Abbassammo la voce e sbirciammo. Gian
si sporse, un pò troppo, rischiando quasi di
cadere.
Lo tirai per la maglia, e lo strinsi nelle mie
braccia, mugolò e io gli tappai la bocca, per
evitare che producesse altro rumore.
Stare in ospedale era una palla e io e Gian
spesso, visti i miei miglioramenti, seguivamo
dei dottori, tipo le spie.
Oggi, toccava al dottor Privitera, un pedologo,
boh. Non che io sappia cosa sia un pedologo.
Era un tipo inquietante, sembrava uno
psicopatico, e ora, l'idea di trovare cose strane
nel suo ufficio, mi spaventava.
Io e Gian non ci eravamo ancora staccati, nè
avevamo intenzione di farlo.
Eravamo seduti, uno in braccio all'altro, sul
freddo pavimento del corridoio del quinto
piano, mentre il dottore visitava uno dei
pazienti.
Cioè, in realtà, non capivo che cazzo stesse
facendo, perché Gian mi
teneva per terra.
Lo guardai, aveva gli occhi chiusi insipirando
forte sul mio petto.
Gli accarezzai la schiena, poi lo allontanai:
«Dai, Gian, allontaniamoci, sta venendo.» gli
sussurrai lentamente all'orecchio.
«Sussurrami un'altra cosa, e, credimi, vengo
pure io.» lo spinsi via sorridendo. Si alzò con
me, e ci nascondemmo entrambi dietro un
angolo più lontano, e lo vedemmo entrare in
uno dei corridoi che conducevano alle scale di
emergenza.
Chiariamo una cosa, quell'ospedale, era
l'apoteosi della inigienicità. Ovvero, se stavi
troppo tempo in quei corridoi contraevi
I'Ebola e la Peste.
Il dottor Privitera attraversò, guarda caso,
quello più buio dei corridoi. Lo seguimmo a
fatica, visto che non c'erano nascondigli.
Lo vedemmo uscire tranquillamente
e dirigersi verso la macchina, per poi
andarsene.
«Oddio, pensavo ci ammazzasse.» Sussurrai a
Gian.
Gian mi guardò e si morse il labbro. Cazzo.
«Mh, si.» sussurò. Lo vidi girarsi.
«Ehy, piccolo, tutto bene?»
«No, non va nulla bene.»
«Che c'e?» mi preoccupai.
«Cazzo, lo vedi questo?» indicò la patta dei
suoi pantaloni.
«Ecco, la mia testa, anche se io non voglio,
continua ad immaginare la tua mano, fare su
e giù qui sopra.» non sapevo che dire. Anche io
iniziai, però a sentirmi eccitato.
«Gian, io-» come un fuoco, l'eccitazione, mi
brucio il cervello.
«Beh, non deve essere per forza
un'immaginazione. »
Che cazzo sto dicendo?
«Diego,cosa stai dicendo?» sbarrò gli occhi,
ma vidi un leggero rigonfiamento nei suoi
pantaloni. Mi avvicinai a lui, mentre lo tenevo
fermo col polso.
«Oh,che vuoi fare?» non lo ascoltai e scesi
con la mano libera sui suoi pantaloni della
tuta.
«Diego, fermati..» provò, ma il suo corpo,
diceva altro. Mi chinai lentamente, lasciando
il suo polso, senza però interrompere il
contatto, tenendogli la mano.
«Diego, ti pentirai domani..» lo spinsi verso il
muro. Gemette e sentì, che no, non mi sarei
pentito. Baciai la patta dei suoi pantaloni.
«Porco il cazzo.»
Gli abbassai i pantaloni e i boxer.
«Diego, ferm-» riprovò, ma lo fermai
leccandogli la mano, mentre, sotto il mio
palmo, la sua erezione cresceva.
«Potevi evitare, ora ho la mano bavata.»
sussurrò con la voce roca.
«Fottiti.» gli dissi.
Baciai la punta, Gian, gemette, e io lo presi
come un incitamento a continuare, difatti
iniziai a baciare il suo membro lentamente.
«Oddio, Diè!» urlò quasi, quando lo presi
in bocca. Mi lasciai guidare dalle sue mani
appena sotto la mia cresta, che andavano
sempre più veloci.
«D-Diego sto per venire. » abbassò il tono.
Continuai con i miei movimenti, per qualche
altro secondo, poi mi staccai, allontanandomi.
Si riversò sul pavimento.
Mi guardò negli occhi, e non potei non
sorridere, vedendolo ancora ansimare.
Senti un rumore di passi, e pure Gian, che
si rivestii fretta e tornò al mio fianco. Lo
guardai, e mentre camminavamo, gli presi la
mano.
Non sò cosa avesse provato, so solo, che non
smise più di sorridere.