Il fiato iniziava a mancare.
Aveva imparato come fare, pensava al cielo.
Ma quel giorno anche le nuvole le sembravano mura.
Sperava che fissandole diventassero più grandi.
Nei giorni in cui non c'erano si sentiva persa, come una piscina senz'acqua, un palloncino senza una corda.
Poteva volare libera, e questo la soffocava dentro.
Aveva paura, dell'ignoto, della solitudine.
Che poteva sembrare strano, dato che era ciò in cui viveva ogni giorno.
Schiacciò play sul telefono, e il respiro tornò regolare.
Non sorrise, ma rilassò gli occhi, almeno per un secondo.
Chissà quanto ancora avrebbe potuto vivere così.
Era un contrasto, pace e panico, mischiati in un'armonia dolce e contrastante, ma non creavano niente di positivo.
Era arte, come i fulmini che illuminano la notte seguiti da boati che racchiudono gli sfoghi del cielo, ma i fulmini non portano gioie, non portano niente, se non distruzione.
Lei amava i tuoni, aveva paura, e le piaceva accendere le candele.
Aveva più paura del sole che picchia forte nelle giornate di agosto all'ora di pranzo, quella luce forte che da al mondo un'aria caotica e apocalittica.
Aveva paura, di non essere all'altezza dell'aria, che decide quando essere più rarefatta.
Lei non poteva decidere niente.
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Se respirassimo l'elio
General FictionNon sempre una giornata solare e un dolce abbraccio significano felicità. Siamo abituati a riconoscere negli stereotipi il nostro più grande desiderio; ma se un giorno, per caso, vi dicessi che ho paura di essere libera? Magari non è sempre tutto co...