Capitolo 4

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Morbida la luce, quando timida entra dalla finestra, e senza problemi ti carezza il viso.

Triste la gente che dorme con le serrande chiuse, la luce dona il respiro.

Non a Emily, certo, ma questo agli altri non interessava.

Quante emozioni quella giornata, troppe parole per una sola pagina di quaderno, troppe idee per una mano che non riesce a stare al passo della mente.

Il dito scivolava dolce sulla sua pelle, che si colorava di migliaia di puntini, e le guance, più rosse, lasciavano spazio ad un sorriso malinconico, ma era ancora troppo presto per non definirlo innocente.

Era stupida, ma non lo pensava.

Non sapeva spiegarsi come i colori degli evidenziatori sapessero attirare l'attenzione del lettore più della stampa in grassetto dello stesso libro.

Aveva paura di una penna, aveva paura che lei riuscisse a spiegare tutto quello che provava, per questo non scriveva mai.

Le emozioni scritte su carta si sminuivano, almeno lei lo pensava, ma non sapeva che non sarebbe mai successo.

L'inchiostro scorreva come l'acqua che cade da un bicchiere su una tovaglia di plastica.

Amava il rumore del caffè quando usciva nella moka la mattina, tra i mille scoppiettii ritrovava i suoi pensieri, così tanti, brevi, sovrapposti, in competizione, opposti.

Una stretta alla gola la immobilizzò per qualche istante, che le sembrò un'eternità, forse la paura, si sentiva in gabbia, la matita con cui aveva disegnato la sua vita poteva essere cancellata dalla prima gomma che trovasse.

Diede la colpa al cappuccino, era troppo caldo per quelle mani infreddolite dalla neve sul tetto.

Sapeva che non ci sarebbe mai riuscita. Quando ci pensava voleva lasciar stare tutto.

Pensò a quello che gli aveva detto tempo fa, la sua voce saggia risuonava calma nella mente di Emily.

"Quando la vita sembra venirti contro, ti sta solo mettendo alla prova. Tu concentrati su te stessa, pensa a una cosa che ti piace fare e dimostrale di essere più forte di quanto pensasse.

Incontriamo solo problemi che possiamo gestire."

Sorrise.

Come un palloncino che si era sgonfiato, ma poi un bambino ci aveva disegnato un cuore sopra con un pennarello, ed improvvisamente era più bello di prima.

Le mancava veramente tanto.

La distanza le faceva schifo.

Quel solito vuoto che caratterizzava il suo stomaco adesso aveva un nome: Papà.

Ricordava perfettamente quella giornata, ma era come se ricordare le risultasse impossibile.

Catene indistruttibili tenevano il palloncino nero ancorato al fondale della disperazione in un mare di ricordi, taglienti quanto lame affilate di prima mattina.

La luce entrava ora troppo forte dalle finestre spoglie, imponente definiva la sua posizione all'interno di una società pronta ad escludere chiunque abbia un comportamento diverso dal comune.

Irruente, entrava nella stanza, appropriandosi del respiro della povera Emily.

Il fiato le si faceva corto e lo sguardo fisso al soffitto sembrava sempre più concentrato nel trovare un particolare in quella chiara distesa di beige composta da infiniti puntini gialli, come migliaia di palloncini che cercano il loro carcere ma sono bloccati da qualcosa di molto più piccolo di loro.

Un contatto umido e fastidioso sul suo collo delicato la riportò alla realtà, sperando che la caduta da quel palloncino giallo fosse stata più morbida di quella della farfalla rossa. Quell'amica di Emily, le si posava spesso sulla spalla quando giocava in giardino.

A volte la vita è crudele.

Spesso ingiusta.

Se respirassimo l'elio Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora