Solo dopo due mesi tornai ad una situazione quasi normale.
Avevo ripreso a frequentare le lezioni e di tanto in tanto, nei pomeriggi di pioggia, mi recavo in biblioteca. Mi sedevo sulla grande poltrona arancione di pelle, di fronte alla finestra, e leggevo.
Un pomeriggio mi trovavo lì, avevo terminato un romanzo, perciò volevo sceglierne un altro.
Camminavo lentamente lungo i piccoli corridoi della biblioteca, scorrendo velocemente i titoli con gli occhi.
In fondo si trovava una mensola stretta e bassa, un po' impolverata, sulla quale c'erano diversi libri.
Non sono pazzo; lessi nella mente il titolo di un racconto che mi aveva colpito per lo strano corsivo con cui era scritto il titolo, sulla copertina rivestita di stoffa marrone scuro, su uno sfondo invece più chiaro.
Lo presi tra le mani; la copertina, logorata dal tempo, era beige. Sfogliai le sue pagine ingiallite e solo dopo mi accorsi che era una specie di diario, in cui l'autore raccontava la sua vita; profumava di anni e anni, abbandonato sopra quello scaffale; profumava di storia, più correttamente. E poi, il titolo mi incuriosiva.
Decisi di prenderlo, e tornai alla mia amata poltrona.
Lo aprii e iniziai a leggere.
Pagina dopo pagina, rimanevo colpita da quel libro in cui il protagonista raccontava la sua storia; aveva scelto di farlo perché solo attraverso la scrittura poteva convincersi di non essere matto.
L'uomo si chiamava Marco Montanari.
Era rimasto vedovo; questa perdita lo aveva fatto cadere in una profonda depressione, tanto che venne rinchiuso in una clinica, con la speranza che il ricovero gli sarebbe stato d'aiuto.
Sfogliai qualche pagina, poi continuai a leggere.
«Mi accadevano cose strane in quel periodo: ero sempre molto confuso su ciò che succedeva intorno a me. Mi sembrava di vivere le stesse situazioni, seppur banali, varie volte: dimenticavo facilmente le cose, provavo strane sensazioni e non riuscivo più a dormire bene: il mio sonno veniva continuamente disturbato da incubi insensati –, leggevo; – Non appena provavo a parlarne con qualcuno, le persone si limitavano a dire che "avevo bisogno d'aiuto"; così, stanco, decisi di parlare con degli specialisti».
Quel libro, trovato per caso, si stava rivelando interessante.
«Dopo il periodo trascorso in una clinica, durante il quale venni accuratamente seguito, iniziai a prendere diversi farmaci che mi erano stati prescritti. Per un po' di tempo, infatti la mia condizione di salute migliorò».
Non riuscivo più a smettere, cominciai quindi un nuovo capitolo.
«Devo assolutamente scrivere ciò che mi è accaduto, per fissarlo nella mia memoria; non posso correre il rischio di dimenticare –, scriveva Marco qualche pagina più avanti. – Devo scrivere cosa mi è successo in questi ultimi due giorni. La notte scorsa, nonostante avessi preso dei sonniferi, sono stato svegliato da un sogno particolare e abbastanza inquietante: la macchina di mia moglie, che ora utilizzo io, e che è l'ultima cosa che mi rimane di lei, è stata scassinata e poi rubata. Il ladro, nel sogno, ha aperto la macchina ed è riuscito a metterla in moto, poi è scappato di gran carriera; per la velocità, ha preso male una curva e si è schiantato contro un lampione».
La biblioteca stava per chiudere, ma io volevo assolutamente continuare.
«La mattina seguente mi sono svegliato e, scosso dall'incubo che avevo fatto, sono uscito sul portico: la macchina era sparita.
Ho iniziato ad agitarmi.
Sono tornato in camera mia, mi sono vestito di corsa; poi sono uscito di casa. Mi sono incamminato velocemente verso il bar, dove si incontravano ogni mattina i miei amici. Avrei chiesto loro se ne sapevano qualcosa; ho temuto fosse uno scherzo.
Quando sono arrivato non ho trovato ancora nessuno, era davvero presto; perciò, nell'attesa, ho sfogliato il giornale di quella mattina.
L'occhio mi è caduto su un articolo di cronaca cittadina, nelle pagine interne : "Incidente nella notte: giovane ubriaco, alla guida di una 500 decappottabile blu senza targa, ricoverato in fin di vita". Mi si è gelato il sangue.
Quella raffigurata nella foto accanto all'articolo era proprio la macchina di mia moglie. Ho realizzato che non era solo un brutto sogno».
Leggendo le pagine di Montanari, rimasi di ghiaccio.
Chiesi alla bibliotecaria in prestito quel testo e, una volta tornata a casa, lessi e rilessi quell'episodio.
Ero sbalordita: la situazione che riportava il libro era per me di una familiarità sconcertante: nelle pagine di quel libro era raccontato esattamente quello che stava succedendo a me.
Pensavo agli ultimi mesi, a ciò che di strano mi era successo.
– I flash dell'interrogazione di Elisa che ho percepito quella mattina, che poi sono accaduti perfettamente così come li avevo visti; – continuai. – La visione dell'incidente in stazione...forse non erano sogni –. Mi sentivo per la prima volta compresa, mi sentivo meno sola, ora.
Forse non erano sogni; forse si trattava di visioni reali. Forse, forse, in qualche modo, quella che vedevo era la realtà.
– Non sono pazza –, ripetevo a me stessa .
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Con i miei occhi
Ficção GeralSara ha quasi diciassette anni, è una ragazza tanto calma quanto determinata, appassionata dalla lettura. Vive di sogni, di emozioni, di fantasie; insomma, Sara vive di dettagli, di ciò che non si vede, o meglio, di ciò che molti, per pigrizia non v...