Capitolo 4

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La notte è immobile. Scorre lento il fruscio delle foglie, la luna si nasconde dentro l'abisso del buio, Dorian è sulla casa sull'albero.
Dorme. È in attesa che la notte finisca per dare vita a un nuovo giorno, Il giorno.
Pensa a come potrebbe meglio affrontare tutto ciò che capiterà domani.
Ripercorrere quell'uragano, ogni volta, sempre meno pronto a guardare in faccia la realtà, a scrutare il sole, piangere, lacrime dorate, essere attraversato dai raggi solari scottanti, ripensare ad un mare di sangue.
Sua nonna gli ha concesso, come tutti gli anni, di dormire, per una notte, nel suo rifugio, a guardare le stelle, immaginare in una di esse il volto di suo padre, il fantasma materno, assente dai suoi pensieri.
Dorme, stranamente, inspiegabilmente.

Mattino. Dolce turbante di menti insonni, recise dall'aurora, inebriante e immensa.

Dorian si sveglia di soprassalto, poi comprende, comprende quale giorno sia e si alza, non vuole far tardi alla commemorazione, che, come tutti gli anni si svolgerà nel parco vicino alla chiesa, dove è situato un monumento in onore di sua madre, per i suoi meriti in campo medico e per le opere di beneficenza devolute all'ospedale di bambini affetti da malattie rare.
Ogni volta, da tre anni, si sarebbe svolta allo stesso modo, insieme con sua nonna si sarebbe recato al luogo in anticipo, non voleva mancare, per ricordare nel modo giusto ciò che era accaduto.
Tre anni la stessa routine, ma ancora nessuna risposta.
Tre anni lo stesso dolore, nessun nuovo evento.
È come se tutto fosse rimasto immobile. Persino la casa sembra ferma a quel giorno, i mobili, i suppellettili, i cassetti, il salotto..

Man mano giungono le più rispettabili personalità del quartiere, gli amici di una vita, i colleghi di lavoro, i cugini, i parenti stretti.
Tutti si radunano al centro del parco, con lo sguardo fisso al monumento, rappresentante un leone, dal manto liscio, argenteo, sottile, impetuoso, solenne, imponente, realizzato da un artista del luogo, in ferro, ricoperto da un mantello di seta, legato per mezzo delle zampe al resto del tronco, le fauci in direzione dell'osservatore, lo sguardo aggressivo, gli occhi velati di malinconia, ben piantato al suolo, enigmatico, emblematico, meravigliosamente antitetico. È dolce, aggressivo.
Feroce, candido.
Grande, minuscolo in relazione al parco.
È leggero, ma lo sguardo pesante.
Luccicante, gli zigomi incolore, spenti.
Di ferro, e di seta.
Una scritta in basso, minuscola.
Impercettibile.
Dorian lo fissa. Non capisce. È immobile. Come ogni 4 luglio.

