"Dorsey, cosa stai facendo?"
La prof di storia richiamava Emily dai suoi pensieri.
Odiava la scuola, ma non lo diceva per seguire la massa.
La odiava davvero.
Nessuno lì riusciva a capirla.
I prof l'avevano ormai etichettata come "quella che non vuole studiare e non combinerà mai nulla nella sua vita" solo perché le piaceva ascoltare la musica durante gli intervalli anziché parlare di argomenti frivoli con quelle ragazze superficiali della sua classe.
La gente scappava dalla realtà come se non vedere una catastrofe non la facesse arrivare, fugge dai problemi rifugiandosi in cose come la superficialità.
E chi lo fa?
Chi ha paura della vita.
Chi è pigro e non ha voglia di fare, di scegliere, chi è ignavo e segue la corrente, la massa, per non dover mettersi in gioco ed esporsi per paura delle conseguenze.
O forse lo dicevano perché vestiva spesso di nero o grigio e preferiva sempre sedersi da sola.
Ma lei non era sola.
Mai.
Hen era sempre con lei, seduto sulla sedia vicino alla sua.
Sotto un certo punto di vista le piaceva la scuola, o meglio, la preferiva allo stare a casa.
"Niente prof, sto ascoltando la lezione"
La giovane donna alzò un sopracciglio.
"Saresti così gentile, quindi, da dirmi quali sono le ultime cose che ho detto?"
Emily era scocciata da tutto ciò.
Accadeva troppo spesso, e non sapeva come far capire ai prof che se disegnava su un diario riusciva anche a seguire la lezione.
"Sì prof" disse alzandosi in piedi
"Ha appena iniziato a parlare di Napoleone, ha detto che è nato nell'agosto del 1769, che era francese e che fondò il primo Impero francese "
Emily si sedette, alzando gli occhi al cielo.
"Bene, sei stata fortunata questa volta, stai attenta e segui quando spiego! "
Non aveva ancora mai conosciuto un prof che ammettesse di aver sbagliato, perciò si accontentava di risposte come questa.
D'altronde aveva capito che le conveniva ascoltare in classe.
Non poteva permettersi di avere da studiare il pomeriggio a casa.
Sapeva che non l'avrebbe fatto.
Spesso dopo scuola non tornava a casa.
Lei ed Hen avevano scoperto un posto, che era diventato "il loro posto".
Era una specie di villa enorme, ma completamente abbandonata.
C'era un ampio viale che Emily aveva adibito, con un semplice gesso bianco, al gioco della campana.
Utilizzavano la colonna a destra dell'entrata per giocare a un, due, tre, stella!
Mentre su quella a sinistra Emily misurava la tua altezza.
Sullo stipite della porta avevano scritto con una bomboletta rossa "IL GRAN CASALE DI HEN ED EMILY".
La ragazza la considerava la sua casa.
Quando non riusciva più a guardare la madre uccidersi lentamente, o quando iniziava ad urlarle contro, Emily scappava lì, e poteva essere sempre sicura di trovarci Hen.
Il 26 Settembre era il suo compleanno.
Compiva 17 anni, proprio come Emily qualche mese dopo.
Quell'anno la ragazza aveva impiegato un mese intero per realizzare il suo regalo, e finalmente quel giorno si videro al Casale.
Così la ragazza tirò fuori dalla sua borsa il maglioncino.
Davanti c'era ricamata la scritta "Henry"
e sul retro "J" proprio come la maglia di quel ragazzo che portava la cassa.
Risero.
Poi andarono a fare una passeggiata lì intorno alla villa, in cerca di qualche avventura.
Non trovarono un granché di divertimento, ma stettero bene.
Emily riuscì a dimenticare ciò che aveva dovuto ingoiare quella mattina.
Le parole della madre le erano risuonate in testa per troppe ore, a scuola, ma quando, arrivata lì, vide il suo amico, le spuntò il sorriso sul volto e tutti i pensieri negativi magicamente sparirono.
Sapeva che la madre non la voleva.
C'era un qualcosa che la spingeva a restare, qualcosa di simile al volersene prendere cura.
Quella donna non aveva mai fatto nulla per Emily, né per la piccola Emily, ma la ragazza era fatta così.
Senza sapere perché aiutava le persone, la faceva stare meglio.
"Non ti ho mai voluta, davvero.
Perché non te ne vai dalla mia vita e mi lasci in pace?
Per l'amor di dio."
Le aveva urlato quella mattina con una bottiglia di vino rosso in mano, prima di cadere a terra.
Ovviamente Emily non aveva mai pensato che la donna le volesse bene, o che lo avesse mai fatto, né lei gliene voleva.
Si occupava semplicemente di lei, come un volontario si occupa di un barbone o come una coppia aiuta un bambino in fin di vita adottandolo a distanza.
"Sai, mi manchi tanto.
Qui manchi un po' a tutti.
Non so che fare, a volte.
Quando mamma urla, quando vuole cacciarmi di casa e poi finisce per vomitare sul pavimento, in questi momenti vorrei tanto correre da te e rifugiarmi tra le tue braccia.
Schiacciare le mie guance contro il tuo petto.
Fare passeggiate insieme.
Vorrei solo poter parlare un po' con te.
Vorrei tornare a casa da scuola e raccontarti cosa ho fatto.
Poter passare con te i miei pomeriggi più vuoti"
Un mare di lacrime bagnava il viso della giovane Emily.
"Vorrei salire sulle tue gambe, mentre sei a tavola a parlare con qualche zio, come quando ero piccola, e fare il cavalluccio con il tuo ginocchio.
Mi manchi tutte le sere, ogni giorno sempre di più.
Mi manchi, e ne sono contenta.
Non voglio smettere mai di pensarti"
Emily sospirò
"Cazzo" sussurrò.
"Perché non sei qui papà!
Perché?
Vieni qui, ti prego.."
Urlò la ragazza, con tutte le forze che aveva in corpo per poi scoppiare a piangere disperatamente.
"Mi manchi tanto."
Sussurrò Emily mandandogli poi un bacio soffiando sulla sua mano, e mettendo il suo mazzo di fiori nel vaso al posto di quello vecchio.
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Se respirassimo l'elio
General FictionNon sempre una giornata solare e un dolce abbraccio significano felicità. Siamo abituati a riconoscere negli stereotipi il nostro più grande desiderio; ma se un giorno, per caso, vi dicessi che ho paura di essere libera? Magari non è sempre tutto co...