Capitolo 3

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4 luglio, tre anni prima.

Dorian era sul punto di terminare di leggere l'ultima pagina del suo libro preferito, che era solito leggere più e più volte, era innamorato della storia, dei suoi personaggi, che, come lui, erano bizzarri e controcorrente, quando sua madre entrò in camera sua dicendo << Quando la smetterai di leggere quei libri senza senso ? Almeno se fosse un testo di scuola impareresti qualcosa di più utile, altro che queste storielle strappalacrime del cavolo! >>
Lei, lei non poteva capire, non poteva capire in che modo Dorian si immedesimasse in quelle storie, cercando di coglierne il vero significato e soprattutto di evidenziare le affinità con la sua personalità.
Era come se, in quell'istante, entrasse nel libro, divenisse parte di un silenzio fioco e indifferente, il suo cuore si fondeva, ogni volta, con quel cuore d'inchiostro dello scrittore, meraviglioso, circospetto, abietto, nobile, che, diveniva, a poco a poco, suo amico.
Lei non poteva capire il modo in cui metteva se stesso in quelle bianche pagine, cercando di colorare il bianco della vita, cercando di evadere dal silenzio che si era creato, un rifugio dalle intemperie, una casa sull'albero, di carta.
Lei non poteva oltrepassare quel suo muro di incostante silenzio, nessuno, come lei, poteva farlo, forse solo suo padre poteva, con quei suoi stimoli alla vita, le sue massime, il suo sorriso, il modo in cui gli passava le mani tra i capelli, per sentirne la dolcezza, il suo
profumo, quel profumo, quasi di foglie di limone, il profumo della purezza.
Amava suo padre. Più di ogni altra cosa al mondo, come si amano le cose per cui si sacrifica se stessi, senza che ci sia necessariamente bisogno di un " do ut des", amava al presente, amava i suoi dubbi, i suoi modi di fare, le sue ansie, il modo in cui riusciva ad essere lunatico con tutti, meno che lui, adorava quando lo guardava come se fosse orgoglioso, quando gli chiedeva come era andata la scuola, quando, da lontano, accorgendosi di lui, guardava altrove, per far finta che poi, di soprassalto, si fosse accorto di lui e lo avrebbe stretto a se, come in una bolla di sapone, accessibile solo ad un padre ed un figlio e a nessun altro. Lui e suo padre.

Non si accorse minimamente della presenza della madre, proseguì nella lettura, continuando a viaggiare, su un tappeto di carta e parole.
La madre, allora, accorgendosi del l'indifferenza che le aveva mostrato si diresse verso il salotto, in silenzio.
In silenzio.
Sommessamente e lentamente cominciò a piangere.
Piangeva perché odiava guardare quei lividi sulla sua pelle, odiava gettare le sue parole contro il mondo, odiava mostrare la sua perenne fragilità, che, come neve, prima o poi si scioglie.
Dorian era l'unica cosa che possedeva.
Ma Dorian, dal canto suo, la respingeva continuamente, dandole la semplice colpa di allontanare suo padre, da se stessa, dall'universo degli affetti.
La mattina cominciava come un canto gregoriano, la sera si svolgeva continuamente un favoloso "spettacolo" di stoviglie, in ogni dove.
Dorian, tredici anni, mille lacrime. Considerava suo padre il suo unico protettore, la strega, d'altro canto, era sua madre.
Spesso, però, le maschere hanno la grande abilità di celare il nostro volto, la nostra anima, la belva che è in noi stessi.
Spesso un fiore possiede una sorta di potere malefico, invece il fango, talvolta, ha buone qualità, anche se, palesemente, sembra essere il contrario.

Fragilità scambiate per presunzioni, presunzioni scambiate per affetto.

Dorian, imperterrito, continuò a leggere, mancava solo un capitolo alla fine del libro.
" Un leone di seta e di ferro" il suo titolo, scritto interamente dall'amato nonno paterno, scrittore poco affermato, ma dotato invero di strabiliante talento.
Glielo aveva regalato quando aveva sei anni, insieme con quell'orsacchiotto che tanto amava, così come amava quel libro, tanto da identificarsi con il protagonista stesso.

Perciò non si accorse del pianto sommesso materno, che, come sempre, come una foglia, era caduta dall'albero a cui era legata, come d'incanto.