La cerimonia inizia.
È mezzogiorno. Il pastore comincia a parlare, lentamente, sommessamente, con fare serio, religioso.
Poi tutti si acquietano, Dorian sente la mano di sua nonna tra la sua, si sente protetto, sente un tremolio, sua nonna, come lui, trattiene le lacrime. Poggia il capo sulle sue spalle, poi il pastore smette di parlare e invita i presenti a ricordare Eunice, sua madre.
Nessuno si muove inizialmente, poi un uomo di mezza età si fa avanti, comincia a parlare, in modo eloquente, sinuosamente utilizza le parole, consapevole.
Racconta di come ha conosciuto Eunice, della missione in Africa, del suo progetto insieme con Emergency, della sua immensa generosità, tutti ascoltano, Dorian fissa il leone, ascolta, con il cuore, l'uomo.
Poi si leva un vento impetuoso, ma cessa repentinamente.
<< Qualcun altro vuole ricordare la nostra sorella, qualcuno vuole parlare come se fosse ancora qui con noi, per renderla viva, affinché non sia morta invano, affinché il suo ideale sia incarnato da qualcuno, affinché non possa essere dimenticata, lasciata cadere nell'oblio più celato? >> dice il pastore.
Dorian sente il cuore in gola. Vorrebbe farsi avanti, proferire di come aveva vissuto insieme con sua madre, per tredici anni.
Ma non può. Non può perché non prova dolore per la sua perdita. E non capisce, dopo tre anni, il perché. Emozioni. Non può parlare di emozioni quando si tratta di sua madre. Buone o cattive che siano.
Non può, forse non vuole.
Sente che il mondo scivola sotto di sé eppure non possiede la capacità di resistere ancora, non può cadere, ha troppe cicatrici, quelle maledette paure, fragilità, maledetti difetti, sente un guscio attorno a sé.
Sente un guscio attorno a se, vorrebbe che qualcuno spezzi l'incanto, ma allo stesso tempo rifiuta l'amore del mondo, perché amore significa perdere il respiro. Una donna anziana avanza verso il pastore e comincia a parlare, a bassa voce, come per paura, le sue mani tremano.
<< Ho conosciuto Eunice quando era ancora una ragazza, brillante, intraprendente, ai suoi inizi, aveva mille progetti, mille sogni, vidi in lei me stessa, vidi in lei ciò che avevo sempre voluto essere, la mia immagine, mimesi. >>
Poi scoppia a piangere.
Si allontana. Dorian sospira. Non comprende.
Il pastore si accorge dell' inequivocabile imbarazzo, e intona una preghiera, invitando i presenti a continuare con lui, come per sviare un imminente e triste uragano.
Dorian stringe sua nonna. Lei è immobile. Guarda davanti a sé.
Poi Dorian guarda in basso, il leone, e il leone guarda lui, come se realmente fosse dotato di anima.
Scruta ancora più un basso.
Verso le zampe. Nota un fiocco. Legato alla zampa sinistra. Sembra brillare alla luce del sole.
Non capisce perché sia stato messo lì, al termine della cerimonia deve assolutamente scoprire cosa si nasconde dietro a quella figura, così misteriosa.
Il pastore benedice i presenti ed il leone, poi conclude la cerimonia, tutti si allontano, a passo lento, verso le loro dimore, non prima di aver omaggiato la statua con fiori, i preferiti di Eunice: le orchidee.

Dorian abbraccia sua nonna. Lei bagna la sua felpa di lacrime. Lui guarda davanti a sé, sembra quasi che abbracci sua madre, per l'ultima volta.
Poi chiede alla nonna << Posso farti una domanda, nonna?>>
<< Certo, tesoro>> dice, asciugandosi una lacrima.
<<Perché il monumento in onore della mamma rappresenta proprio un leone?>> sussurra.
<< È come tua madre. Rappresenta la sua forza, il suo coraggio, la sua temperanza. Allo stesso tempo è ricoperto, paradossalmente, da una corazza di seta.
Tua madre era così. Di seta. Di ferro. Forse non l'hai conosciuta abbastanza, ma tua madre sapeva davvero cosa significasse lottare, e lo sapeva anche tuo nonno che le aveva dedicato il suo unico libro, che tanto ami. Diceva che amava tua madre più di ogni altra cosa e amava paragonarla a quel leone, diceva che vi era un motivo per cui preferiva immaginarla così.
Non ho mai saputo quale fosse. Non hai mai voluto dirmelo, era così riservato, non sembravamo amarci più dopo tanti anni di matrimonio.
Tuo nonno non l'ho mai conosciuto davvero fino in fondo sai? Forse non mi ha mai amato. Ma è tutto passato, ora. >>
Dorian ascolta. Ascolta attentamente. Non capisce, come sempre.
Non si era mai posto la domanda di come potesse essere un leone contemporaneamente di seta e di ferro, eppure aveva letto quel libro centinaia di volte. Possibile che non aveva mai saputo davvero interpretare quel simbolismo?
Ora è come se sente di essere appena uscito dal grembo materno, inconsapevole del suo passato, di ciò che è accaduto, quasi come se avesse perso la memoria.
Non esistono i suoi genitori, né sua nonna, è un alieno al suo primo viaggio sulla Terra, un bambino che apre gli occhi per la prima volta.
Apre gli occhi. Non conosce più nulla di sé, ormai.
Sente la mani di sua nonna, lo stringe a sé.
Sente la testa esplodere.
Mille domande.
Parla tra sé e sé, ancora, ancora, ancora.
Vorrebbe calpestare il terreno più forte, ma ha paura di cadere, non può farlo, di nuovo.
Sospira. Un brivido. Una domanda. La stessa da tre anni.
Dov'è suo padre?

Un leone di seta e di ferroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora