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Nobody thinks what I think
Nobody dreams when they blink
Think things on the brink of blasphemy
I'm my own shrink
Think things are after me, my catastrophe
At my kitchen sink, you don't know what that means
Because a kitchen sink to you is not a kitchen sink to me

Non avevo per niente sonno quella sera, avendo giàdormito per più di 4 ore nel pullman dei ragazzi. Decisi di fare un giro perDallas, da sola, siccome gli altri non avevano voglia di muoversi. Kristy nonera particolarmente entusiasta a riguardo, ma in fondo sapeva che ero in gradodi cavarmela anche da sola. Avevo voglia di andare a ballare e di accalappiarequalche bel ragazzo. Da quando ero in viaggio avevo soddisfatto da sola i mieibisogni, quelle poche volte che riuscivo ad avere della privacy. Per fortuna miero portata dietro anche i vestiti da discoteca. Indossai degli shorts chemettevano in risalto il mio fondoschiena e un top striminzito. Sopra misi unafelpa, giusto per proteggermi dal fresco e per non essere scambiata per unaprostituta. Alle 11 passate uscii dallo stadio e mi avviai verso il centro conl'aiuto di Google Maps. Mi stavo annoiando, lo devo ammettere. Ero davverouscita da sola in una città che non conoscevo, al freddo, solo per qualchepomiciata? Speravo almeno che ne valesse la pena. Girovagai qua e là osservandoogni dettaglio della città, fino a quando una discoteca attirò la miaattenzione. Scesi gli scalini che mi portarono al piano interrato dove sitrovava il locale. Sorpassati i bodyguard, entrai e subito l'odore familiare difumo e alcool mi accolse. Lasciai borsa e felpa al guardaroba e come prima cosaordinai un paio di drink. Li bevvi tutti d'un fiato e andai a ballare. In menodi 10 minuti avevo già un ragazzo carino che mi si strusciava addosso e mipalpeggiava. Ci baciammo per un po', poi passai a un altro ragazzo e infine a unaltro ancora. In discoteca lasciavo libero sfogo al piacere carnale, sbollendotutta la mancanza di contatto fisico accumulata. A volte facevo la troia, eanche parecchio, ma non me ne vergognavo. Ormai accettavo ogni parte di me,bella o brutta. Anche se le accettavo non significava che mi piacessero, anzic'erano molte cose di me che odiavo. E andare in discoteca a ubriacarmi elimonare sconosciuti per avere quelle due ore di apparente felicità era una diquelle. Da quando il mio ex se n'era andato, quella voragine di solitudine siera riaperta più grande di prima ingoiando tutto quanto. Così avevo iniziato apassare da un ragazzo all'altro, pure una ragazza una volta, senza maiaffezionarmi a nessuno. Verso l'una mollai il ragazzo di turno e me ne andai. L'ariafredda mi accarezzava la pelle e guardavo l'asfalto passare sotto ai miei piedistanchi. L'euforia momentanea era finita lasciando spazio alla logorantemalinconia che occupava gran parte delle mie giornate. La realtà era che avreibarattato subito quelle serate libertine con delle serate passate insieme aqualcuno di speciale. Qualcuno con cui divertirmi facendo le cose più strane estupide e che mi facesse sentire come l'unica ragazza presente sul pianeta.Arrivai all'accampamento, ormai silenzioso e privo di vita. Gli unici rumoriche si sentivano erano le risate sguaiate di Alex, Luke e Joey cheprobabilmente stavano guardando qualche stupido e volgare film bevendo birra.Rientrai cautamente nella mia roulotte in modo da non fare troppo casino esvegliare Kristy. Mi tolsi i vestiti, mi struccai e mi buttai sul letto. Avreitanto voluto un abbraccio di Josh in quel momento. La sveglia mi sfondò ilcranio a martellate, nascosi la testa sotto al cuscino affievolendo ilfastidio. Non appena Kristy la spense mi ricomposi e mi alzai controvoglia.Trascinai il mio corpo fino al bagno dove cercai di sistemarmi per nasconderel'evidente stanchezza. Nemmeno la mia pancia stava granché bene, sentivo unmiliardo di spilli trapassarmi le pareti dello stomaco. Dopo anni di sbronzenon mi ero ancora abituata ai postumi, ma non mi lamentavo. Quando fummo incucina a infornare brioche e preparare il caffè Kristy cominciò a fareconversazione. Sapeva bene che se avesse interagito con me subito dopo essermialzata avrebbe ricevuto come risposta uno sguardo assassino. Appena svegliataodiavo qualunque cosa.
«Com'è andata ieri sera? Ti sei divertita?»
«Sì dai, è andata bene. Alla fine ho trovato una discoteca e sono andata aballare.» raccontai.
«Mi fa piacere.» sorrise «Sai, se non ti conoscessi, non l'avrei mai detto chesei una da discoteca!»
«Non si direbbero tante cose di me, eppure..» ridacchiai alludendo a tutte lecose di dubbio gusto che avevo fatto e che le avevo narrato.
«Vabbè dai, fai bene a divertirti.» disse ammiccandomi.
La giornata passò come al solito, il mal di stomaco mi passò nel giro diqualche ora e il concerto fu meraviglioso. Due giorni dopo eravamo a Houstonpronti per un altro show ed io ero di nuovo al pieno delle forze. Quella cittàmi aveva affascinato, ero riuscita a fare delle belle foto dal finestrinomentre arrivavamo il pomeriggio precedente. L'esibizione, sold out, si sarebbesvolta in un palazzetto apposito. Avevamo quasi tutti finito di pranzare e cistavamo godendo la pausa. Feci una camminata nella zona adiacenteall'accampamento, occupata da zone d'erba e alcuni alberi. Vidi Josh seduto dasull'erba, sotto l'ombra di un imponente albero. Se ne stava lì, immerso inchissà quali pensieri, mentre giocava con una margherita. Mi sedetti silenziosaaccanto a lui, il quale mi accennò un sorriso.
«Come mai qui tutto solo? Tyler ti ha esiliato dal pullman?» domandaifacendogli tramutare il debole sorriso in una risatina.
«Non ancora. Ma è al telefono con Jenna e voleva un po' di privacy.» spiegòcontinuando a fissare la margherita che teneva tra le dita.
«Donna fortunata.» sospirai un po' invidiosa. Josh mi guardò perplessoaspettando che dessi qualche spiegazione alle mie parole. «Non guardarmi così!»risi «Tyler è un bel ragazzo, dolce, gentile, tenero, profondo. Ha una voceunica e le sue canzoni sono incredibili. Poi quando è sul palco ha quel non soche di sexy.»
«Qualcuno ha una cotta per Tyler?» disse dandomi una gomitata con tanto diespressione maliziosa.
«No! Ma che dici!» replicai immediatamente allibita «La mia era una sempliceosservazione oggettiva!»
«Ma sì, stavo scherzando! Non prendertela.» si affrettò a precisare, mettendomipoi un braccio intorno alle spalle e scompigliandomi i capelli con l'altramano. Mi liberai dalla sua presa e mi risistemai i capelli con una smorfiastampata sul viso. «Comunque hai ragione, Tyler è meraviglioso. Qualunqueragazza potrebbe innamorarsi di lui.» aggiunse con un filo di amarezza.Seguirono alcuni minuti di silenzio.
«Tutto ok?» gli chiesi notando un velo sconforto sul suo viso.
«Sì, solo...» esitò e io lo guardai per farlo continuare «Oggi era un po' giù. Vorreiriuscire ad essere più d'aiuto per lui.»
«In che senso?»
«A volte quando è tormentato, o anche solo giù di morale, vorrei riuscire afarlo stare meglio, ma non so bene cosa dire. E quindi vuole stare da solo ochiamare Jenna e io mi sento uno schifo.» disse con la voce strozzata dal sensodi colpa.
«Josh tu sei un amico fantastico, il migliore che si possa desiderare. E Tylerlo sa, lo dice sempre! Non sentirti in colpa solo perché a volte ti sembra dinon aiutarlo.» tentai di consolarlo, ma lui non sembrava convinto dalle mieparole. «Lo sai, ci sono cose che nessuno può aiutarci ad affrontare, dobbiamofarlo da soli.» aggiunsi con lo sguardo perso davanti a me e accarezzandomi ipolsi. Lui distolse lo sguardo del fiore per posarlo su di me.
«Sì, lo so..è che... Gli voglio bene, non voglio che stia male.» sospirò.
