quarantanove (以ン代)

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Il battito del cuore di Jungkook sembrava riecheggiare nell'aria. Ogni passo verso la manifestazione era carico di un significato che, in qualche modo, nessuno riusciva davvero a esprimere. C'era una sorta di caos collettivo nelle strade, ma anche una quiete profonda nei loro animi. Non stavano solo inseguendo un sogno. Stavano cercando di ridefinire ciò che significava appartenere a qualcosa, a qualcuno, a un momento che stava per essere condiviso da migliaia di voci in un unico coro.

L'aria si era fatta fresca mentre si avvicinavano al luogo dell'occupazione. Il cielo, di un azzurro intenso, sembrava quasi premonitore, come se ogni nuvola stesse ascoltando il battito di quella manifestazione, come se il mondo stesso avesse deciso di accogliere il loro risveglio.

Quando arrivarono, l'incredibile massa di persone che avevano risposto al richiamo era impressionante. Il cortile della scuola, solitamente tranquillo, ora pulsava di energia. Gli studenti, i fan, si erano riuniti lì, alcuni con cartelloni, altri con magliette improvvisate, e tutti, nessuno escluso, con una luce negli occhi che parlava di speranza.

Jungkook si fermò un momento, osservando il mare di volti che si mescolavano, ognuno con la propria storia, la propria frustrazione. Ma in quel preciso istante, capì. Capì che non stavano solo chiedendo di riavere i Starboys. Stavano chiedendo di riavere se stessi, riavere quella parte di vita che avevano visto sgretolarsi senza preavviso.

Era strano. Lo sapevano bene, erano un gruppo spezzato. O almeno così pensavano. Ma forse, per la prima volta, il loro sogno era più vivo che mai. E la cosa più importante era che non dovevano più farcela da soli.

"Guardate," disse Jin, il suo sguardo carico di una consapevolezza che non si era mai visto prima, "non possiamo aspettare che il mondo ci dia il permesso di esistere. Noi dobbiamo esserci, adesso, qui. Questo è il nostro momento."

Le parole di Jin erano semplici, ma la loro potenza era innegabile. Erano pronti, finalmente, a fare il passo decisivo.

I starboys non era solo un gruppo, non era solo una band. Era una parte di un sogno condiviso da migliaia di persone. E quei fan, che avevano sperato per così tanto tempo di vederli di nuovo insieme, erano l'anima di quella realtà.

I cartelloni alti, colorati, e con il nome della band inciso in lettere grandi e vibranti, erano sollevati verso il cielo come bandiere di una causa che non poteva più essere ignorata. La folla in delirio non si lasciava placare dalle forze dell'ordine che, arrivando a pochi minuti prima, cercavano invano di contenere il fervore di quei ragazzi. Le voci si alzavano insieme, come onde che non potevano essere fermate.

L'espressione abbattuta del preside, che osservava impotente il caos che si stava sviluppando davanti ai suoi occhi, fece sì che Jeon Jungkook si sentisse finalmente a casa. Tra tutta quella confusione, in quella resistenza pacifica, trovò una verità che non si aspettava: era lì, proprio lì, nel cuore pulsante di quella protesta, che poteva ritrovare se stesso.

Quei ragazzi, molti probabilmente provenienti da altre scuole della città, avevano messo da parte ogni paura, ogni esitazione. Erano scesi in piazza per un motivo che trascendeva il loro piccolo mondo, per fare un appello forte a chi rifiutava di credere nei sogni di una generazione intera. E loro, proprio loro, erano il simbolo di quella battaglia silenziosa.

Tra il rumore della manifestazione, i cartelloni che ondeggiavano nell'aria e gli striscioni che ondeggiavano come bandiere di una guerra pacifica, i sette ragazzi si fecero spazio a fatica, straniti, ma immensamente grati per il calore che li circondava. Non avevano fatto nulla per meritare questa ondata di sostegno, se non credere nel loro sogno. Ma ora lo vedevano concretizzarsi.

Il volto di Jungkook si scomponeva in un'espressione di dolore, come se fosse intrappolato tra il passato e il presente. E fu Taehyung a sostenerlo, a prendersi cura della sua fragilità, abbracciandolo senza dire una parola. C'era troppo da dire, ma nessuna parola sembrava abbastanza.

Rimasero in silenzio, guardando quei ragazzi che, come loro, avevano deciso di non arrendersi. Nessuno avrebbe potuto descrivere quella sensazione. Non servivano parole. Era come se il cuore di tutti battesse all'unisono in una lingua che non era più solo quella della musica. Era il linguaggio dei sogni, della resistenza, della speranza.

Jungkook prese la mano del biondo, il suo compagno di viaggio, che non smetteva di piangere. Le lacrime scivolavano via, come se finalmente si fosse liberato da un peso che aveva portato troppo a lungo. La sua mano tremava, ma Jungkook la strinse forte, sorridendo con dolcezza a quella visione. La loro realtà era finalmente di nuovo viva, palpitante. E in quel momento, con tutta quella gente che li guardava, li sosteneva, Jungkook sentì che il loro addio non era stato vano.

"Guarda," disse in un sussurro, portando il viso del biondo contro il suo petto. "Siamo tornati a casa. E siamo stati sentiti."

Il sorriso che Jungkook regalò al biondo era il sorriso di chi sa che finalmente la lotta sta dando i suoi frutti. E nonostante le lacrime di gioia che bagnavano il suo volto, era il sorriso di chi aveva trovato la forza di credere di nuovo.

Erano lì, in mezzo alla piazza, circondati da chi li amava, da chi aveva scelto di credere in loro. Non più solo ragazzi perduti nei sogni di un futuro incerto, ma simbolo di qualcosa che nessuna autorità avrebbe mai potuto fermare.

Jungkook non lo pensò nemmeno per un secondo. Il suo cuore, gonfio di felicità e gratitudine, lo spinse a compiere il gesto che non si aspettava nemmeno da sé stesso: si avvicinò al biondo, lo guardò negli occhi, e senza dire nulla, lo baciò.

Il bacio fu come un inno, come la conferma di un sogno che si stava realizzando. Il silenzio che per un momento avvolse la piazza fu spezzato dagli applausi e dai cori dei ragazzi che, felici e commossi, incitavano i due. Non c'era più paura, non c'erano più dubbi. Solo amore. Amore per la vita, per la musica, per i sogni.

I sette si avvicinarono l'uno all'altro, abbracciandosi, ridendo come bambini, mentre le risate risuonavano forti nell'aria. Nessuno avrebbe mai potuto spezzare quel legame. Nessuno avrebbe mai potuto fermarli. Erano finalmente liberi di sognare.

Il suo cuore batteva più forte che mai mentre lo stringeva a sé, riconoscendo in quel momento una verità che mai aveva immaginato: avevano cambiato tutto. E insieme, avevano trovato la forza di rendere quel sogno un atto di coraggio collettivo.

"Ti amo," disse Jungkook, senza più paura, senza più dubbi. Le parole non avevano più bisogno di essere giustificate.

Il biondo lo guardò con un sorriso che parlava di tutto ciò che non era stato detto, ma che entrambi sapevano. "Ti amo, Jeon Jungkook. E lo dico davanti a tutti. Ti amo."

"Quale miglior giorno se non questo?" rispose lui, con gli occhi pieni di luce. "Ti amo da impazzire."

E il mondo, testimone di quel momento, li guardò sorridendo. Perché avevano capito che i sogni, se condivisi, possono diventare realtà. E che, a volte, non è mai troppo tardi per dare forma al futuro.



FINE.

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