Poi sentì un solo rumore. In salotto.
Uno schiaffo. Una percossa, un tacito tumulto. Poi un bagliore. Una visione. Una sua visione.
Uscì di stanza. Guardò davanti a sé.
Non capì. Come poteva?
Vide ombre nascoste e fantasmi neri.
Corse. Corse giù per le scale. Vide il suo profilo. Quello di suo padre, che fuggiva. Rimase in silenzio, inizialmente.
Poi urlò << Dove vai? >>
Non riconosceva la sua stessa più voce, la stessa sensazione che si prova quando qualcuno vuole a tutti i costi zittirti e non puoi far altro che rimanere in silenzio, su un' altalena infernale. Ritornò dentro. Sentì un sussulto, una lacrima, un groppo alla gola, il cuore in gola, aveva una strana sensazione, non voleva guardare davanti a sé, abbassò il capo, con gli bassi, proseguì, iniziò a piangere.
Chiamò la madre. Non rispose.
Urlò il suo nome. Silenzio.
Cadde a terra. Pianse. Alzò lo sguardo.
E urlò, ma in silenzio.

Sua madre, stesa su un mare di sangue.
Un coltello, accanto.
Lo sguardo attonito, la bocca semiaperta, gli occhi chiusi. Le labbra secche, il gelo nel cuore. Poi l'abbracciò, come non aveva mai fatto, l'abbracciò perché sentiva che doveva farlo, l'abbracciò e basta, l'abbraccio e con quell'abbraccio raccolse tutte le sue fragilità, le sue paure, il suo mondo.
E iniziò a dormire, lentamente.
Insieme con lei, per sempre. Un sogno. Un incubo.

Si svegliò. Aprì gli occhi. Pensò a suo padre. Era fuggito. Sua madre era come se non ci fosse, non capiva il perché, era come se avesse dimenticato chi fosse, quel corpo davanti a sé.
E suo padre dove era fuggito?
Perché? Perché tutto ciò?
<< È solo un sogno, un sogno>> si ripeté, incessantemente.
Poi si alzò. Non capiva.
Si sedette sulle ginocchia materne, era come se fosse un cuscino. Le ginocchia scoperte. Bianche. Stanche.
Esangui.
Inesistenti.
Aveva solo 13 anni, 13 anni con un peso sul cuore, un padre fuggito. una madre che non esisteva più, solo un'anima morta davanti a sé. Eppure non capiva.
E avrebbe voluto nascondersi dentro una caverna, perché non piangeva per sua madre, stesa lì davanti a sé, piangeva per suo padre, che era andato via, forse per sempre. Piangeva perché non capiva quel dolore, ma il vuoto lo colpiva dritto al cuore.
Piangeva perché non aveva amato abbastanza sua madre.
Piangeva. Piangeva perché sentiva la mancanza. Non capiva quale fosse sogno, quale realtà. Questo era il punto.
Sentiva la mancanza di un padre sempre presente, non di sua madre, sempre assente, come in quell'istante.

Non riusciva a capirlo, non riusciva.

Tredici anni. E un buco nell'anima.
Tredici anni, un mondo nuovo.
Tredici anni, adolescente a metà, bambino adulto, adulto bambino, uragano di silenzi.

Ai funerali guardò la processione di anime infrante con lo sguardo al cielo.
Abbracciò sua nonna, a cui era tanto legato.
Pensò a suo padre.
Ma non provava dolore per sua madre.
Perché?
Perché non riusciva a piangere per lei?
E poi, soprattutto, due domande gli ritornavano continuamente, in mente.
Sua madre era stata uccisa o aveva tentato alla sua vita spontaneamente?
Ma soprattutto, dov'era suo padre?
Perché era scappato? C'era la possibilità che il suo modello di vita avesse osato spezzare una vita umana, quella di sua moglie?
Sentiva delle voci, ma non capiva chi poteva essere, chi abitava dentro la sua mente. Un Demone, fragile.

Non aveva alternativa. Bisognava ricercare. Un segreto. Nascosto. Nel tempo.
Forse bisognava fare un passo nel passato. Capire perché.
Capire perché ogni volta che suo padre e sua madre, in salotto, mentre apparentemente sembravano parlare tra di loro o forse amoreggiare, un'assordante sottofondo musicale spaccava i vetri delle finestre, fragili, come lui, che preferiva sempre rimanere a leggere, in camera sua, mentre si consumava il più grande dei peccati.
Bisognava ricercare, non era facile.
Non era facile. Tredici anni. Nessun indizio. Nessun segno. Troppe debolezze. Mille domande. Un rifugio su un albero. La nonna che lo avrebbe protetto d'ora in poi, e il suo libro preferito, mai letto fino in fondo, perché lì, in realtà, erano le risposte che cercava.
Ma chi poteva immaginarlo, d'altro canto?

Un leone di seta e di ferroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora