4: El monstruo que soy

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Sergio strappò di mano il foglio a Raquél, voleva vederlo coi suoi occhi. Lesse velocemente quello che c'era scritto su quel consumatissimo pezzo di carta, ma era inequivocabile. Avevano trovato Paula e sua nonna e le avevano portate via, disponendo l'affido per la bambina ed una casa di riposo per l'anziana.

Raquél si sentí crollare. Le gambe cedettero e cadde in ginocchio.

L'ennesimo fallimento della sua vita: non aveva nemmeno protetto sua figlia, lasciandola abbandonata per mesi in un paese assurdo, solo perché aveva scelto di fare quella vita.

- Raquél, dobbiamo andare. Se le hanno trovate, non saranno lontani. Temo in un'imboscata. -

Ma Raquél non lo stava ascoltando. Non le importava. Attualmente, si sentí svuotata di qualsiasi volontà. L'unica cosa che provava era dolore.

- Raquél! - disse Sergio alzando la voce e strattonandola, cercando di tirarla in piedi. Ma lei non dava segno di volersi muovere.

La stava per sollevare di peso quando un telefono squillò.

Ma loro non avevano telefoni.

Poco lontano da dove era stato appeso un foglio, individuarono una cassettina da dove proveniva il rumore.

Raquél ci si fiondò, incurante delle conseguenze che quel gesto avrebbe potuto avere. Probabilmente li avevano individuati, ma ora non aveva più importanza.

Aprí la cassettina, prese in mano il telefono e vide che era stato lasciato un messaggio in segreteria.

Lo ascoltò, incurante delle proteste di Sergio, che, però, frastornato quanto lei, capiva di non essere in grado di opporsi.

Raquél fece partire il messaggio, ascoltandolo in vivavoce. Fu la voce di Sierra a pervadere l'aria:

- Ciao Raquél, quanto tempo! Come vedi, mantengo sempre le mie promesse. Quel giorno, davanti alla Banca di Spagna, ti avevo giurato che se non mi avessi consegnato il Professore avrei trovato tua madre e tua figlia. Finalmente ce l'abbiamo fatta, questo è un giorno da festeggiare! Se ti stai chiedendo quando è stato registrando questo messaggio, non preoccuparti, è roba vecchia. C'era un sensore sulla staccionata, dietro il foglio, e puff, ecco che il segnale è stato attivato ed il telefono ha squillato. Come insegna il tuo fidanzato, durante le guerre, a volte, quello che conta è prendere tempo. Saranno passati almeno 5 minuti da quando avete preso in mano quel foglio. Ne avete ancora 2 prima che arrivino le autorità locali. Buona fortuna. Spero di rivederti presto! -

Il messaggio finí, ma loro erano già lontani.

Per quanto quella fosse una mossa inaspettata, il Professore, come sempre, aveva pensato a tutto.

Raggiunsero di corsa la spiaggia, dove un capanno di legno si collegava al mare con un pontile. All'interno si nascondeva un motoscavo, che si sbrigarono a scoprire, mettere a mare e mettere in moto nel più breve tempo possibile. In lontananza si sentivano già le sirene delle volanti, non gli restava molto tempo.

Partirono di fretta, costeggiando la riva. Non dovevano percorrere molta strada, bastava raggiungere una zona boscosa dell'isola per poi disperdersi nella macchia. Da lì, sarebbe stato facile nascondersi, per poi raggiungere un bunker sotterraneo preparato apposta per l'evenienza.

Fu una corsa disperata, contro il tempo e contro la voglia di mollare tutto ed abbandonarsi al destino perché tanto, ora, Raquél sentiva di non aver più nulla da perdere. Ma, alla fine, riuscirono a scendere nel rifugio. Si trovava a 10 metri sotto il livello del mare, scavato e rivestito di piombo. Avevano lasciato molte tracce durante la fuga, ma quel luogo era introvabile, erano al sicuro.

Anche se sentirsi al sicuro era l'ultima delle loro priorità in quel momento.

Raquél imprecò, scaraventando le scarpe inzuppate in un angolo del bunker.

- Quella figlia di puttana! - urlò, frugando violentemente in un cassetto alla ricerca di una cartina geografica. - ti giuro che se la prendo la uccido. -

- Raquél. - disse Sergio con una voce piatta e severa.

Ma lei non lo ascoltò minimamente, intenta a studiare la cartina della Spagna.

- Raquél, fermati. - le ripeté, prendendola per le spalle e distogliendola da quel mucchio di fogli.

Lei oppose resistenza a quel contatto, ma alla fine cedette, scoppiando in una valle di lacrime. Si lasciò stringere e sussurrare:

- La troveremo... Te lo prometto. -

Si sentiva stanca. Stanca di fuggire, stanca di trovare sempre un modo per salvarsi la vita. Stanca di combattere.

Eppure, lo sapeva bene. Quella era la vita che si era scelta.

In quell'abbraccio così forte, in un momento di disperazione assoluta, ripercorse coi ricordi gli ultimi anni della sua vita.

Il matrimonio con Alberto, le violenze. Il divorzio. La lotta per la custodia di Paula.

E poi, la rapina alla Zecca. L'arrivo del Professore ed il suo fallimento professionale.

Quando decise di andare a cercare il Professore in Thailandia sapeva che la sua vita sarebbe cambiata. Che non sarebbe più stata la stessa, ma, forse, se lo stava facendo, era perché in fondo qualcosa in lei era già cambiato. E lo capí il giorno in cui lo vide, seduto a quel Chiringuito a sorseggiare un drink come se non fosse uno dei maggiori ricercati del paese.

Si era sempre chiesta cosa la avesse spinta a rimanere con lui e la risposta era sempre stata "per amore". Ma era davvero cosí?

Il giorno in cui Tokyo era arrivata ad annunciare la cattura di Rio, non aveva pensato nemmeno una volta di tirarsi indietro. Si sentiva coinvolta nella causa come se fosse anche sua.

Dopo una vita passata al servizio della giustizia, non aveva fatto una piega nello scappare con un criminale ed organizzare una delle maggiori rapine al suo fianco. Questo perché aveva imparato nella sua vita che la soglia tra ciò che è giusto e ciò chd è sbagliato è sottile, relativa. Che per quanto le forze dell'ordine fossero al servizio della legge, sapeva che erano capaci di cose disumane. Cose che ne lei ne gli altri membri della banda avrebbero mai fatto.

Come sparare a Nairobi con un tiratore franco.

Come fingere la sua esecuzione mentre il Professore ascoltava, nascondendo a lui ed al resto del mondo la verità.

Erano dei criminali, era vero, ma con dei principi. Con una morale. Era questo il pensiero che le aveva permesso di andare avanti in quegli anni e di scendere a patti con la vita che si era scelta.

Ma ora, il pensiero di ciò che era successo solo un paio di notti prima la tormentava. Aveva sparato a Zulema a sangue freddo. L'arma era a salve, sì. Ma lei aveva premuto il grilletto. E questo esulava da qualsiasi principio, da qualsiasi dimensione etica o morale. E, soprattutto, non era da lei. Ma si era resa conto, nelle ultime settimane, che il carcere l'aveva cambiata.

Aveva vissuto una vita convinta che esistesse un confine tra bene e male. Questa linea si era assottigliata quando aveva deciso di entrare a far parte della banda. Ma ora, si rendeva conto che questa linea non esisteva.

Era solo una fottuta illusione.

A Cruz del Norte aveva combattuto contro i mostri comportandosi a sua volta come un mostro. E la domanda che ora le fotteva il cervello era: sono davvero diventata un mostro?

Quello che era successo al manicomio suggeriva di sí, ma si rifiutava di crederlo.

Anche se, era disposta a tutto per riprendersi Paula.

Anche a trasformarsi in un fottuto mostro.

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OMG no me lo puedo creer.

Addio.

Gina.

No me jodas (sequel di -A mi me van a recordar-)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora