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Il nostro primo incontro avvenne a circa un mese dal mio arrivo, una mattina tiepida e soleggiata di aprile, mentre tornavo nella mia stanza dopo essere stato in infermeria: come al solito non pensavo al mondo intorno a me, ed ero scivolato per le scale. Il piano terra era così organizzato: al centro campeggiava la reception, affiancata da due corridoi. Il corridoio di sinistra conduceva alla sala mensa, mentre su quello di destra si aprivano quattro porte: in fondo a destra c'era l'infermeria, segnalata da un cartello luminosa verde e bianco, e di fronte ad essa si apriva un corridoio che portava ad un ripostiglio; dopodiché c'era la lavanderia e infine una porta chiusa a chiave nella quale si trovano armadietti e attaccapanni per il personale. Infine, proprio a fianco della reception, si trovava la tromba delle scale che portavano ai piani superiori, dove erano state allestite le camere dei pazienti.

Quel giorno stavo camminando tranquillamente, quando improvvisamente mi sentii afferrare un braccio e trascinare al di là di quella porta solitamente chiusa che era l'ultima del corridoio prima dell'ingresso. L'interno della stanza era scarsamente illuminato e dunque passò del tempo prima che i miei occhi riuscissero ad abituarsi a quella nuova condizione ed osservare l'ambiente che mi circondava. Da una parte della stanza si trovavano degli armadietti in metallo rossi, mentre dall'altra si stendeva una lunga fila di attaccapanni. Chi mi stupì di più fu però la figura slanciata e atletica che mi si parava davanti, intenta a guardare il corridoio dal quale mi aveva appena rapito attraverso il buco della serratura. Come attirato dal mio sguardo insistente, il ragazzo si voltò verso di me. Era poco più alto di me e leggermente più magro. Aveva capelli scuri e occhi castani e sorrideva allegramente. La cosa che mi colpì fu ciò che indossava: un lungo camice bianco che ero solito a vedere indosso alle infermiere di quel posto. Chi era quel ragazzo?

Come leggendomi nel pensiero, parlò.

"Ehilà. Non mi sono ancora presentato, vero? Sono Tooru Oikawa, altrimenti conosciuto come il Grande Re di questa gabbia di matti. Scusa i modi bruschi, ma se ti ho trascinato qui dentro è stato per evitarti uno spiacevole incontro con Gladis, la custode del ripostiglio"

"Molto piacere" dissi con un tono sarcastico.

"Beh, io ti ho detto il mio nome, potresti avere l'accortezza di fare lo stesso!"

"Sono Hajime Iwaizumi, sobrio paziente di questa gabbia di matti"

Oikawa scoppiò a ridere.

"Un'ottima presentazione, il piacere è tutto mio. Ma immagino che ora vorrai sapere per quale motivo ti ho trascinato qui dentro, ho ragione?"

"Sì, potrebbe essere una buona idea spiegarmelo"

"Bene vediamo, oggi stavo pranzando nella sala mensa, quando ad un tratto guardando alcune ragazze del personale ho iniziato a pensare che il loro camice era davvero forte e che ne avrei voluto tanto uno per me..."

"Così mi sono alzato e mi sono intrufolato silenziosamente nel ripostiglio, dove sapevo avrei potuto trovare quello che cercavo. Ho indossato questo stupendo camice e stavo proprio per tornarmene in camera quando ho visto in lontananza il bagliore di uno specchio e non ho resistito: sono andato ad osservarmi, perché la vanità è sempre stata il mio punto debole! Stavo giusto appurando quanto questo indumento mi cadesse proprio bene quando mi sono accorto di Gladis, per l'appunto. A quel punto sono uscito di corsa e sono entrato qui: fortunatamente la cara custode non è molto in forma da una ventina d'anni a questa parte, e così sono riuscito a nascondermi prima che mi vedesse. A quel punto ho iniziato a controllare attraverso la serratura che la vecchia Gladis non andasse a chiamare i rinforzi, quando ti ho visto passare e ho pensato che se qualcuno ti avesse visto avrebbe potuto pensare che centravi qualcosa con il mio piccolo gioco e così..."

"...così hai pensato di trascinarmi qui dentro, per evitare che potessi essere sospettato. Meno male! Nel caso ci trovassero qui almeno avrei questa bella storia da raccontare!"

"Sì ora che ci rifletto forse non è stata una gran mossa"

"Bene, Grande Re..."

"Chiamami Oikawa, ti prego. Odio quel soprannome...mi ricorda tanto un mio allievo..."

"Sei stato tu a dirmelo"

"A volte parlo senza pensare"

"Sì, questo era chiaro. Comunque...Oikawa, è stato un piacere, ma temo proprio di dovermene andare"

"Capisco. Penso proprio che dovrei tornarmene in camera anche io"

"A proposito, visto che come hai detto questa porta è sempre chiusa, posso chiederti come avresti fatto ad aprirla?"

"Avevo una forcina con me. L'ho rubata il primo giorno che ho messo piede in questo posto, e da allora me la porto dietro, perché non sai mai quando quegli affari possono tornarti utili, non è vero?"

"Immagino di sì"

Dopo questa bizzarra conversazione aprii la porta, controllai che il corridoio fosse deserto, e ripresi la mia strada, seguito a poca distanza da Oikawa. Imboccai le scale e mi fermai sulla soglia della mia camera. Poi mi voltai di scatto, giusto in tempo per vedere la mia nuova conoscenza che si accingeva a salire la seconda rampa di scale. Anche lui si voltò e con un grande sorriso mi salutò.

"Ci vediamo!"

Io annuii e rientrai in camera, un po' stordito da quell'incontro. Mi stesi sul letto e guardando il soffitto mi affiorò alla mente un dettaglio: Oikawa indossava ancora quel camice. Mi scappò una risata, che si spense subito come un fiammifero acceso di fretta.

portami a casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora