Capitolo 14

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Entrai in casa; credevo non ci fosse nessuno e che i miei fossero a lavoro, come ogni giorno. Stavo per andare nella mia stanza, quando: – Sara, perché non sei a scuola? –; la voce seria di mia madre mi fece sobbalzare per lo spavento.
– E tu, perché non sei a lavoro –, pensai veloce.
Rimasi in silenzio.
– Ho detto: perché non sei a scuola?–, ripeté lei alzando il tono della voce e scandendo ogni sillaba.
Mi stavo già innervosendo; e mi stavo innervosendo perché affrontare, con lei, anche la più semplice delle conversazioni era davvero un' impresa: sapevo come sarebbe andata a finire.
Mia madre era gialla.
Aveva un carattere strano; non era affatto comprensiva.
– Adesso tu vieni immediatamente qui perché dobbiamo parlare –, disse veloce, con voce severa e sempre più alta. Detestavo il suo "dobbiamo parlare".
Alzai gli occhi al cielo e sospirai rumorosamente.
– Ora ti ci metti pure tu –, pensai straziata.
La raggiunsi in cucina e mi misi a sedere di fronte a lei, a capo tavola.
– Sara non va bene, non va affatto bene il tuo comportamento –, iniziò a parlare. – Non va bene perché tu non ti comporti come una persona normale. Non sono contenta del tuo rendimento scolastico, ma non è solo questo. Tu sei continuamente distratta, vivi in un mondo tutto tuo e... – . Man mano che parlava la sua luce gialla veniva lentamente contornata da un rosso fuoco molto acceso: si stava arrabbiando sul serio, ora.
– ...e poi sei sempre nervosa; e poi... –. La lasciai parlare a lungo e, mentre elencava tutte le cose che non le piacevano affatto del mio comportamento durante l'ultimo periodo, la mia mente vagava: ripensavo a quella mattinata, al vecchio dell'edicola, al discorso che avevo tirato fuori inconsapevolmente e di conseguenza alla vergogna provata; e poi pensavo ad Anna.
– È tutto così strano –, ripetevo dentro di me.
– Non mi stai proprio ascoltando, vedi?! –. Aveva ragione; e continuai a ignorarla, e a pensare a quella mattina.
– Sara, ci sei? –, urlò, battendo contemporaneamente la mano sul tavolo.
– Si, ti sto ascoltando –, risposi stizzita, ritraendomi di scatto, rimanendo con lo sguardo perso nel vuoto.
– Sono stanca di te e del tuo atteggiamento, che non è normale –.
“A chi lo dici”, ripetei dentro di me e continuai a non rispondere, ma a lei non dissi niente.
– Sara ti sto parlando. Sei impazzita? –, continuò. Iniziò a picchiettarmi la spalla con l'indice, scuotendomi leggermente.
Odio le urla.
Odio essere toccata.
Mi sentivo in difficoltà ed io odio sentirmi in difficoltà.
Iniziai a sentire caldo. Cercai di mascherare il nervosismo, nascosi il piede sotto al tavolo che battevo ritmicamente sul pavimento, causando così il tintinnio continuo delle cinghie dei miei anfibi neri.
Mi limitai ad osservarla lentamente, dalla testa ai piedi.
– Io sto bene –, risposi meccanicamente.
– Tu stai cosa!? È solo questo che sai dire !? –. Era furibonda; si percepiva come il volume delle sue urla cercasse disperatamente di opporsi alla complessità di una realtà che, per la rigidità del suo punto di vista, appariva incerta e franosa. Sentivo il suo sguardo pesante addosso.
– Sara, ascoltami –, esclamò di nuovo, senza urlare stavolta, ma con tono piuttosto nervoso. – Io sono tua madre e sto cercando di prendermi cura di te, non devi chiuderti in te stessa, puoi aprirti con me...–, continuò.
Stavo per gridare, ma cercai di resistere.
Le fitte allo stomaco ricominciarono all'improvviso; un nodo alla gola, mi permetteva a malapena di respirare.
– Resisti –, ripetevo a me stessa.
Fece una pausa di qualche attimo, poi si schiarì la voce. Con tono fermo e autoritario riprese: – Comunque, io e tuo padre abbiamo deciso di mandarti da uno psicologo, che ti aiuterà a risolvere i tuoi problemi e che ti... –.
La interruppi: – Io non ho nessun tipo di problema –, dissi con voce sofferente, a denti stretti, per i dolori alla pancia.
– Non interrompermi quando parlo, – continuò mia madre con un tono trattenuto e condiscendente, quello che si usa con i matti. – Lo psicologo, ti dicevo, ti tranquillizzerà e ti aiuterà a far chiarezza in te stessa. Ci andrai, che tu sia d'accordo o meno – , concluse.
La sua voce calma era disarmante tanto quanto finta e fastidiosa.
Mi alzai cauta, la guardai, alzai le spalle e: – va bene, ci vado –, risposi. – Vedremo poi chi saranno i pazzi qui –.
Notai subito la sua faccia stupita, non si aspettava una simile risposta. In altri casi mi sarei opposta in ogni modo ad una richiesta del genere e avrei reagito male, ma quella volta no.
La tensione accumulata era davvero troppa; quasi mi sentivo esplodere.
“Io non sono pazza”, lo sapevo, me lo ripetevo sempre da quando avevo letto quel diario; era questa l'unica certezza che avevo.
E se fosse servito un confronto con uno psicologo per smentire le loro convinzioni, ci sarei andata.

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