Valerio

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l giorno dopo come di piano, lo passai prima
da mia mamma, poi per Roma. Il tempo
rimasto, che non avevo saputo organizzare,
lo avevo usato, facendomi dare dei soldi per
andare a fare shopping. Per tutto il tempo in
cui avevo girato per Roma, insieme ad un mio
amico di nome Valerio, che avevo chiamato
apposta, avevo cercato Gian.
Ci fermammo in un bar, a prenderci qualcosa
come un gelato. Era quasi metà giugno, e
si sentiva già l'afa penetrare nelle ossa, e
consumare i caldi corpi, inermi, dinnanzi alla
possente tortura. Il mio, fragile e impotente,
era quello che soffriva di più, e, ovviamente,
non mi ero portato nulla da bere. Sorrisi
tristemente guardando il mio portafoglio
semi vuoto, pensando a quando, provavo
addirittura a conciliare lavoro e scuola. Un
tempo, lavoravo tipo come fruttivendolo,
cioè in pratica, camminavo con un cartello
in mano, dicendo a chiunque passasse che
avevamo le banane a mezzo chilo. No, non 'un
euro a mezzo chilo', ma:
-Hey, ciao, lo sai, vendiamo banane a mezzo
chilo?
Puntualmente mi guardavano male, ma era
fico e produttivo. Poi, no, porco il pupazzo,
che cazzo mi facevano dire. Quella frase non
aveva quasi senso.
Valerio mi scosse dai miei pensieri, scocciato.
«Sai che ti dico bro? Da domani, vengo a farti
visita in ospedale. » esordi leccando il gelato.
Oh, Vale, devi per forza? » non volevo
venisse, e vedesse in che condizione era la mia
massa corporea sotto quella felpa rossa.
«Oh, non mi vuoi?» si stava offendendo.
Già inizialmente voleva venire, ma avevo
supplicato mia madre di non dirgli il numero
della stanza.
«No, è solo che... Dai vieni quando vuoi.»
mi era scappato il numero di stanza in
un discorso sulla nostra amica tettona.
Velerio mi sorrise e mi abbracciò. Non fu
come abbracciare Gian, affatto, fu come
abbracciare un trans: ambiguo.
Vidi da lontano, per quanto potessi, un nanetto, mentre ero ancora abbracciato al
ragazzo, mi passò di fronte. Cercai di scutarlo,
e capire se fosse Gian, ma in quel momento,
speravo che non fosse lui. Ebbi la certezza
del contrario, quando si avvicinò e mi salutò
spingendo via Vale da me, sedendosi vicino a
lui.
«Ciao Diego.» Disse sorridente, ignorando
totalmente il ragazzo di fianco a lui.
«Oh bello, e levati!» Valerio spinse più in là il
piccolo sistemandosi. Per ripicca, Gian si
venne a sedere vicino a me. A Valerio, fregò
poco.
«Oh, Diè, cos'è ti sei trovato un nuovo
cagnolino?» rise, leccando di nuovo il suo
gelato. Gli sorrisi divertito dalla situazione.
«Oh, senti vai a fanculo. Dicevo Diego, tutto
bene?» Provò Gian facendo gli occhi dolci.
«Moccioso. Diego non mi voglio pronunciare
fallo andareggiare.» Mi parlò come fossi il
suo schiavetto e io risi, si stava arrabbiando
contro un ex peluche.
«Andareggiare? Fallito, ma sai parlare?»
Osò Gian inconsapevole della cattiveria da
zoccoletta che assumeva Valerio.
«Indietreggiare e andare. Indietreggiare verso
fanculo e poi andarci velocemente. Capito
bello? Vattene. » sputò acido.
«Se mi accompagni, prego.» si alzò
porgendogli il braccio. Valerio accettò e
camminarono insieme verso il tramonto come
dei cazzo di innamorati, lasciandomi li da solo.
«Oh, ma raga?! Cioè dai! Fate schifo!» gli urlai,
ma non mi sentirono. Scossi la testa, che
stronzi.

Teddy Bear ||gianego|| Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora