Capitolo 9

510 35 12
                                    

<<Arriva un momento nel corso della propria esistenza in cui bisogna togliere il velo, discoprire le proprie fragilità, dimostrare chi si è realmente.
Tuo nonno Taddeo lo strappava lentamente questo velo, questo cerotto di protezione, girava intorno ad un concetto per ore ed ore, utilizzava eufemismi di ogni genere, aveva paura, si rendeva conto che faceva più male strappare il cerotto lentamente, eppure aveva paura, aveva paura di non farcela, di essere scoperto, era il tempo in cui anche una sola parola sarebbe bastata a macchiarti di tradimento verso il partito, verso un'ideologia ben radicata. >> ricominciò a raccontare Ersilia a Dorian.
Ora le lacrime si erano affievolite, erano divenute meno parossistiche, più leggere, meno grevi.
Aveva un ardente desiderio di parlare, per ore, anche per giorni, sentiva come se a poco a poco enormi macigni si dissolvessero dalla sua anima, sentiva di possedere la forza di un gigante, gravida di coraggio.
<< Quel giorno di gennaio - riprese Ersilia - Taddeo concepì un piano talmente rischioso, che, se fosse venuto alla luce, avrebbe perso la vita in un battibaleno.

La famiglia di ebrei, che aveva deciso di aiutare al crepuscolo di quel freddo gennaio, era composta da quattro componenti, due genitori abbastanza avanti con l'età e due figlie gemelle, brune da far paura, con gli occhi di ghiaccio, impassibili, apparentemente uguali, con la sola differenza che una delle due soffriva di autismo, rimaneva in disparte a guardare l'universo muoversi attorno a lei, lei d'altro canto sinuosamente volteggiava nel guscio protettivo che si era creata, in silenzio, era paragonabile ad un ragno che tesse la sua tela, non per annichilire nessun insetto, ma se stessa, si era creata uno spazio entro il quale avrebbe vissuto e consumato la sua vita fino alla fine, sola eppure circondata d'affetto, sola, eppure immersa in una giostra di silenzi e bisbigli, sola, assieme alla sua famiglia.
Si chiamava Adine, il suo nome aveva un significato enigmatico.
Era la più grande delle due, essendo paradossalmente nata per ultima.
Era circondata d'affetto. Sua sorella, la donna dei pensieri più reconditi di tuo nonno, la donna destinata a far breccia nel suo cuore di lì a breve, le voleva un bene che veniva dall'anima, la riempiva di baci e carezze, anche se con morigeratezza e parsimonia, era difficile donarle amore senza ricevere da lei rifiuti, non nefandi, bensì del tutto naturali, nella norma.
Sua madre invece viveva similmente anch'essa in disparte, non soffriva di nessuna malattia, la sua malattia era sua figlia.
Era il più grande tormento della sua vita. Non lo aveva mai accettato. Soffriva. Soffriva in disparte. Era caduta nel baratro di una depressione perenne, era come se il mondo fosse andato avanti senza di lei, rimasta a marcire in un gabbia abbandonata di un circo di città.
Era fragile come seta.
La sua fragilità non era una corazza ad una possanza interiore, era pura, unica, era fragile come un bicchiere di cristallo. Sarebbe bastato un urlo in più, una parola di troppo, un bisbiglio sbagliato per annientarla.
Amava sua figlia. Ma non osava considerarla, aveva paura di spazzare quel suo incanto gelido, di scatenare un eterno uragano, lei il cerotto lo strappava velocemente, era meglio rimanere in silenzio, sarebbe bastata una sua sola parola per distruggere quell'ameno ambiente familiare che si era creato, aveva paura, era fragile, come carta, come vetro al sole.
Ormai erano anni che andava avanti quella storia, si ripeteva con costanza ogni giorno, dal mattino al crepuscolo, senza nessun freno, era un inferno, paradossalmente innocuo. Era un inferno innocuo.

