Pov Diego
Stare in quell' ospedale, dopo un pò era
diventata una palla. Ma davvero. Nessuno
entrava e nessuno usciva dalla mia stanza.
Mamma era a lavoro e io con un ago nel
braccio. Non potevo fare un cazzo.
Avete presente quella puzza di tossico che
emanano i pennarelli indelebili?
O meglio, lo smalto?
Ecco, in confronto a quella perpetua puzza di
disinfettante, quello era meglio.
Dai, cazzo, tutto è meglio di questo schifo.
L'unica cosa bella, è che non devo stare in
camera con nessuno, mia madre ha pagato
qualcosa in più.
Ora però, qui, c'era il silenzio.
E il silenzio fa schifo.
Non potevo alzarmi né muovermi. Cioè, si,
potevo muovermi, ma non potevo farlo troppo,
che mi sarei sentito male.
Era, in pratica successo cosi, un giorno, cioè
una settimana fa, il diciotto aprile, un giovedi,
ero in palestra, e non avevo mangiato. In
realtà, in quel periodo, non lo facevo mai.
Non avevo bisogno, pensavo, mentre rifiutavo
categoricamente ogni pietanza mi venisse
offerta, tranne le sigarette al cioccolato. Non
che una cosetta di cinque centimetri, facesse
molto, anzi, avevo bisogno di vitamine, e puro
grasso, ricoperto di cioccolato, fondente, non
serviva ad un cazzo.
Preferivo morire.
Mi mancava troppo mia nonna, è morta di infarto pochi mesi fa.
Le era venuto mentre eravamo insieme,
dopo una gara a chi mangiava più biscotti al
cioccolato.
Era davvero una bella signora,i suoi lunghi
capelli corvini, i suoi occhi scuri. Amavo la sua ironia, le sue manie, troppo dolci e adorabili.
Comunque, tornando a cosa è successo:
Per farla breve ero in palestra, abbiamo
iniziato col riscaldamento, e quando il
professore di educazione fisica, mi ha chiesto
di fare un solo fottutissimo giro di campo. Il
mio corpo non ha retto lo sforzo, e niente,
mi sono dovuto fermare vicino uno dei
muri, per prendere fiato. Ma quando, cazzo, lo
stronzo, si è avvicinato a me, con una lentezza
esasperante, per controllare se stessi bene,
neanche il tempo di alzare lo sguardo che
sono svenuto.
Minchia, che merda!
E niente, ero solo, e non sapevo che cazzo fare,
fin quando, non entrò un'infermiera, aveva la
classica uniforme da dottoressina sexy, ed era
probabilmente la cosa più bella, qui dentro.
Mi guardò male e mi disse:
«Diego Lazzari, qualcuno ha portato
qualcosa per te.» disse spancando la porta,
mentre i miei occhi, quando vidi un
enorme, ma Dio, se era grosso, orsetto di
peluche entrare da sulla porta.
«Da parte di chi?» balbettai mentre, lo
poggiavano lontano dai macchinari.
«Non sta scritto.» Mi assicurò.
«Diego, dopo, cioè tra venti minuti, ti porto
del cibo, e possiamo parlare, Ok?» Affermò
Giorgia, l'infermiera mia preferita, entrando
dalla fredda porta di ferro bianca.
Tutto qui era bianco. E i doppisensi che ci
potevo fare sopra, erano l'unica cosa che mi
rendeva felice.
«Va benissimo.» dissi scocciato.
Per quanto, ora, volessi uscire, il pensiero di
dover mangiare, mi disgustava.
La tipa di fianco mi guardava compiaciuta.
Sapeva qualcosa in più di me.