Capitolo 1 - L'arrivo a Venezia

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Eravamo in viaggio da circa due giorni, e mancavano soltanto 20 kilometri all'arrivo della nuova città: Venezia, la capitale della laguna veneta, oltre che capitale del Carnevale più famoso del mondo. Seguivo le orme della mia famiglia, oh meglio, il volere di mio padre. 

Mio padre cambiò città per motivi di lavoro: lo avevano trasferito a Venezia perchè il vecchio direttore della Banca Europea era stato accusato di frode, e perciò, i capi di mio padre gli diedero quel posto di lavoro. Mia madre, invece, era rimasta dispiaciuta: stavamo lasciando la vecchia Torino per raggiungere la nostra nuova abitazione. Mi mancavano i miei vecchi amici. 

Le risate con loro, le corse che facevamo vicino al Po, le mega chiacchierate vicino alla Gran Madre, e così via. Ora, stavo pensando alla nuova casa: sarà grande? Ci saranno dei miei coetanei a Venezia? Oh saranno tutti vecchi? Ancora non lo sapevo, ma lo avrei scoperto presto.

Giunti a Venezia, lasciammo la nostra macchina e scaricammo le nostre cose sopra due battelli che, grazie al loro aiuto, non saremmo mai arrivati nel centro della città con la macchina. Mentre navigavamo, notai che c'erano tantissimi turisti, provenienti da tutto il mondo. Molti erano americani, altri tedeschi e altri ancora polacchi. Se devo dirla tutta, credevo che fosse più piccolo il centro, ma invece, mi sbagliavo.

Giunti sotto la nuova casa, rimasi a bocca aperta: era un palazzo settecentesco, e al suo interno, c'erano tantissime statue raffiguranti divinità greco-romane

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Giunti sotto la nuova casa, rimasi a bocca aperta: era un palazzo settecentesco, e al suo interno, c'erano tantissime statue raffiguranti divinità greco-romane. Molti maggiordomi vennero a prendere gli scatoloni e ci aiutarono con lo scaricare i mobili più pesanti. Io, nel mentre, giravo per il palazzo: molte finestre illuminavano i corridoi, mentre gli affreschi sembravano di Tiziano, ma non ne ero sicura. Molte camere erano gigantesche; circa due piccoli campi da bocce.

Corsi verso il balcone centrale ed aprì le ante. Che vista! Dal balcone si vedeva piazza San Marco con il rispettivo campanile, mentre dal lato destro si vedevano le varie viuzze del centro storico. Ero molto incuriosita da questa città; infatti, corsi giù dalle scale e chiesi a mio padre: "Papà, se per te non è un problema, io vado a visitarmi la città. Ci vediamo per cena, ok?"

Mio padre, come gli avevo chiesto, lui mi rispose: "Per me va bene. Mi raccomando, se ti chiamiamo, rispondi. Ci vediamo dopo, ciao". Presi il mio zainetto e corsi per le strade della città. Dopo qualche minuto, riuscì a raggiungere piazza San Marco: era un vero spettacolo. Mentre giravo per la piazza, guardai stupita le gigantesche architetture. Poi, mi sedetti dentro a un bar e chiesi al cameriere: "Buongiorno. Vorrei una lattina di coca cola, grazie".

Mentre aspettavo, leggevo il giornale. La notizia in prima pagina era: "L'onorevole Massuoli, arrestato per frode. Forse lavora con Cosa Nostra?" A un certo punto, nel bar entrò un poliziotto, e nascosi il giornale. Non amavo tantissimo i politici; soprattutto per i vari scheletri nell'armadio che nascondevano. Mentre bevevo la coca cola, notai che nel bar entrò un ragazzino vestito da giullare, ma non ci feci tanto caso.

 Mentre bevevo la coca cola, notai che nel bar entrò un ragazzino vestito da giullare, ma non ci feci tanto caso

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"Al ladro! Fermatelo!" urlò di colpo il barista, mentre quel piccolo giullare scappava con i soldi. "Ci penso io" dissi al proprietario, e iniziai a inseguire il ladruncolo. Mentre correvo, notai che il ragazzino stesse saltellando in modo strano: era come se stesse per scavalcare qualcosa. A un certo punto, raggiunsi il molo e vidi che il fuggiasco prese una gondola come mezzo di fuga, ma io, scaltra, salì sopra un motoscafo e dissi al marinaio: "Insegua quella gondola. Quel tipo ha rubato dei soldi".

Come detto, il tipo mise in moto il mezzo e continuai a inseguirlo via mare, ma a un certo punto, il tipo si fermò. "Come mai si è fermato?" chiesi, e il marinaio mi rispose: "Quello va verso l'isola di Poveglia. Io su quell'isolotto non ci vado manco morto. Se vuole, le do questa barchetta" e il tizio mi diede una piccola barchetta di legno. Dissi al tipo che non fa niente. Che doveva riportarmi a piazza San Marco. 

Ritornata in quel bar, dissi al proprietario: "Mi dispiace, non sono riuscita a prenderlo"

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Ritornata in quel bar, dissi al proprietario: "Mi dispiace, non sono riuscita a prenderlo". "Ma va, non si preoccupi. Sono quei farabutti della banda dei giullari. Quelli si nascondono a Poveglia, ma nessuno ci va per via delle storie che girano su quell'isolotto". Per ringraziarlo, pagai la bevanda e ripresi il mio zainetto. Quando ritornai a casa, riconobbi il piccolo ladro: stava la, seduto su uno dei tanti piloncini che fuoriuscivano dall'acqua. Mi guardava, ed io guardavo lui. Poi, se ne andò via, saltellando sopra alle gondole.

Non dimenticherò mai quella notte: avevo avuto a che fare per la prima volta con un ladruncolo

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Non dimenticherò mai quella notte: avevo avuto a che fare per la prima volta con un ladruncolo. Mentre salivo le scale, sentivo il forte odore di carne, e corsi il più veloce possibile verso la sala da pranzo. Mamma e papà stavano già mangiando; quando mi sedetti, mia madre mi chiese: "Ciao, tesoro. Com'è andata il primo giro per il centro?" io risposi: "Il centro è molto bello; addirittura, oggi ho avuto a che fare con un ladruncolo e io l'ho inseguito". Mio padre, come udì la parola "ladruncolo", mi squadrò da cima a fondo. "Tu non dovresti fare certe cose. Tu appartieni a una classe alta, e non a una classe bassa. Tu stai al tuo posto, ed adesso il tuo posto è qui, a Palazzo Dario". 

Capì subito che mio padre odiava la classe bassa. Secondo lui, i perdenti devono soltanto strisciare, mentre quelli come noi, devono farsi rispettare, come a delle sorte di divinità. Questo era l'ideologia di mio padre. Mia madre, invece, faceva da aiutante per i centri ospedalieri, ma stava pochissimo con i pazienti. 

Io, invece, unica figlia di quella "famiglia", mi sentivo rifiutata, come se non esistessi. Ma a me non importava; anzi, io cercavo di mimetizzarmi tra la gente. Nessuno sapeva chi ero, e per il momento era meglio così. Meglio essere delle ombre, che essere come diceva mio padre, degli "dei". 

Beatrice, regina dei ladriDove le storie prendono vita. Scoprilo ora