi perforava lo stomaco. In quel momento non volevo bere, non volevo fumare. Sentivo un altro tipo di bisogno: un bisogno che mi aveva portato a vergognarmi di me stessa, a nascondermi. Un bisogno che mi aveva consumata. Tutto ciò che componeva il mio essere gridava per vedere il mio sangue fuoriuscire dalla pelle lacerata. C'era una voce dentro di me che continuava a ripetermi di farlo, di prendere una fottuta lametta e tagliarmi. Spesso cercavo di combatterla, ma ci ricadevo sempre alla fine. Nella mia testa mi ripetevo che non ne avevo davvero bisogno, che sarebbe andato tutto bene. Aprii gli occhi colmi di lacrime e l'immagine sfocata della stanza vuota mi si proiettò davanti. Guardai il polso destro: il tatuaggio con la scritta Not Today, una delle mie canzoni preferite, copriva delle vecchie cicatrici. Non si notavano molto, a meno che non si sapesse cosa guardare. D'un tratto mi saltò alla mente il sogno che avevo fatto quella notte; avrei voluto fuggire come avevo fatto lì. Ed ecco che me ne resi conto: dovevo fuggire e potevo farlo. Mi alzai di scatto dal letto e recuperai il telefono che avevo abbandonato sul pavimento, poi scorsi la rubrica fino al nome che intendevo chiamare. Attesi alcuni secondi prima che la voce femminile rispondesse.
«Ehi, hai deciso?»
«Sì, accetto.» dissi con voce ferma mentre un brivido mi percorreva il corpo.
«Uh fantastico! Allora adesso informo il mio capo che ti metterà in contatto con quelli del lavoro e ti manderanno tutti i dettagli.»
«Perfetto, grazie mille.»
Ed ecco la mia via di fuga. Stavo leggermente tremando, non ci potevo credere che sarei veramente fuggita. Però ero terrorizzata, avrei dovuto informare tutti e fare le valigie; poi avrei dovuto trovare qualcuno che si occupasse dell'appartamento. E non dovevo dimenticarmi di dare le dimissioni al lavoro. Troppe cose da fare in troppo poco tempo. Cominciai con l'avvisare tutti: le mie amiche furono contente per me, al contrario la mia famiglia non era molto entusiasta. Per finire informai Jacopo che la prese piuttosto male, fu decisamente triste della mia scelta. Nel frattempo venni contattata via e-mail per i dettagli del nuovo lavoro: date, luoghi, documenti,...ma nulla riguardo alla band in questione. Ero proprio curiosa. Shopping, ecco la parola d'ordine del giorno seguente. Mi servivano delle valigie e altre cose per il viaggio; non avevo mai fatto dei veri viaggi, quindi ero alquanto impreparata. Al mattino andai al lavoro e diedi le dimissioni, però avrei dovuto lavorare ancora due giorni. Ero infastidita a riguardo, avevo veramente molto da fare prima della partenza e mancavano soltanto 5 giorni. Avevo mille cose per la testa che, per fortuna oserei dire, coprivano le altre mille cose a cui la mia mente si dedicava normalmente. Durante la pausa stesi una lista degli acquisti da fare nel pomeriggio. Adoravo fare le liste, mi davano il controllo. Non appena finii il turno mi dedicai completamente allo shopping. Andare per negozi mi rilassava un sacco. Ci passai tutto il pomeriggio, ma ne valse la pena. Si era già fatto buio quando finalmente fui soddisfatta e tornai a casa. Jacopo mi tempestava di messaggi e chiamate continuamente. Non potevo dargli torto, al posto suo avrei fatto lo stesso. Nei due giorni successivi mi venne a prendere a lavoro e passammo del tempo insieme, in fondo glielo dovevo. Nel frattempo le mie amiche mi avevano preparato una sorpresa: una piccola festa per la mia partenza. Mi godevo al massimo quei pochi bei momenti che riuscivo ad avere, soprattutto perché sarei partita e non avevo la minima idea di quello che avrei trovato. A meno 3 giorni dalla partenza fu il momento di cominciare le valigie. Avevo fatto uno schema per organizzare tutto nei minimi dettagli, al fine di evitare inconvenienti all'aeroporto. Il tour iniziava a New York, quindi avrei dovuto prendere un aereo fino a lì a mie spese. Per il resto avremmo viaggiato in camper e pullman dello staff o con un aereo privato, senza spendere un centesimo da parte mia. Dopo