Io gli sorrisi comprensiva e lui mi porse la margherita. La presi e cominciai agiocarci come stava facendo lui. Sentivo i suoi occhi su di me, speravo che lemie guance rimanessero del loro pallido colorito nonostante il calore si stessepropagando nel mio corpo. Passarono alcuni minuti di silenzio, poi se ne uscìcon una domanda inaspettata: «Quando li hai fatti?»
Alzai la testa verso di lui, il quale mi stava fissando le mani e le braccia.Dischiusi le labbra, ma non riuscii a pronunciare una parola. Mi prese le manifacendomi distendere completamente le braccia. Cercò un segno di approvazionenei miei occhi prima di osservarne ogni centimetro con un'espressione devastata.Ogni mia barriera stava crollando, lasciando in bella vista la mia parte piùfragile e distrutta. Rimasi immobile con il corpo irrigidito. Il suo sguardo mifaceva bruciare la pelle, ma stranamente non mi sentivo giudicata, tanto menocondannata. A chiunque altro non avrei mai permesso una cosa del genere. Conlui era diverso, però. Avrebbe potuto uccidermi con un solo sguardo, con unasola parola, ma inconsciamente sapevo che non lo avrebbe fatto. Passò ilpollice sul mio polso sinistro su cui si trovava una delle cicatrici piùevidenti. Sobbalzai leggermente a quella carezza, ricevendo in risposta un suosguardo. Lentamente lasciò la presa e, senza accorgermene, mi era tornata lavoce.
«Questi sono di qualche anno fa.» cominciai indicandomi delle lievi cicatricisotto al tatuaggio sul braccio sinistro, poi guardai l'altro braccio e i polsi «Glialtri vanno da un anno a 4 mesi fa.»
Feci una breve pausa e, prima che potesse dire qualcosa, conclusi mostrandoglile ultime cicatrici che ancora non aveva notato. «E questi sono di due mesi fa.»dissi percorrendo con l'indice i segni sulla coscia sinistra, appena sotto ilbordo dei miei pantaloncini corti. Lui continuava ad osservarmi angosciatosenza proferire parola, come se guardando le mie cicatrici potesse sentire ildolore legato ad esse. Mi si strinse il cuore in quel momento.
«Hai mai pensato...» esitò «Sì, insomma, hai mai pensato al...»
«Di uccidermi?» lo precedetti. Lui annuii appena con la testa, quasi spaventatodalla sua stessa domanda. «Sì ci ho pensato. Più di una volta. Ma non ho maivoluto farlo davvero.» ammisi.
«Perché li hai fatti?» continuò a indagare. Stava scavando dentro la mia animae io glielo permettevo, non sapevo per quale motivo di preciso, né perché gliinteressasse tanto.
Presi un respiro, come se dovessi confessare i miei peccati. «Stavo male e ildolore era insopportabile. Quello era l'unico modo per farlo uscire e tenerlo abada.» spiegai semplicemente evitando di guardarlo negli occhi. Mi presenuovamente la mano sinistra fissando il polso.
«Anche questi?» chiese quasi sottovoce, come se la sua voce potesse ferirmi equindi cercasse di essere il più delicato possibile. Questa volta lo guardaidritto negli occhi, come faceva a sapere che quelle cicatrici riguardavanoqualcos'altro? Forse lo aveva intuito dai miei gesti involontari. Cominciò adaccarezzarmi il polso con il pollice, io strinsi la mia mano alla sua.
«Ero..ero arrivata a un punto in cui non sentivo più niente. Niente di niente,né le cose belle, né quelle brutte. Tutto mi scivolava addosso e io non potevofare altro che restare a guardare. Mi sentivo intrappolata dentro me stessa.Era terribile. Volevo solo...» sentivo la mia voce rotta diminuire di volume «Volevosolo sentire di nuovo qualcosa.»
«E ha funzionato?»
«No..» ammisi, ormai la mia voce si era limitata a un sussurro.
I suoi occhi marroni mi trapassavano da parte a parte, ormai ero priva di ognidifesa. Ma non avevo paura, non mi sentivo nemmeno a disagio. Mi sentivo...inrealtà non lo sapevo. Senza dire nulla si sporse verso di me e mi abbracciò.Avevo la testa nell'incavo del suo collo, il punto in cui il suo profumo erapiù intenso.
«Non farlo più.» mi sussurrò. Sentivo il suo respiro caldo sulla tempia. Nonriposi perché non potevo, avrei voluto dirgli di sì o semplicemente annuire,però mi conoscevo abbastanza da sapere che alla prima occasione ci sareiricaduta. Mi limitai a godermi il suo abbraccio che sembrava non voler finire.Purtroppo, invece, finì.
«Josh! Dobbiamo cominciare le prove!» esclamò Tyler sbucato fuori dal nulla. Ioe Josh ci staccammo subito.
«Hai finito di amoreggiare?» lo punzecchiò Josh.
«E tu?» gli rispose a tono il castano dopo aver fatto una smorfia.
«Ma sta' zitto!» esclamò infastidito e imbarazzato. Nel frattempo la mia facciasi era dipinta di rosso.
«Dai, sbrigati!» ridacchiò Tyler.
«Ok, ok, adesso vengo.» si arrese Josh.
Tyler, soddisfatto, cominciò a dirigersi verso l'edificio geometrico accantoall'accampamento. Io mi alzai e porsi la mano a Josh. Era più un gestosimbolico, di certo non avevo la forza fisica per farlo alzare. Con un sorrisodivertito mi afferrò la mano e si tirò su facendomi quasi cadere. Ci avviammoanche noi verso il lavoro che ci attendeva, per lui le prove e per me lapreparazione di snack e caffè vari. Pensai alla battuta di Tyler. Sembravadavvero che quell'abbraccio fosse qualcosa di più? Ma non lo era, era un sempliceabbraccio tra amici. Sì, perché per Josh io ero un'amica. E lui per me era unamico, giusto? O forse no. No, era un amico e basta. Però tutte le volte che glistavo vicino, tutte le volte che entravo in contatto fisico con lui o quando miguardava, magari con quel suo bel sorriso...mi faceva sentire così dannatamentebene. Per non parlare delle sue labbra così invitanti. Dio, le sue labbra. Ok,forse ero un po' attratta da lui, ma nulla di più. Non potevo permettermelo.
«I ragazzi hanno chiesto dei caffè.» mi informò Kristy con gli occhi puntatisul cellulare.
«Agli ordini.» acconsentii lasciando la guarnizione dei cupcakes che avevoappena sfornato alla bionda e accingendomi a soddisfare la richiesta di Tyler eJosh. Nel giro di 10 minuti ero sul palco a consegnare le bevande. «Dov'è Josh?»chiesi guardandomi attorno mentre appoggiavo le tazze sul piano a cui Tyler eraseduto.
«E' andato un attimo in bagno. Grazie per il caffè!» rispose premendo qualchetasto del pianoforte, poi si fermò e bevve un sorso di caffè.
«Figurati! Che stavi per suonare?»
Invece di rispondermi mi sorrise e riprese a suonare intonando le prime note diTruce. Io sorrisi e mia volta e cominciai a cantare timida.
«Now the night is coming to an end.» pronunciai il primo verso e Tyler completòcon gli "oh" acuti che la mia voce non poteva raggiungere. «The sun will rise and we will try again.» ripresidondolando leggermente a ritmo. All'improvvisol'inconfondibile profumo di Josh mi avvolse insieme alle sue forti braccia. Mialzò e fece un giro a 360 gradi accompagnato da un mio classico urlettomolesto, il tutto sotto l'espressione divertita di Tyler che continuava adaccarezzare i tasti del piano. Appena fui di nuovo coi piedi per terra mi giraiverso Josh, il quale non perse tempo: mi prese per i fianchi tirandomi verso dilui. Istintivamente misi le braccia intorno al suo collo e iniziammo a ballare.Beh, non stavamo realmente ballando, ci dondolavamo seguendo la musica.
«Stay alive, stay alive for me. You will die butnow your life is free.» cantò Josh guardandomi negli occhi. In un istante tutto ciò che c'era intorno me eracome sparito. C'eravamo solo io e lui, trasportati dalla melodia malinconica diTruce. Era una sensazione strana, mi sentivo leggera e senza pensieri. Il miocuore non era più pesante e le emozioni, invece di divorarmi, danzavano insiemea noi. In quel momento il suo meraviglioso sorriso era riservato solo a me,allo stesso modo il suo sguardo. I miei occhi stavano affondando nei suoi, checon le luci di scena erano ancora più brillanti. Erano di un marrone vivace conqualche sfumatura più spenta. Non so perché mi ricordavano il cioccolato. Iltempo sembrava essersi fermato, come se l'universo avesse creato uno squarciotemporale. Non c'era prima e non c'era dopo. Era solo quell'istante. Sitrattava di pochi secondi, ma era come se quegli attimi sarebbero durati persempre. Non mi era mai capitato prima di provare qualcosa del genere. Esinceramente non pensavo nemmeno fosse possibile, credevo si trattasse di coseche succedevano solo nei film o nei libri. Josh riprese a cantare finendo ilritornello, poi io continuai con il secondo verso. Infine concluse lui semprecon il ritornello. Stava cantando per me, solo e unicamente per me. Mi sentiispeciale. Tyler suonò le ultime note, Josh mi prese una mano per farmi fare unagiravolta. Il silenzio piombò nell'ampia sala insieme alla consapevolezza diquello che era appena successo. Presi un respiro cercando di non far notare ilpanico che si stava impossessando del mio corpo. I ragazzi avevanoun'espressione normale e tranquilla, per fortuna.
«Uh, il caffè! Me n'ero dimenticato.» disse Josh recuperando la tazza.
«Ormai sarà freddo.» puntualizzò Tyler.
«E' buono lo stesso.» affermò incurante.
«Umh, beh, io vado che ho un po' di cose da fare.» esortai facendo ricadere iloro occhi su di me «Ci vediamo dopo.»
«Ok.» risposero all'unisono.
Mi diressi all'uscita ancora stranita per il momento appena vissuto. Ero cosìintenta a pensarci che calibrai male la traiettoria e sbattei con la spallasulla porta di metallo. Scombussolata dalla botta, ripresi a camminare verso lacucina.
«Ce ne hai messo di tempo!» esclamò Kristy.
«Sì scusa. E' che Tyler stava suonando e io e Josh ci siamo messi a ballare...»spiegai distrattamente.
«Tu e Josh avete ballato?» mi interruppe con un sorrisino.
«Oh sì, niente di che in realtà.» tentai di liquidare quel discorso.
«Poi mi racconti! Comunque, ho finito i cupcakes e li ho messi nel frigo.»
Per il resto della giornata non successe nient'altro di eclatante, oltre alloshow chiaramente. Il giorno dopo eravamo a San Antonio, pronti per un altroconcerto. Non capitava quasi mai di fare due serate di fila, quindi c'era unbel da fare per tutti. Io stavo dando una mano a Randy pulire il parquet del campoda basket. Rudy, Marshall e Joey sistemavano le loro postazioni, mentre Alex eLuke provavano le videocamere e i ragazzi suonavano. Josh non si lasciòscappare l'occasione di fare un video di me che passavo di fronte al palco conl'enorme spazzolone da bidello. Kristy e Joanna invece aiutavano George e Mariaa preparare i vestiti di scena. Infine Ryan istruiva gli uomini della sicurezzae Mike dava ordini di qua e di là al personale presente per l'occasione.Mancava poco più di un'ora all'inizio dell'esibizione e lo stadio si stavariempiendo a gran velocità. Io correvo da una parte all'altra per verificare chetutto fosse pronto notificandolo a Mike tramite un walkie talkie che mi avevadato in quanto sua assistente. Dopodiché Kristy mi portò gli snack da mettere nelcamerino dei ragazzi, già intenti a vestirsi e truccarsi.
«Uh oggi hai portato la frutta!» esclamò Tyler sistemandosi la cravatta neradavanti allo specchio.
«E ci sono gli Oreo?» chiese Josh speranzoso mentre Joanna lo finiva ditruccare.
«Sì, Josh, ho portato anche gli Oreo. E anche il latte.» sospirai divertitaricevendo un sorrisino contendo da parte sua. Da quando avevo iniziato aportarglieli me lo chiedeva sempre non appena mettevo piede nella stanza.
«Jish, hai trovato una ragazza che ti porta gli Oreo e pure il latte!»ridacchiò molesto.
«Ary, sei la migliore assistente del mondo.» proclamò Josh «Vero, Ty?»
«Assolutamente.» affermò il castano.
«Devi esserne onorata!» disse Joanna alzando lo sguardo verso di me.
«Dai smettetela, mi fate arrossire!» ammisi imbarazzata sotto le espressionidivertite di tutti.
«Ragazzi sbrigatevi, mancano pochi minuti!» esortò Mike facendo capolino nelcamerino.
«Siamo quasi pronti.» lo rassicurò Tyler.
«Ok, ma mi fido più di Ary.» disse indicandomi e guardando l'orologio costosoche aveva al polso. Poi si rivolse a me: «Fra 5 minuti devono essere prontidietro le quinte!» ordinò.
«Sissignore!» annuii e lui se ne andò.
«Jo mi dai una ripassata al collo?» domandò Tyler osservando minuziosamente lapittura nera sulla sua pelle.
«Umh, sì, arrivo. Ary, vieni!» mi chiamò Joanna. Mi avvicinai a lei che milasciò una spugnetta da fondotinta e l'ombretto rosso che stava mettendo agliocchi di Josh. «Tieni, finisci tu.» disse per poi correre da Tyler. Colta allasprovvista, finii di arrossare il contorno occhi di Josh, il quale sisgranchiva le mani un po' teso. Dato che c'ero diedi anche una sistemata velocealla sua chioma rosa. Adoravo i suoi capelli.
«Ecco fatto.» gli sorrisi guardando incerta il risultato finale.
Lui si guardò allo specchio per qualche secondo. «Niente male. Grazie!»esclamò.
«Oh, meno male. Voi come siete?» mi rivolsi a Tyler e Joanna.
«Quasi fatto!» mi informò la mora alle prese con il collo e le mani di Tyler.
«Ok.» sospirai ansiosa per poi dirigermi verso la porta, volevo dareun'occhiata in giro.
«Dove pensi di andare?» mi bloccò Josh. Io lo guardai interrogativa e siavvicinò a me. «Anche tu devi mettere la pittura di guerra.» disse teneroalzando la spugnetta imbrattata di rosso. Io ridacchiai e chiusi gli occhi,sentendo poi il tocco delicato e fresco del colore. «Che ne dici?» domandòsoddisfatto spostandosi in modo che potessi specchiarmi sull'enorme specchioche copriva metà parete.
«Molto gotico.» ridacchiai «Ma ora dobbiamo andare!»
Tyler ci raggiunse alla porta e i ragazzi uscirono, mi voltai per vedere seavevano dimenticato qualcosa e notai le maschere adagiate sul divano.Velocemente le presi e corsi verso le quinte.
«Ragazzi!» urlai facendoli girare. Li raggiunsi e gli porsi le maschere.
«Uh grazie!» esclamò Tyler come se gli avessi appena salvato la vita.
«Ora andate!» ansimai a corto di fiato.
Io mi diressi a uno dei lati del palco, tra la transenna e il palco stesso. Avolte assistevo da lì al concerto e spesso succedeva che qualche fan si mettevaa chiacchierare con me. Uno degli uomini della sicurezza mi lasciò passare dopoavermi scrutata da capo a piedi. Mi sentivo potente in quei momenti, con lamaglia della crew e il pass. Raggiunsi Ryan, mi aveva tenuto un posto su unacassa per l'attrezzatura. Il concerto cominciò tra le urla a squarcia gola deifan. Ogni volta rimanevo ammaliata a guardare i ragazzi suonare, erano davverosexy. Tyler saltellava agile a destra e a sinistra senza sosta. Josh invece sene stava seduto a petto nudo suonando la sua amata batteria. Ci metteva unaforza da tale da sembrare rude, ma mentirei se dicessi che non mi attizzava. Dopolo show e le ultime cose da sistemare tornai alla roulotte con Kristy, entrambedi buon umore. Lei cominciò a sistemarsi per la notte, io invece guardai un po'i social, Josh mi aveva pure taggata in quello stupido video dove pulivo. Mivenne in mente che dovevo chiamare mia madre, la quale mi aveva scritto ditelefonarle non appena avessi un momento. Mi sedetti sul divanetto e pigiai il tastodella chiamata. Mia madre ripose dopo qualche squillo, aveva un tono serio eaddolorato che mi cancellò il sorriso dalle labbra. Ascoltai in silenzio le sueparole. Quando realizzai ciò che aveva detto, la mia espressione divenne vuotae sconvolta allo stesso tempo, suscitando la preoccupazione della mia amica.
«Tutto ok? Che succede?» si interessò sottovoce.
Io chiusi la telefonata con un "ok" appena sussurrato. «E' morto. Sam è morto.»dissi strozzando un singhiozzo con lo sguardo perso.
«Chi è Sam?» chiese sedendosi accanto a me.
«Il mio cane.» mormorai.
«Oddio, Ary, mi dispiace tanto.» disse affranta avvolgendomi in uno dei suoidelicati abbracci. Scoppiai in un pianto disperato, fatto di lacrime gelide eurla strazianti. Credo che il cuore di Kristy si sia spezzato in quel momento,vedermi in quello stato l'aveva totalmente spiazzata. Quelle poche volte che micapitava di piangere lo facevo da sola e in silenzio. Non mi piaceva che lagente mi vedesse piangere, mi sentivo stupida e allo scoperto. Continuavo apiangere incessantemente raggomitolata sul divano, la testa appoggiata sullegambe di Kristy che mi accarezzava dolcemente i capelli. Mi svegliaiesattamente nello stesso punto il giorno dopo e con un gran mal di testa, nonricordavo di essermi addormentata. Mi guardai attorno spaesata. La bionda nonc'era, ma aveva lasciato un biglietto sul frigo. "Non preoccuparti per illavoro, prenditi tutto il tempo che ti serve" aveva scritto con la sua bellacalligrafia. Guardai l'ora, erano le 10 passate. Dopo pranzo saremmo partiti versoPhoenix, ci avremmo impiegato tre lunghi giorni ad arrivare. Mi sdraiai aletto, incurante di avere ancora indosso i vestiti del giorno prima,riguardando le foto del mio amato cane. Sembrava irreale che se ne fosse andatoper sempre, faceva parte della mia vita da quasi tutta la mia esistenza. Eral'unico essere vivente che mi amava indipendentemente da tutto. Non gliimportava se ero bella o brutta, se parlavo a raffica o stavo zitta, se erofelice o triste, se avevo problemi o no. Il suo musetto marrone e i suoi occhivispi erano la mia gioia e il mio orgoglio. E ora era tutto finito. Il peggioera che non avevo nemmeno potuto salutarlo un'ultima volta e quel pensiero milogorava. Sentii Kristy rientrare nella roulotte, ma rimasi stesa a pancia ingiù sul mio letto con la testa girata verso la parete.
«Ehi, adesso partiamo.» mi informò Kristy.
«Mh.» mugugnai di risposta senza muovere un muscolo. In realtà non mi eroaccorta si fosse fatto così tardi e nemmeno mi importava. Ero rimasta avegetare in silenzio per ore, non riuscivo nemmeno a piangere.
«Ho fatto la macedonia a pranzo. Te ne ho portata un po'.» disse titubante.
Non volevo fare nulla, solo lasciare che il dolore mi inghiottisse, però avevoun po' di fame. Sospirai mettendomi seduta, Kristy sorrise e mi diede laciotola di frutta. Era davvero buona, ogni cucchiaiata era un tripudio difreschezza. «Ti senti meglio oggi?» chiese poi. Alzai lievemente le spallefacendo comparire un'espressione delusa sul dolce viso della bionda. Continuai amangiare la macedonia, lei cominciò a mettere in ordine la nostra casa mobileche nel frattempo aveva preso a correre trainata dal solito pick-up. Finii lafrutta e rimasi a fissare la ciotola arancione. Fu un lampo quello che mi passònel cervello, una scintilla, che per un secondo illuminò il buio rivelando ilpauroso scenario grottesco che era la mia mente. Avevo divorato la macedoniacome ogni cosa bella nella mia vita, lasciando solo un contenitore vuoto.
«Che c'è?» domandò Kristy perplessa.
«Io sono una ciotola vuota.» risposi fredda, con tono distaccato, senzascollare il mio sguardo assente dall'oggetto.
«C-che...emh...cosa...» farfugliò lei completamente confusa e anche leggermentepreoccupata.
«Consumo ogni cosa bella della mia vita. La prendo, la divoro ossessivamentefino all'osso e poi mi sento una merda perché è finita.» iniziai a spiegare.Kristy mise giù il vestito che stava piegando e si sedette, visibilmenteturbata, sul divano aspettando che io continuassi. «Quando mi capita qualcosadi bello, che mi fa stare bene, ne divento così ossessionata da finire perdistruggerla con le mie mani. E perché? Perché io non so gestire una cosabella. Sono in grado di convivere con il dolore, con la paura, con l'ansia, oanche con l'insanità mentale. Non mi spaventano, ci ho sempre avuto a che fare.Ma la felicità, quella mi spaventa da morire perché so che basterebbe unsecondo sbagliato per rovinare tutto. Quindi cerco in qualunque modo di nonsbagliare, ma non ci riesco mai. Perfino i miei tentativi di non sbagliare sonosbagliati.» risi amaramente «E alla fine distruggo tutto e non mi rimaneniente. Solo il solito schifo..»
Kristy era angosciata e anche colpita dal fatto che mi stessi aprendo cosìtanto con lei, di solito mi limitavo a poche parole e liquidavo subito ogniconversazione di questo tipo. Fece per parlare, ma la interruppi prima chepotesse dire anche una sola sillaba. «Sai, Sam era una cosa bella della miavita. Ora se n'è andato e io non ho potuto fare nulla per lui, nemmenosalutarlo perché sono qui. Perché volevo essere felice, e per farlo me ne sonoandata. È colpa mia se non ho potuto dirgli addio. E adesso mi sento vuota,come questa fottuta ciotola arancione. A me neanche piace l'arancione. A mepiace il blu.» presi un respiro, ormai le lacrime avevano cominciato ascendermi lungo le guance e la mia voce era più instabile a ogni parola «Nonvoglio essere una ciotola arancione, Kristy.»
Conclusi il mio discorso per poi lasciar uscire tutti i singhiozzi e lelacrime. Dio solo sa quanto mi odiavo in quel momento. Kristy scattò veloceverso di me per abbracciarmi. Non si aspettava io sputassi fuori tutto in quelmomento, e soprattutto non si aspettava quelle parole amare.
«Non è colpa tua, non potevi saperlo. Non devi sentirti in colpa perché vuoiessere felice.» fece una pausa, probabilmente per trovare le parole adatte. «Tutticercano di essere felici, ma solo pochi lo fanno davvero. Gli altri si fermanoe si accontentano. Dicono di essere felici, ma stanno mentendo perfino a lorostessi. E sì, Sam non c'è più ed un pezzo di te se n'è andato con lui, ènormale. Adesso ti sentirai anche vuota e sbagliata, ma credimi che non lo sei.Sei una ragazza meravigliosa e forte.» disse sicura accarezzandomi i capelli. Kristyprofumava di fiori e la sua voce infondeva calma e serenità. Lei mi facevapensare a un tranquillo pomeriggio soleggiato in una villetta di Miami. Il marecalmo all'orizzonte e l'odore dei biscotti appena sfornati in cucina. Me laimmaginavo con un grembiule dalle stampe vivaci mentre armeggiava sorridente aifornelli, con i suoi capelli biondi che ondeggiavano a ogni suo movimento.Sospirai non convita dalle sue parole. Lei riprese a consolarmi sempre piùdeterminata. «Mi ricordo la prima volta che ti ho visto. Quando ho aperto laporta mi sono ritrovata davanti questa ragazza con una giacca militare un po'troppo grande e dall'espressione terrorizzata e completamente spaesata. Mi erochiesta se fossi maggiorenne.» ridacchiò leggermente, io sorrisi rassegnatapensando a quante volte mi scambiassero per una ragazzina «Temevo che nel girodi pochi giorni avresti implorato per tornare a casa. Mi sembravi un'innocua eimpacciata ragazza presa e buttata in pasto a un gruppo di matti. E invece misbagliavo, eri esattamente l'opposto. Guardati. Stai girando il mondo, haifatto amicizia con tutti, i ragazzi ti adorano, sei un'ottima cuoca e unapersona fantastica. E convivi con un malessere che io nemmeno immagino, ma vedoquanto tu stia male a volte, e nonostante quello riesci ad andare avanti.Perché stai andando avanti, o non saresti qui.»
Ero allibita, non credevo pensasse tutte quelle cose di me, e in qualche modoera riuscita a tranquillizzarmi. Sentivo le lacrime seccarsi sulla mia pelle eil respiro tornare regolare. Sciolsi l'abbraccio e guardai Kristy, la quale miosservava speranzosa con un sorriso comprensivo. Alla fine sorrisi debolmente,ancora scombussolata. «Grazie Kriss, ti voglio bene.» le dissi.
«Ti voglio bene anch'io.» rispose contenta «Ti va di guardare la tv? Dovrebbeesserci quel programma stupido che adori.»
Ci sistemammo davanti alla tv con un pacchetto di patatine. Sentivo il dolorecominciare a indietreggiare e la morsa al mio collo si era allentata un po'. Kristyera davvero un'amica stupenda: solare, comprensiva e anche protettiva a volte,come una sorella maggiore.

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