Oramai Gian aveva preso la fissa di sedersi
su di me quando dovevo mangiare il cibo
schifosissimo dell'ospedale.
Aveva continuato, perché si era reso conto,
funzionasse: avevo preso due chili.
Lui invece, si faceva fare dei panini dalla
madre.
La donna, una volta in questo ultimo mese,
era venuta a conoscermi non appena il figlio l'aveva rassicurata, che io no, non ero un malato infettivo.
Era bella.
Aveva la pelle
olivastra e la bocca secca, mi ricordava la
tipica donna proveniente dal sud.
Era davvero un pò svitata, ma lei è una psicologa, e tutti gli psicologi sono così.
Quando venne, ricordo che mi guardò e
mi disse, che nonostante il mio peso, ero
un bellissimo ragazzo. Gian poi mi aveva
spiegato, che lo aveva detto perché le stavo
simpatico e che quello era solo un metodo per farmelo capire.
Nacque una sorta di imbarazzo generale
quando arrivò il pranzo e Gian salì su di me,
le spiegammo però che in realtà era solo un metodo per farmi mangiare, e lei, essendo la verità ci credette.
Al contrario della sua, la mia, veniva spesso, e parlava molto col piccolo.
Almeno con lei, Gian aveva evitato di
scoparmi quasi ad ogni pasto.
Il giorno prima era venuta, quindi ero certo
sarebbe venuta tra due giorni. E io tra tre,
avrei compiuto diciotto anni.
Sarò sincero: io e Gian ci comportavamo
come semplici amici.
Intendo:
- Niente coito.
- Niente (teoricamente Gian afferma che
si dica cosi. È una di quelle cose che dice
scollegate dal resto del discorso) fellatio.
Niente baci.
Niente carezze.
Niente di niente.
Nella mia testa bacata, si era addirittura
creata una mappa concettuale di sta cosa, e a me manco piace farle.
E, Dio, alle volte, lo vedevo, e pensavo a come sarebbe stato bello vedere il MIO Gian senza nulla addosso se non me.
Solo una volta sgarrammo, e fu il trenta
maggio, di venerdi, quando steso di fianco
a me, parlando d'amore, e delle nostre
fallimentari relazioni, non resistetti e lo
baciai.
Lui non si oppose anzi, approfondi il bacio
accarezzandomi la schiena, le mie mani,
finirono nella sua tuta Givova. Accarezzai
il membro caldo e turgido, lentamente. Il
mio obbiettivo non era farlo svuotare su di
me, ma solo assaggiare col mio corpo, il suo.
Difatti continuai col massaggio, sotto i suoi
gemiti, per qualche secondo, poi stancatosi, il
piccoletto ribaltò la situazione strofinando la
sua erezione contro la mia. Scese con la bocca
sempre più giù con piccoli bacietti umidi sul
mio petto, fino alla mia leggera peluria, alla
fine della mia v.
Gemetti.
Solo una volta, perché ci rendemmo conto di quello che avrebbe portato, e ci fermammo.