La seconda gemella era la scintilla della famiglia, secondo i racconti di tuo nonno era dotata di una bellezza rara, non di quella bellezza che trovi facilmente, bensì ricercata, nobile, anche se di nobiltà nel suo sangue non ve ne era la benché minima traccia. Era riservata, solare, intraprendente, forse un po' saccente, coraggiosa, eppure all'apparenza timidamente chiusa nel suo mondo, era un misto di sarcasmo e consapevolezza, verace, con la testa sulle spalle.
Un insieme di fango e diamante, una qualità rarissima, era un minerale oscuro, obsoleto, all'esterno appariva priva di ogni qualsivoglia qualità, eppure, addentrandosi, così come mi ha sempre raccontato tuo nonno, nel suo essere più celato, si mostravano le più pregiate qualità inimmaginabili, era amore e odio, allegria e tristezza, un crescendo di emozioni, strillante, che sa tacere, che sa tacere strillando, che sa strillare tacendo. Bastava uno sguardo. Aveva uno sguardo di ghiaccio. L'iride colorata di un verdognolo straordinario, era espressione di perfezione. Bisognava ricercarne la bellezza minuziosamente, era un'impresa degna di lode, era complicata, riversava la parte più dura in se, mostrava quella più gentile, poi si ritrovava sola, soffriva di attacchi di panico, era capace di passare da un momento lieto ad uno malinconico come se fosse la cosa più facile che si possa fare, le veniva naturale. Era contraddittoria, era pervasa da un fascino, sensuale, incuteva "curiosità", era la donna destinata a far breccia nel cuore di Taddeo per sempre, era la sua musa, una divinità, una donna-angelo.

Il giorno dopo "quell'illuminazione" si recò nell'abitazione della sventurata famiglia, in borghese, sarebbe stato troppo rischioso tentare di passare inosservato con la divisa, era in gioco la sua vita.
Benché tutto ciò, era intransigentemente deciso a compiere tale atto eroico perché sentiva una forza interiore che gli consentiva di pensare e agire come un Dio, una sorta di gioia innocente, era un atto catartico, puro, non estirpabile con il solo pensiero, era insito in se stesso.
Non si rendeva nemmeno conto dell'enorme pericolo a cui sarebbe stato esposto, era un'azione avventata verso estranei esseri che, abbandonati al loro destino dalle masse, sopravvivevano per inerzia, per puro istinto, razionalmente deboli, erano lasciati a consumarsi come bestiame denutrite, erano serpi che strisciavano sotto un cielo troppo grigio, consapevoli del loro destino, consapevoli che da un momento all'altro l'aguzzino di turno avrebbe seccato il loro "dolce" veleno.
Erano bisognosi di affetto. Di un eroe.
E, orgogliosamente, posso affermare che quell'eroe, figliolo, fu tuo nonno.
Dopo la sua visita inaspettata nel ghetto ebraico, decise di nascondere la famiglia nella cantina di una vecchia dimora abbandonata, che era stata abitata per anni dai suoi antenati.
Era un progetto ambizioso.
Era un "amore" clandestino.
Ma l'amore, si sa, è l'appannaggio degli uomini, e Taddeo, devo ammetterlo, era un uomo del tutto degno di essere chiamato tale.

Ora ti starai chiedendo quali furono le conseguenze, come reagì la piccola famiglia a tale proposta, la nascita di tua madre, ma tempo al tempo, ora saprai tutto.

Prima però devo chiederti di mantenere ancora la calma per un po', ora arriva la parte più nefanda della storia, ho un groppo allo stomaco al solo pensiero, mi vengono le lacrime, penso a tua madre, guardo il mio ventre, quello da cui desideravo ardentemente uscisse una figlia, mia e di tuo nonno, non che non volessi bene a tua madre, lei era la sola ragione per cui la mia vita aveva senso, ma non era Lei, non avevo protetto le sue membra per nove mesi, in un guscio di seta e di ferro, non ero sua madre, soffrivo.
Mi fa tanto male ripercorrere il passato, ricordare il mio tormento, piangere e bruciare le lacrime con un sorriso fittizio, perché lo giuro, il mio dolore più grande è stato indossare una maschera di cera per anni, affinché il mio volto fragile non venisse alla luce, un narciso nel cielo blu, sì sono come un narciso nel cielo blu, ho pensato sempre e solo a me stessa, convinta di essere l'unica abitante di un cielo meraviglioso, credevo di essere l'unica abitante di un prato fiorito in primavera, senza sapere che in realtà in quel prato vi erano anche altri fiori diversi da me, a cui inevitabilmente toglievo il respiro.>>

Un leone di seta e di ferroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora