Jimin camminava nei corridoi come un'ombra, perso nel silenzio che riusciva a ritagliarsi tra il caos di voci e passi. La custodia rigida che stringeva al petto era troppo grande per lui, come una barriera invisibile tra il suo mondo e quello degli altri. Ogni passo sembrava un atto di resistenza, ogni respiro un tentativo di ignorare il rumore che gli sfiorava l'anima.
Il corridoio era pieno di ragazzi, gruppi che ridevano e chiacchieravano senza sosta. Parole che si sovrapponevano l'una all'altra, frammenti di storie che Jimin non sentiva nemmeno più. Era come se le loro voci fossero parte di un altro universo, troppo lontano dalla sua solitudine. Si avvicinò all'ingresso di una delle aule, l'aria immobile e opaca che lo circondava lo faceva sentire più leggero, più distante. La campanella sarebbe suonata tra poco, ma in quel momento nulla sembrava importargli.
"Gli Starboys al festival della scuola!"
"Incredibile! Spero che Jeon mi possa notare questa volta."
Le voci delle due ragazze gli arrivarono come un'eco lontana, dissolvendosi subito. I loro occhi brillavano davanti al volantino attaccato alla bacheca, un'immagine colorata con il volto di un ragazzo che sorrideva senza sorridere. La scritta "Starboys" era come un'etichetta appiccicata su un sogno, qualcosa che non gli apparteneva.
Jimin guardò il giornalino, senza veramente guardarlo. La presenza di quel nome gli sembrava un'intrusione, un fastidio inutile. "Starboys... mai sentiti," pensò, mormorando tra sé e sé. La sua attenzione, tuttavia, si soffermò ancora sul volto del ragazzo. C'era qualcosa in quella figura che lo inquietava, ma non riusciva a capire cosa. Non gli interessava il gossip della scuola, né tantomeno i festival di quei ragazzi che si aggiravano come se il mondo fosse loro. Eppure, quel nome, Starboys, risuonava come un'eco, qualcosa che non riusciva a cancellare dalla sua mente.
Il corridoio si fece più vuoto mentre i passi dei compagni si allontanavano, ma Jimin rimase lì, perso in un pensiero che non riusciva a dare forma. Il suo strumento, la sua Fender, era tutto ciò che aveva, l'unica costante in un mondo che gli sfuggiva. Forse per questo aveva scelto di rimanere nell'ombra. Forse per questo non riusciva mai a fare un passo fuori dalla sua zona di comfort, da quel piccolo angolo sicuro dove la musica gli dava un senso di esistenza.
Poi, un urto improvviso. La violenza di un corpo contro il suo, il suono secco della custodia che volava via. La sua chitarra, il suo tutto, che si staccava dalla sua presa con una leggerezza dolorosa.
"Aish, ma che cazzo!" La sua voce scivolò fuori, rotta dal dolore. Si accasciò, il corpo che sembrava pesare il doppio, mentre l'eco del suo strumento che rotolava sul pavimento gli arrivava come una sentenza.
"Stai attento, dannazione!" La voce di chi lo aveva sbattuto a terra era roca, infastidita. Un'altra vita che continuava, come se la sua fosse solo un inciampo. Jimin si rialzò, cercando di ignorare il dolore che gli attraversava la schiena. Gli occhi si spostarono rapidamente sulla custodia, la sua chitarra a pochi passi da lui. Doveva essere intatta. Doveva.
Con un gesto distratto, afferrò la custodia, aprendo il coperchio con la frenesia di chi sa che qualcosa di fondamentale è in pericolo. La Fender era lì, ma le corde erano tutte fuori posto, storte. Non era rotta, ma quel danno, quel piccolo, insignificante danno, lo feriva più di quanto avrebbe mai ammesso. La sua amata Fender, che gli aveva regalato tante notti solitarie, tanti pensieri incompresi, ora era danneggiata. E quel danno gli sembrava un riflesso della sua stessa vita, sempre fuori posto, sempre a un passo dal fallimento.
"Non è rotta, cazzo," la voce del ragazzo lo strappò dai suoi pensieri. Jimin alzò lo sguardo, e si trovò davanti a lui: Jeon Jungkook, il ragazzo delle leggende scolastiche, il leader degli Starboys. Il ragazzo che tutti adoravano. Il ragazzo che ora lo guardava con uno sguardo che non sapeva se fosse indifferente o sprezzante. "Si sono solo scoordinate le corde. E poi, sono vecchie, giusto?" Jungkook aggiunse, come se fosse naturale parlare di qualcosa che non gli apparteneva.
Jimin deglutì. Le sue mani tremavano. Non poteva credere che stesse succedendo davvero, che stesse davvero parlando con lui. Quello che fino a quel momento era stato solo un nome, una voce sussurrata, ora era davanti ai suoi occhi. Ma non c'era spazio per l'admirazione, non c'era spazio per nulla. Solo un'urgenza, un impulso che lo spingeva a rispondere.
"Non è colpa mia se non stai attento dove metti i piedi, cretino!" La voce di Jimin uscì più forte di quanto avesse voluto, il suo corpo piegato in avanti come a voler giustificare l'ingiustificabile.
Jungkook, con il suo solito distacco, non fece una piega. Guardò la chitarra per un momento, poi lo fissò. "Sei un dilettante," disse, come se fosse un dato di fatto. "Impara a sistemarla, se ci tieni davvero. Addio." E con un passo rapido, si allontanò, lasciando dietro di sé un'aria di superiorità, di indifferenza.
Jimin rimase lì, con il cuore che batteva troppo forte. Non riusciva a capire cosa fosse successo. Quella scena, quel volto, quelle parole, tutto gli sembrava sfocato. Ma una cosa era certa: non sarebbe mai stato come gli altri. Non sarebbe mai stato uno degli Starboys.
"Dilettante," pensò, mentre guardava la chitarra danneggiata, la sua unica compagna di solitudine. "Forse è vero. Forse è proprio così che mi vedono."

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𝑺𝑻𝑨𝑹𝑩𝑶𝒀
Fanfiction|REVISIONATA⚠️ Wattpad 2020 Nella routine tranquilla e prevedibile di Jeon Jungkook, leader e chitarrista della band liceale Starboys, una nuova figura irrompe nella sua vita. Park Jimin, un ragazzo apparentemente introverso e nerd, nasconde una pa...