circa due ore avevo preparato due valige e anche metà dell'ultima, il resto lo avrei fatto l'ultimo giorno. Passai il mio ultimo tempo libero a salutare la famiglia e ad aiutare la mia migliore amica a sistemarsi a casa mia, accettò subito quando le proposi di prendersi il mio appartamento e io fui contenta di avere lei a guardia della mia fortezza della solitudine. E per fortuna che c'era. Il giorno antecedente alla partenza ero nel pieno panico, il mio leggero disturbo ossessivo-compulsivo era a mille e davo segni di schizofrenia latente. Continuavo a controllare le valigie, poi controllavo se avevo preso tutto in casa, infine ritornavo alle valigie; il tutto ripetuto all'infinto. In più alternavo momenti di euforia con fastidio e frustrazione, passando anche ad attimi di puro terrore. Vanessa, la mia migliore amica, era alquanto spiazzata e chiamò l'altra mia migliore amica per la disperazione. Desy fu li in meno di mezzora, pronta ad offrirmi una canna per calmarmi. Credo di non essere mai stata così fuori prima di quel momento. Alle 10 fu tutto pronto e noi eravamo esauste. L'ultima sera insieme l'avevamo passata dietro alla mia follia e alle mie valigie, ma fu divertente. Mi sarebbero mancate tanto. Desy rimase a dormire con noi, così entrambe mi avrebbero accompagnata all'aeroporto l'indomani. Non c'è da dire che faticai un sacco ad addormentarmi quella sera. I pensieri correvano senza sosta nella mia testa. Verso mezzanotte e mezza mi alzai, le mie amiche stavano beatamente dormendo in salotto. Silenziosamente uscii in terrazza a prendere un po' d'aria. Guardai la città e sospirai. Ce l'avrei fatta? Non mi sentivo per niente all'altezza. Raramente credevo in me stessa o mi sentivo sicura, e questa non era una di quelle volte. Ormai ero abituata a vedermi solo come una pazza che fa casini, pertanto pensare di avere le forza per affrontare quell'enorme cambiamento mi sembrava impossibile. Ma in qualche modo dovevo farcela. La sveglia ci fece sobbalzare alle 5. Ero abbastanza esausta siccome non avevo dormito molto. Jacopo ci passò a prendere mezzora dopo e per le 8 eravamo all'aeroporto. Il volo partiva alle 10.45, sarei atterrata a New York verso le 5 del pomeriggio, fuso orario newyorkese. Finora c'erano le ragazze e Jacopo ad aiutarmi con i bagagli, poi non so come avrei fatto. Avevo 2 valigie grandi, una un po' più piccola, uno zaino e la mia borsa quotidiana.
«Beh ci siamo.» dissi rassegnata.
«Ci mancherai tanto!» esclamarono commosse le ragazze mentre mi stritolavano in un abbraccio.
«Anche voi! E non fate danni a casa mia eh!» ridacchiai nascondendo una reale preoccupazione.
«Ora tocca a me.» intervenne Jacopo non appena le mie amiche mi lasciarono andare. Mi diede un bacio appassionato e poi mi abbracciò. «Mi mancherai. Chiamami appena arrivi.» disse poi.
«Mi mancherai anche tu.» risposi riluttante «E si, chiamerò tutti appena arrivo.»
Ultimi scambi d'affetto e poi via sulle scale mobili. Mancavano pochi minuti all'imbarco e attendevo in fila con gli altri passeggeri. C'era solo una porta che mi separava da l'avventura incredibile che stavo per vivere. Una sola porta tra la vita che avevo vissuto fino a quel momento ed una completamente diversa e nuova. Una sola porta tra la me che conoscevo e la me che sarei diventata. Ed ecco, era giunto il momento. Consegnai il biglietto e il passaporto, che fortunatamente avevo fatto qualche mese fa, all'hostess che controllò i miei dati e dopo una manciata di secondi me li restituì. Mi gustai quei pochi passi che mi rimanevano da compiere e oltrepassai la fantomatica porta entrando nel tunnel che conduceva all'aereo. Mi colse una strana euforia, quasi tremavo. L'avventura era cominciata.
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21 weeks.
FanfictionHo cominciato questa fan fiction qualche anno fa, ambientata nell'era di Blurryface, prima di Trench. L'ho conclusa solo di recente continuandola su quella linea. Ci tengo davvero molto a questa storia, mi ha aiutato a stare via con la mente durant...