quarantasei (ミ科億)

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Jungkook camminava lentamente lungo il sentiero che portava a casa, la testa piena di pensieri confusi, il cuore gonfio di una rabbia mista a frustrazione. Ogni passo che faceva lo avvicinava a una realtà che non riusciva a ignorare: la fine dei suoi sogni, la fine degli Starboys, la fine della libertà che aveva tanto inseguito.

Arrivò al cancello di casa, il suo cane lo accolse scodinzolando, ma lui non reagì, assente. Accarezzò distrattamente il manto del cane, il suo pensiero ormai completamente assorbito dalle parole del preside, dalle urla dei suoi genitori. "È finita, Jungkook. Cosa ti aspettavi?" Una voce, la sua stessa, lo stava deridendo nella sua testa.

Spingendo il portone con un rumore che gli sembrava troppo forte in quel silenzio, entrò. La casa, come sempre, aveva un'aria tesa, come se tutto lì dentro stesse aspettando qualcosa che non sarebbe mai arrivato. Sua madre lo guardò appena, la figura lunga nei suoi abiti pesanti, ma il suo sguardo era tutt'altro che caloroso.

"Sei già tornato?" chiese con tono sospettoso, gli occhi scrutandolo per cercare indizi.

Jungkook non rispose. Si limitò a passare accanto a lei, dirigendosi verso il salotto dove suo padre lo stava aspettando. Ogni passo che compiva dentro quella casa sembrava pesare di più. Sua madre lo seguì senza fare una parola, ma il suo sguardo continuava a pesare come un macigno.

Non appena entrò nel salotto, il suo padre lo fissò, il volto duro, segnato da una rabbia silenziosa. La sua figura massiccia si alzò dal divano, pronto a scatenare la tempesta che Jungkook temeva.

"Sappiamo tutto," disse il padre, la voce bassa, come se volesse contenere un urlo. "Evita le giustificazioni. Non c'è nulla da spiegare."

Jungkook aprì la bocca per replicare, ma non riuscì a far uscire una sola parola. Le sue mani tremavano, ma non per paura: per la frustrazione. Cosa avrebbe potuto dire? Che amava la musica? Che non era pronto a rinunciare a tutto quello che aveva costruito con gli Starboys? Che la sua passione non era solo un capriccio, ma la sua vita?

"Jungkook," continuò il padre, alzando il tono, "hai messo in ridicolo il nome della nostra famiglia! Musica rock? Pensi che questa roba ti porti da qualche parte? Guarda dove siamo, nel bel mezzo di un paese dove i ragazzi sono trasformati in burattini per spettacoli da quattro soldi! Dove pensi di andare con questa musica? Non ti accorgi che hai rovinato tutto?"

Ogni parola del padre sembrava colpirlo come una frusta, ma Jungkook non poteva fare altro che abbassare lo sguardo. Non per sottomissione, ma perché sentiva un peso insostenibile dentro di sé, il peso di un sogno che stava svanendo.

Suo padre non si fermò. "In casa mia, niente rock! Hai capito? Brucia quella chitarra, Jungkook, dimentica questa farsa. Diventa un uomo d'affari, fai qualcosa di utile, porta a casa dei soldi veri, guadagnati col sudore della fronte!"

Jungkook si alzò di scatto, il cuore che gli batteva forte, lo stomaco in fiamme. "Non capisci!" gridò, senza più paura. "Non vuoi capire che è il mio sogno! La musica mi ha salvato. Mi ha dato qualcosa da credere, qualcosa per cui vivere. Non voglio essere come te! Voglio fare musica! Non voglio una vita come la tua!"

Il padre lo guardò, incredulo. "E ti sembra questo un sogno degno? Musica da quattro soldi, una vita da clown?"

"Non sei in condizione di parlare!" Jungkook urlò, il viso contorto dalla rabbia. "I tuoi sogni non si sono avverati, quindi non hai il diritto di dirmi cosa fare della mia vita! È la mia vita! E se voglio vivere per la musica, lo farò! E se ti dà fastidio che io ami un uomo o una pianta o qualsiasi cosa, non è affar tuo! Non hai più il controllo su di me!"

Un silenzio gelido scese nella stanza. Le parole di Jungkook risuonarono più forti di qualsiasi urlo, più potenti di qualsiasi insulto. Il padre si alzò, quasi sovrastandolo, lo sguardo acido.

"Sei una delusione," disse, la voce roca di disprezzo. "Non riconosci nemmeno quanto tuo padre ha sacrificato per darti una vita migliore. E tu che fai? Metti in discussione tutto questo."

Jungkook respirò a fatica, ma dentro di lui qualcosa si stava spezzando. "Non è per te," mormorò, senza alzare lo sguardo. "Non è per te, papà. È per me. È per il mio sogno. E se non riesci a capire questo, allora è davvero finita."

La rabbia dei suoi genitori sembrava fargli perdere il respiro, ma in quel momento, una strana calma lo invase. Era solo. La sua passione era l'unica cosa che gli rimaneva. Non c'era più nulla da fare, nulla da salvare se non il sogno che aveva dentro. E anche se tutto sembrava perduto, non avrebbe mai rinunciato.

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