Mi trovo da sola, qui nella mia stanza, sulla sedia girevole mentre cerco di ripetere la lezione di filosofia; è una materia nuova che ho cominciato a studiare da poco, all'inizio del terzo anno di liceo; mi piace molto.
Sento freddo, la finestra è aperta.
Mi alzo distrattamente per andare a chiuderla; mi avvicino al vetro e scorgo un uomo che cammina sul ciglio della strada, accanto al marciapiede.
Mi succede subito ciò che, fin da quando sono bambina, mi accade ogni volta che guardo una persona: prima ancora di osservare il suo volto, vedo una luce; questa può essere verde, oppure gialla. Da sempre mi viene spontaneo avvicinarmi alle persone verdi, e tendo a stare molto più sulle mie con quelle gialle.
L'uomo avrà cinquanta anni ed é verde.
Ha degli occhiali grossi e tondi, cammina con un'andatura lenta; nella mano destra stringe in un pugno il suo bastone che, ad ogni passo, colpisce ritmicamente l'asfalto.
Indossa una giacca beige che tiene slacciata, con dei risvolti sulle maniche; i suoi pantaloni sono lunghi, troppo forse: mentre cammina sembra sfiorino per terra.
Guarda dritto davanti a sé, mentre avanza; pare che niente e nessuno sia in grado di fermarlo.
Rimango ferma per qualche istante, poi lo guardo. Lo guardo e lo vedo.
Ogni volta che una persona attira la mia attenzione, non importa se poco appariscente, silenziosa o totalmente sconosciuta, io vedo la sua storia, vedo ciò che è nascosto.
Quest'uomo passa di qui tutti i giorni ed è per questo che mi sono accorta di lui: e così ora, io so che passa di qui per andare di fronte alla casa dove da qualche anno sua moglie vive con un altro uomo.
Oggi non mi stupisce più vedere ciò che tutti potrebbero scorgere, ma che a volte sembrano non osservare: è diventata normalità, per me. È incredibile come ogni singolo individuo porti con sé la propria storia, diversa per tutti, rara e speciale per questo; e delle volte, per quanto ci sia ormai abituata, mi sorprendo a vederla, questa storia, mi lascio trasportare e totalmente assorbire. Ma io, fin da bambina, sono così.
Sin da quando conservo memoria, ho sempre osservato cose che gli altri non guardano.
Mi ricordo.
Cammino, seguendo lenta mia mamma, tra i reparti del supermercato. Vedo una cassiera in ginocchio a terra, che sistema grandi confezioni di biscotti.
La guardo: la sua luce è verde.
I suoi movimenti sono veloci e frenetici, tanto che faccio fatica a starle dietro anche solo con lo sguardo; ogni tanto, nella fretta si sistema con l'indice della mano i grandi occhiali viola, che le calano.
Indossa un camice rosso e largo, forse troppo per lei, sbottonato verso la fine e ...
– Sara –; sento la voce di mamma che mi chiama e ricomincio a camminare, avvicinandomi a lei.
– Smettila di fissare le persone –, dice sussurrando. Sembra infastidita. – Non si fa –, aggiunge.
– Perché? –, replico.
– Perché è maleducazione, Sara –.
Sto per chiederle nuovamente il motivo, ma il tono leggermente scocciato delle sue parole mi blocca; la guardo, senza dire più nulla per un po'.
E mi ricordo anche...
Sono al parco di fronte casa mia.
Mia nonna mi segue con lo sguardo rimanendo seduta sulla panchina a braccia conserte; io invece passeggio avanti e indietro, dallo scivolo al muretto, sezionando il prato con un piccolo bastone che tengo in mano.
Qualcuno attira la mia attenzione.
Vedo un ragazzo ed una ragazza che parlano tra loro. Si guardano negli occhi, sembra si bacino con lo sguardo; mi fermo, rimango a guardarli attentamente.
Lui l'abbraccia; lei di tanto in tanto accenna a un sorriso dolce.
I raggi del sole le fanno brillare i capelli biondi, che il suo ragazzo accarezza con cura.
Gli occhi di lui risplendono, pare sorridano.
Non staccano mai lo sguardo l'uno dall'altra.
Sono gialli.
–Vieni Sara, andiamo –. La voce rauca di mia nonna distoglie la mia attenzione da loro; dal suo tono sento trasparire un entusiasmo fintamente allegro, per celare l'imbarazzo.
Vado verso di lei e quando mi avvicino: – Tesoro, cerca di non fissare le persone –, mi rimprovera.
– Perché nonna? –, domando.
– Perché è brutto – .
– Vorrei tanto sapere perché tutti dite che è brutto –, penso tra me e me.
E poi ricordo ancora.
Entro, mano nella mano, con nonno nel bar.
Mi piace stare con il nonno, lui non mi sgrida mai dicendo di non guardare troppo le persone o le cose.
Dopo aver comprato il giornale, ogni mattina ci fermiamo a fare colazione. Come sempre, nel piccolo spiazzale al lato del bar, c'è seduto a terra, a gambe incrociate un signore molto anziano.
Lui è verde.
Indossa un cappello grigio di lana, e un grande giaccone arancione un po' sbiadito. Ha la barba corta e la carnagione scura. Dal viso si vede che è molto magro.
Accanto a lui si trova, come al solito, un cestino con qualche moneta dentro.
Chiedo a mio nonno cosa ci faccia lì; mi dice che lui si trova in città da tanti anni, non ha una casa, ma è rimasto solo e ha scelto di vivere libero in strada.
Lo guardo sempre e mi chiedo cosa faccia durante la giornata .
Ho sempre avuto questo tipo di difficoltà: la gente pensa che il mio guardare sia una curiosità impropria e fuori luogo.
Molti mi credono pazza oggi, per tutto quello che è successo; pensano che quello che vedo, sia qualcosa di totalmente assurdo ed anormale.
Ma in fondo, io, cosa faccio di male?
E voi, invece, non vedete? Perché?
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Con i miei occhi
General FictionSara ha quasi diciassette anni, è una ragazza tanto calma quanto determinata, appassionata dalla lettura. Vive di sogni, di emozioni, di fantasie; insomma, Sara vive di dettagli, di ciò che non si vede, o meglio, di ciò che molti, per pigrizia non v...