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Quando apro gli occhi, la mattina dopo, la mia testa è sul punto di esplodere. Sta notte, non so esattamente a che ora, Quattro mi ha accompagnata fino alla camerata. Abbiamo camminato tutto il tempo con le mani che si sfioravano, il mio indice intrecciato al suo mignolo, ed è stato meraviglioso. Ad un certo punto mi ha anche dato la sua giacca. Poco prima che entrassi in dormitorio mi ha detto di essersi divertito e io gli ho detto che mi sono divertita anche io.
Guardo l'ora: sono le 10:00. Will e Christina saranno a fare colazione.
Mi alzo e mi lavo la faccia a fatica. Quando mi guardo allo specchio, vedo che ho gli occhi arrossati e il trucco sbavato. Mi pulisco e poi mi vesto con una maglietta rossa e dei pantaloni neri. Prendo la felpa ed esco.
Quando arrivo alla mensa, Will e Christina sono seduti al solito tavolo. Poco distante ci sono Uriah, Marlene, Zeke e Shauna. Nessuna traccia di Quattro. Mi avvicino e mi siedo di fianco a Christina, poi poso la testa sul tavolo.
-Ma buongiorno!- dice Will a voce troppo alta, e io mi tappo le orecchie.
-'Giorno.- biascico.
-Tutto bene?- mi chiede Chris.
Io scuoto la testa.
-La mia testa.- dico, -Sta esplodendo.-
Lo sento ridere.
-Benvenuta nel post-sbornia.- alzo la testa.
-Io non mi sono ubriacata. Sarà stato per la musica.-
Mi allungo sul tavolo per prendere un muffin.
-Comunque, ti sei divertita?- chiede Will.
Annuisco mentre lo addento.
-Com'era?- mi chiede Christina.
-C'era un sacco di gente, mezza nuda tra l'altro. La musica era altissima e c'erano un sacco di luci colorate e poi c'era questo tavolo lunghissimo con un tipo che serviva ogni tipo di liquore... è stato strano. Ma mi è piaciuto un sacco.- dico, e in testa ho l'immagine di Quattro che balla con me.
-Chi ti è piaciuto?- chiede.
-La festa.- rispondo aggrottando le sopracciglia. Christina mi guarda con un sopracciglio alzato.
-Allora perché hai detto "mi è piaciuto un sacco", al posto di "mi è piaciuta"?-
E ora cosa dico?
Dì una bugia ma dilla subito!
-Hai presente in che stato sono? Ringrazia se so come mi chiamo. Mi sarò confusa.- dico, senza troppa convinzione. Will annuisce, ma Christina non ci casca. Probabilmente capisce che però non ha speranza quindi lascia perdere e, dopo che finisco di mangiare, ci alziamo e usciamo.

•••

Sono con Will e Christina alla ringhiera sullo strapiombo. È tardi e la maggior parte degli Intrepidi è andata a dormire. Mi brucia la spalla destra: ci siamo fatti tutti un nuovo tatuaggio mezz'ora fa.
Salgo con i piedi su una delle sbarre orizzontali, schiacciando i fianchi contro il corrimano per tenermi in equilibrio. È da qui che si è buttato Al. Guardo giù nello strapiombo, l'acqua nera, le rocce frastagliate. L'acqua colpisce la parete e solleva spruzzi che mi arrivano fino alla faccia. Ha avuto paura quando si è trovato qui? O era così deciso a saltare che è stato facile?
Non ho voglia di pensare a lui, e mi metto ad osservare i miei due amici. Lui le tocca lievemente la schiena mentre lei si appoggia alla ringhiera, poi gli tocca la mano. Si scambiano un sacco di effusioni inutili, me ne sono resa conto. Loro se ne saranno resi conto?
Non saprei dirlo con certezza, ma non credo.
-Vi mancano le vostre famiglie?- chiede Christina ad un certo punto. Io la guardo.
-Sì, qualche volta.- dice Will.
-A me manca mia sorella, e tutte le cavolate che facevamo per far arrabbiare la mamma.- aggiunge Christina.
-A me manca soprattutto mia mamma. Quando mi tagliava i capelli.- dico ripensando all'ultima volta che lo ha fatto, il giorno del test attitudinale. Rimaniamo in silenzio, a rimuginare ognuno sulla proprio famiglia.
-È ora di andare a dormire- dice dopo un po' Christina. -Pronti a tornare? Mi piacerebbe infilare la mano di Peter in una bacinella di acqua calda per fargli fare la pipì a letto, stanotte.-
Mentre mi volto, nell'ombra vedo il profilo di una persona. Mi concentro meglio e vedo che è Quattro. Quando si accorge che l'ho visto mi fa un cenno e si incammina verso il Palazzo di Vetro. -Idea grandiosa, ma devo parlare con Quattro di una cosa.- dico, indicando l'ombra che sale lungo il canale.
Gli occhi di Christina seguono la direzione della mia mano. -Sei sicura che sia il caso di andartene in giro da sola di notte?- chiede.
-Non sarò sola, sarò con Quattro.-
Christina sta guardando Will e lui sta guardando lei. Nessuno dei due mi sta davvero ascoltando.
-Va bene.- dice Christina distrattamente. -Ci vediamo dopo, allora.-
-E domani mettiamo la mano di Peter in una bacinella di acqua calda.- dico.
Mi dirigo velocemente verso il canale sulla destra e comincio ad arrampicarmi, cercando di fare meno rumore possibile.
Corro silenziosamente e arrivo alla scala senza fiato; mi fermo all'inizio del salone, e Quattro è già in fondo. Attraverso i vetri vedo le luci della città: sono ancora accese ma si stanno smorzando sotto i miei stessi occhi. Saranno spente entro mezzanotte.
Dall'altra parte del salone, Quattro è sulla soglia del corridoio delle simulazioni. Ha una scatola nera in una mano e una siringa nell'altra.
-Vorrei che entrassi con me, oggi.-
Mi mordo le labbra.
-Nel tuo scenario della paura?-
-Sì.-
-Me lo lasceresti vedere?-
-E per quale altro motivo pensi che ci stia andando?- chiede lui piano, tenendo gli occhi bassi. -Ci solo alcune cose che voglio mostrarti, alcune cose che... meriti di sapere di me.-
-Perché dovrei meritare qualcosa?- chiedo, ma lui non risponde.
Solleva la siringa e io piego la testa per esporre meglio il collo. Sento un dolore acuto quando l'ago entra, ma ormai ci sono abituata. Una volta fatto, mi porge la scatola nera. Dentro c'è un'altra siringa.
-Non l'ho mai fatto prima.- lo avviso, prendendola. Non voglio fargli male.
-Esattamente qui.- fa lui, indicando con il dito.
Io mi sollevo sulle punte dei piedi e gli infilo l'ago nel collo. La mano mi trema un po', mentre lui è perfettamente immobile. Tiene gli occhi su di me per tutto il tempo e, quando ho finito, ripone le siringhe nella scatola e la posa accanto alla porta.
Mi porge la mano e io vi faccio scivolare la mia. Le sue dita sono fredde e nervose. Mi sento come se dovessi dire qualcosa, ma sono troppo sorpresa e non mi viene in mente niente. Lui apre la porta con la mano libera e io lo seguo nel buio. Ormai sono abituata a entrare in posti sconosciuti senza esitare. Mantengo il respiro regolare e tengo saldamente la mano di Quattro.
-Vediamo se riesci a indovinare perché mi chiamano Quattro.- mi sfida.
La porta si chiude alle nostre spalle portandosi via tutta la luce. L'aria è fredda e percepisco ogni particella che mi entra nei polmoni. Mi avvicino di più a lui, così il mio braccio sbatte contro il suo e il mento è vicino alla sua spalla.
-Qual è il tuo vero nome?- gli chiedo.
-Vediamo se riesci a indovinare anche quello.-
La simulazione comincia. Il suolo su cui sto
camminando non è più di cemento e cigola come se fosse metallo. La luce ci investe da ogni direzione e intorno a noi si srotola la città, con i suoi edifici di vetro e l'arco dei binari del treno. Ci troviamo in alto, sopra tutto. È così tanto tempo che non vedo un cielo azzurro che quando compare, sopra di me, mi si ferma il respiro. Mi sento euforica.
Si alza il vento. Soffia con tanta forza che devo appoggiarmi a Quattro per non cadere. Lui mi lascia la mano e mi passa il braccio intorno alle spalle. All'inizio penso che sia per proteggermi, ma mi sbaglio. Gli manca il respiro e ha bisogno di me per sorreggersi. Si costringe a inspirare ed espirare, con la bocca aperta, ma digrigna i denti.
A me piace l'altezza, ma se siamo qui vuol dire che è uno dei suoi incubi peggiori.
-Dobbiamo saltare, giusto?- grido per sovrastare il vento.
Lui annuisce.
-Al tre, okay?-
Annuisce di nuovo.
-Uno... due... tre!- Me lo tiro dietro quando comincio a correre. Una volta fatto il primo passo, il resto è facile. Balziamo oltre il bordo dell'edificio e precipitiamo come due pietre, velocissimi, l'aria che ci viene addosso, il terreno che si allarga sotto di noi. Poi la scena scompare e mi ritrovo carponi sul pavimento, sorridente. Mi è piaciuta l'eccitazione che ho provato il giorno in cui ho scelto gli Intrepidi, e mi piace ancora.
Vicino a me, Quattro ansima e si preme una mano sul petto.
Mi alzo e lo aiuto a rimettersi in piedi.
-Che cosa c'è ora?-
-È...-
Qualcosa di duro mi colpisce alla schiena. Finisco addosso a Quattro, con la testa premuta contro la sua clavicola. A sinistra e a destra compaiono due muri. Lo spazio è così ristretto che lui è costretto a portarsi le
braccia al petto. Un soffitto si chiude sopra di noi con uno schianto e Quattro si rannicchia con un lamento. La stanza è grande quanto basta per contenere lui, non di più.
-La reclusione.- mormoro.
Lui emette un suono gutturale e io sollevo la testa per guardarlo. Distinguo a malapena il suo viso; è buio e l'aria è pesante, i nostri respiri si mescolano. Lui ha i lineamenti contratti, come se provasse dolore.
-Ehi, -sussurro. -va tutto bene. Qui...-
Faccio scivolare il suo braccio intorno al mio corpo in modo da creare più spazio. Lui mi stringe e avvicina la faccia alla mia, sempre rannicchiato. Il suo corpo è caldo, ma sento solo ossa e muscoli sotto le dita, nessuna parte morbida. Arrossisco. Si accorgerà che ho il fisico di una bambina?
-È la prima volta che sono contenta di essere così piccola.- Rido. Se scherzo, forse riesco a calmarlo. E a distrarmi.
-Mmm-mmm.- farfuglia lui con voce tirata. Non sta funzionando come vorrei.
-Non possiamo uscire di qua.- constato. -È più semplice affrontare la paura a testa bassa, giusto?- Non aspetto la risposta. -Quindi quello che devi fare è ridurre lo spazio ancora di più. Peggiorare le cose per poterle migliorare. Giusto?-
-Sì.- è la sua breve risposta, tesa e nervosa.
-Okay, quindi dobbiamo rannicchiarci. Sei pronto?- Gli stringo la vita per farlo abbassare insieme a me.
Sento la linea dura delle sue costole contro la mano e sento lo stridere delle assi di legno mentre il soffitto si abbassa su di noi. Mi rendo conto che non può funzionare con tutto questo spazio tra me e lui, per cui mi giro e mi raggomitolo, con la schiena contro il suo petto. Un suo ginocchio è vicino alla mia testa, mentre l'altra gamba è piegata sotto di me, per cui sono seduta sulla sua caviglia. Siamo un intrico di gambe e braccia. Sento il suo respiro affannoso contro il mio orecchio.
-Ah- esclama lui, la voce roca. -Così è peggio, così è decisamente...-
-Ssst- lo rassicuro. -Abbracciami.-
Ubbidiente, lui fa scivolare entrambe le braccia intorno alla mia vita. Io sorrido alla parete. Tutto questo non mi piace mica. Proprio no, neanche un po'. No...
-La simulazione misura la tua reazione alla paura.- gli parlo dolcemente. Sto solo ripetendo quello che lui ha detto a noi, ma ricordarglielo potrebbe aiutarlo. -Per cui se riesci a far rallentare il battito cardiaco, passerà alla fase successiva. Ricordi? Cerca di non pensare a dove ti trovi.-
-Sì?- Le sue labbra si muovono contro il mio orecchio mentre parla, e mi sento attraversare da un'ondata di calore. -Facile, eh?-
-Sai, in tanti sarebbero contenti di ritrovarsi intrappolati in uno spazio così ristretto con una ragazza.- Alzo gli occhi al cielo.
-Non quelli claustrofobici, Tris!- Ora sembra disperato. Mossa sbagliata.
-Okay, okay.- Metto la mano sopra la sua e me la porto al petto, proprio sopra il cuore. -Senti il mio cuore. Riesci a sentirlo?-
-Sì.-
-Senti com'è regolare?-
-Batte veloce.-
-Sì, be', questo non ha niente a che vedere con la simulazione.- Appena lo dico mi rendo conto con una smorfia che mi sono lasciata sfuggire una mezza confessione. Spero che non se ne accorga. -Ogni volta che mi senti respirare, respira anche tu. Concentrati.-
-Okay.-
Comincio a respirare profondamente, e il suo petto si solleva e si abbassa con il mio. Continuiamo così per un po'. Poi gli chiedo, con molta calma:
-Perché non mi racconti da dove viene questa paura. Forse parlarne ci aiuterà... in qualche modo.-
Non so perché, ma mi suona giusto.
-Ehm... okay.- Fa un altro respiro seguendo il mio. -Questa fobia è collegata alla mia fantastica infanzia. Alle punizioni. Il piccolo ripostiglio al piano di sopra.-
Stringo le labbra. Ricordo di essere stata punita: di essere stata mandata in camera senza cena, di essere stata privata di una o dell'altra cosa, di essere stata rimproverata aspramente. Ma non mi hanno mai chiusa in un ripostiglio. Quella crudeltà mi fa soffrire; mi dispiace davvero per lui. Non so cosa dire, per cui cerco di restare sul vago.
-Mia madre ci teneva i cappotti invernali, nel ripostiglio.-
-Io non...- Gli manca l'aria. -Non voglio parlarne più, davvero.-
-Okay. Allora... parlo io. Chiedimi qualcosa.-
-Okay.- Ride debolmente nel mio orecchio. -Perché ti batte così forte il cuore, Tris?-
Faccio un'altra smorfia.
-Beh, io...-
Cerco una scusa che non abbia a che fare con il fatto che sono stracotta di lui e che mi trovo tra le sue braccia.
-Ti conosco appena.- Non è abbastanza buona. -Ti conosco appena e sono schiacciata contro di te in una specie di cassa, Quattro. Secondo te?-
Ride ancora e alla sua risata la parete si apre con uno schianto e sparisce. Ci ritroviamo dentro un cerchio di luce. Quattro sospira e mi toglie le braccia dalla vita. Io mi affretto a rialzarmi e mi spazzolo i vestiti, anche se non c'è proprio niente da spazzolare, che io sappia. Mi asciugo le mani sui jeans. Ho freddo alla schiena ora che improvvisamente non c'è più lui dietro di me.
Quattro mi si para davanti. Sta sorridendo e non sono sicura che mi piaccia la luce nei suoi occhi. Forse semplicemente mi piace troppo.
-Forse eri tagliata per i Candidi,- dice -perché sei una frana a mentire.-
-Temo che il mio test attitudinale abbia escluso quella opzione abbastanza decisamente.-
Lui scuote la testa. -I test attitudinali non significano niente.-
Lo guardo con sospetto.
-Che cosa stai cercando di dirmi? Non è per il test che hai scelto gli Intrepidi?-
Un'eccitazione mi pulsa in tutto il corpo come sangue nelle vene al pensiero che possa confermarmi che è un Divergente, che è come me.
-Non esattamente, no.- dice. -Io...-
Si volta e la voce gli muore in gola. C'è una donna ad alcuni metri di distanza, che punta un fucile contro di noi. È perfettamente immobile e ha un viso anonimo; se ce ne andassimo in questo momento non me la ricorderei. Sulla mia destra compare un tavolo. Sopra c'è una pistola e un unico proiettile. Perché lei non spara?
Ah, penso. La paura non c'entra con la minaccia alla sua vita, ma con la pistola sul tavolo.
-Devi ucciderla- mormoro piano.
-Ogni singola volta.- risponde in un sussurro.
-Lei non è reale.-
-Lo sembra.- Si morde il labbro. -La sensazione è reale.-
-Se fosse reale, ti avrebbe già ucciso.-
-Va bene.- Annuisce. -Devo solo... farlo. Questa paura non... non è così male. Non mi manda in panico come l'altra.-
Non lo manda in panico, ma lo terrorizza molto di più. Glielo vedo negli occhi mentre prende la pistola e apre il caricatore come se l'avesse fatto migliaia di volte, e forse è così. Inserisce la pallottola e solleva l'arma davanti a sé, stringendo l'impugnatura con entrambe le mani. Chiude un occhio e inspira lentamente.
Mentre espira spara, e la testa della donna schizza indietro. Vedo un lampo rosso e distolgo lo sguardo. La sento accasciarsi a terra. La pistola di Quattro cade con un tonfo, ed entrambi fissiamo il cadavere. Quello che ha detto è vero: sembra tutto reale.
Non essere ridicola.
Lo afferro per il braccio.
-Su- lo sprono. -Vieni. Proseguiamo.-
Lo strattono di nuovo, lui si riscuote e mi segue. Mentre oltrepassiamo il tavolo, il corpo della donna scompare, ma non dalla mia memoria e dalla sua. Che effetto mi farebbe dover uccidere qualcuno ogni volta che attraversassi il mio scenario? Forse lo scoprirò.
Ma c'è una cosa che mi sconcerta: queste dovrebbero essere le paure peggiori di Quattro. E anche se nella cassa e sul tetto è andato in panico, ha ucciso la donna senza molta difficoltà. Come se la simulazione stesse cercando di pescare tutte le fobie che riesce a scovare dentro di lui, ma non avesse trovato molto.
-Eccoci. Questa paura è la peggiore, spesso quando la affronto, mi dimentico che non è reale.- sussurra.
Una figura scura si muove davanti a noi, spostandosi lungo il margine del cerchio di luce, nell'attesa che facciamo un altro passo. Chi è? Chi infesta gli incubi di Quattro? L'uomo che emerge dall'oscurità è alto e snello, con i capelli tagliati quasi a zero. Tiene le mani dietro la schiena e indossa gli abiti grigi degli Abneganti.
-Marcus.- sussurro.
-Questa è la parte- mormora Quattro con voce tremante -in cui indovini il mio nome.-
-Lui è...- Sposto lo sguardo da Marcus, che avanza piano verso di noi, a Quattro, che indietreggia a poco a poco, e tutti i pezzi vanno a posto. Marcus aveva un figlio che se n'è andato negli Intrepidi e che si chiamava... -Tobias.-
Marcus mostra le mani. In una, chiusa a pugno, stringe una cintura avvolta intorno alle dita. Lentamente, la svolge.
-È per il tuo bene.- afferma, e la sua voce riecheggia una decina di volte.
Una decina di Marcus entrano nel cerchio di luce, tutti con in mano la stessa cintura e in viso la stessa espressione vacua. I Marcus sbattono le palpebre e i loro occhi diventano cavità vuote e nere. Le cinture scivolano sul pavimento ricoperto da piastrelle bianche. Un brivido mi sale lungo la schiena.
Guardo Quattro, cioè Tobias: è impietrito, curvo su se stesso. Sembra molto più vecchio; sembra molto più giovane. Il primo Marcus tira indietro il braccio e si prepara a colpire, la cintura vola oltre la sua spalla. Tobias si ritrae, sollevando le mani per proteggersi il viso.
Non penso a quello che faccio, semplicemente seguo il mio istinto. Mi lancio davanti a lui e la cintura schiocca contro il mio polso, arrotolandovisi intorno. Un dolore acuto mi sale su fino al gomito. Stringo i denti e tiro indietro il braccio più forte che posso. La cintura sfugge di mano a Marcus e si scaglia contro di me. Tobias si piazza tra me e lui, spingendomi dietro di sé. Adesso sembra arrabbiato, non spaventato.
Tutti i Marcus scompaiono. Le luci si accendono su una stanza lunga e stretta con mura cadenti di mattoni e il pavimento di cemento.
-Tutto qui?- esclamo. -Erano queste le tue peggiori paure? Come mai hai solo quattro...- La frase rimane a metà. Solo quattro paure. -Ah.- Mi volto verso di lui. -Ecco perché ti chiamano...-
Mi interrompo quando vedo la sua espressione. Ha gli occhi spalancati, sembrano quasi fragili sotto le luci della stanza. Le labbra sono aperte.
Mi prende un braccio, il pollice che preme sulla pelle morbida dell'incavo del gomito, e mi tira verso di sé. Il polso mi brucia ancora, come se la cintura fosse stata reale, ma non ci sono segni sulla pelle. Lui strofina lentamente le labbra contro la mia guancia, poi mi stringe le braccia intorno alle spalle e nasconde la faccia nel mio collo, respirando contro la mia clavicola.
Rimango immobile per un attimo, poi lo abbraccio e sospiro.
-Hey.- sussurro dolcemente. -L'abbiamo superato.-
Lui solleva la testa e mi passa le dita tra i capelli, agganciandomeli dietro l'orecchio. Ci fissiamo in silenzio, mentre gioca meccanicamente con una mia ciocca.
-Tu me l'hai fatto superare.- mormora alla fine.
-Beh.- Ho la gola secca e cerco di ignorare quella nervosa corrente elettrica che mi vibra sottopelle ogni volta che mi tocca.
-È facile essere coraggiosi quando le paure non sono le tue.- Mi sciolgo dall'abbraccio e con finta noncuranza mi asciugo le mani sui jeans, sperando che non se ne accorga.
Se se ne accorge, non lo dice. Invece, intreccia le sue dita con le mie. -Vieni- mi invita. -Voglio mostrarti un'altra cosa.-

Who are you, Four?      - Fourtris-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora