Capitolo 17

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Si sente spesso dire che il peso delle parole dipende da chi le dice.
Quale più amara verità esiste nel mondo?
Quale confine più macabro si può porre ai volti umani?
Il peso delle parole. Quasi come se ogni singola parola, di per sé, non possa far rumore, se non con una bocca tremante che ne faccia uscire le sue componenti, vocali e consonanti disperse per anni, poi ritrovate, ansanti, spossate, logore, come se una muffa di dolore le avesse intaccate per sempre.
Sì, il peso delle parole dipende da chi le dice.
Ma quanto rumore può fare un dolore che si sveglia improvvisamente, dopo anni di lungo letargo?
E quanto è grande, immane, il frastuono di un lamento che si staglia dai corpi e si incolla alla carta, viva come l'acqua, acqua sorgiva?
E quanto pesano le lacrime?
Lacrime lasciate a riposare, in modo tale che, siffatte gocce, a poco a poco si siano appesantite, si siano moltiplicate, con la necessaria nitidezza di un volto che le faccia scorrere, lacrime che sono parassiti.
Hanno bisogno di altri elementi per vivere, da sole non valgono niente.
Eppure sono pericolosissime.
Fanno più rumore di un cuore che batte e di un ticchettio greve, in una stanza quieta.

Eppure quelle lacrime, Leonardo, le lascia scorrere come torrenti in piena.
Ha quelle righe sotto gli occhi. Una voce che gli tormenta gli orecchi. Sente le parole di suo figlio. E fanno male.
È pur vero che il peso delle parole dipende da chi le dice.
Ma chi le ascolta, chi le legge quelle maledette parole,  con quale peso cade a terra, con quale peso muore di dolore, con quale peso vive dopo che quelle lacrime hanno corroso il suo cuore?
Ma la forza di impugnare una penna non manca mai, a costo di bagnarle quelle pagine, renderle più vive, flebili, incantate. La forza di impugnare una penna non si esaurisce mai. Resiste ad ogni terremoto, perché è pur vero che un silenzio può mietere più vittime, e non v'è silenzio più catastrofico dell'inchiostro che bagna la carta, dura e sottile allo stesso tempo, già pronta ad accogliere le variegate colorazioni del dolore, che ha mille forme, mille amori, mille amanti, e mille inganni.

Prende la penna. La sua arma.
La battaglia contro se stesso ha inizio.
Riuscirà mai un pezzo di carta a raccogliere la verità, che è come un milione, immenso, ma pur sempre solo, quando lo si nomina? Milione. Che sarà mai un milione di verità? Ferisce e perisce.
Eppure ha tante guardie attorno a sé, tante altre sfaccettature pronte ad attaccare.

L'inchiostro cammina. Non ha paura delle peripezie del viaggio.

" Dorian,

figliolo, mi addolora immensamente leggere queste poche righe, scritte con la leggerezza di un ragazzo, eppure con la consapevolezza di un adulto e la saggezza di un anziano.
Sei tutto e niente. Sei cresciuto così tanto.
Anche se non mi è possibile vederti di persona (questi pochi fogli non me lo permettono) posso bensì affermare che sei cresciuto tanto.
Sei in grado, infatti, di pensare con la tua testa, sei in grado di amare, di lottare per quello che vuoi o che ti è stato imposto dalle circostanze, sei in grado anche di piangere, di sorridere quando vi è la necessità, sei stato cresciuto dalla tua affabile nonna con grande umiltà, per questo sorridi alla vita quando vi è la necessità, quando hai un motivo per farlo.
Perché di un sorriso bisogna colorare il volto quando ce n'è bisogno.
Non dimenticarlo mai, Dorian, le lacrime, così come i sorrisi sono capaci di gettarci nel turbine della vita. In un burrone. Basta una lacrima e sprofondiamo tra le nostre stesse pretese, la nostra coscienza, il nostro orgoglio.
Eppure basta sorriderci, sì, sorridere a noi stessi per ritrovare quella corda che ci riporti su, che ci faccia assaporare la bellezza della corsa.
Si può inciampare, si può cadere.
Ma è nell'istante stesso in cui cadiamo che dobbiamo sorridere, perché vuol dire che la vita sta cominciando ad interessarsi di noi, quantunque ci avesse inizialmente ignorato. Le scelte che facciamo ogni giorno ci cambiano, eppure a volte è come se stessimo vivendo due vite, la vita che scegliamo e la vita che non abbiamo scelto di vivere. Facile intuire quale delle due desideriamo ardentemente. L'uomo vuole (non desidera) tutto ciò che non ha, anche il dolore, se è quello l'unico tassello che manca al mosaico.
Si possono compiere tante buone azioni, ma il dolore, il dolore è come se cercassimo sempre di toccarlo con le nostre mani. Perché non crediamo alle tante favole che ci hanno raccontato, il lieto fine, gli amori dolci e incantevoli.
Desideriamo il dolore perché amiamo. Chi non ama non soffre. E chi non prova dolore può dire di non aver vissuto nessuna delle due vite presenti in ognuno di noi. Ha vissuto la vita di qualcun altro.
Magari a volte ha pensato con la sua testa, forse quando ha dovuto scegliere se fare colazione o meno, ma no, non conosce il dolore chi non vive la propria vita, conosce solo il dolore altrui, e se ne garba quando il suo vicino è infelice. Perché può vantarsi della sua piccola gioia.

Un leone di seta e di ferroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora