13

127 10 0
                                    

Mentre camminavo lungo il corridoio del secondo piano, ogni passo che mi avvicinava a lui mi provocava una fitta al petto. Era ancora dolore o bisogno di vederlo? Stavo facendo la scelta giusta?

Mi fermai di fronte alla sua porta, come avevo sempre fatto. Questa volta però, decisi di aprirla. Non era chiusa a chiave. Non lo era mai stata.


Lui era sempre lì, seduto sul letto, la schiena contro il muro.

"Ciao Oikawa" dissi, guardandolo negli occhi.

"Non pensavo che saresti mai tornato"

Sospirai debolmente.

"Sono qui per farti una domanda"

Lui annuii, abbassando lo sguardo.

"Siediti"

Feci come aveva detto e per un po' rimanemmo in silenzio, soltanto io e lui, in quella stanza dalle pareti azzurre.

"Oikawa...come si fa a cancellare il dolore?" parlai infine.

Mi voltai verso di lui, e lo vidi fare un respiro profondo.

"Non si può. Il dolore non è qualcosa che si cancella; non è possibile affogarlo..." sorrise malinconicamente a quelle parole. "...io lo so bene. Però..."

Si fermò, assorto nei suoi pensieri.

"Però...è possibile ricoprirlo. Costruire sopra quelle rovine, quei terreni aridi. Qualche volta...può esserci qualcosa...o qualcuno...che ti aiuta a ricominciare. Il dolore è sempre lì, non se ne andrà mai, ma...ci saranno momenti, se sei fortunato...nei quali riuscirai a dimenticarlo"

Rimasi in silenzio, a riflettere su quelle parole. Costruire...qualcosa.

"Oikawa" dissi infine.

"Io ho guidato la macchina senza freni del dolore fino a raggiungere il mio limite.

Non voglio più farlo. Ho bisogno di qualcuno che mi blocchi, oppure che mi ripari i freni, oppure che mi impedisca di salire in macchina, oppure che riempa il burrone con della terra..."

"Oikawa... pensi che riusciresti...a costruire qualcosa...sopra il dolore che sento?"

Quando rialzai lo sguardo verso di lui, dopo aver pronunciato quelle parole, vidi l'unica cosa che non mi sarei mai aspettato di vedere.

I suoi occhi color nocciola, quegli occhi che fin da subito mi avevo colpito e poi, lentamente, affondato, erano colmi di lacrime. Oikawa stava piangendo.

"Iwaizumi..." disse con voce tremante.

"...Iwa-chan" si corresse poi. Mi prese la mano; questa volta non la ritirai.

"Io camminerò nel deserto del tuo dolore, con una carriola ed una vanga. Toglierò da lì tutta la sabbia, dovessi metterci tutta la vita, e lascerò che vi crescano soltanto palme. Prenderò la tua macchina e la getterò in quel burrone, poi lo ricoprirò con quella sabbia che ho raccolto. Tu non salirai più su quella macchina. Non lo farai perché non sei la stessa persona che è entrata qui tre mesi fa. Il ragazzo che è entrato da quella porta tre mesi fa non mi avrebbe baciato quella notte sul tetto. Non mi avrebbe preso la mano quella mattina in mensa. Non mi sarebbe...stato accanto quando non ero in me. Iwa-chan...io non permetterò che tu soffra ancora. E non lo farò perché..."

Deglutì, tenendo gli occhi fissi su di me.

A mano a mano che il peso che avevo sullo stomaco si sollevava, nella mia gola si formava un nodo che mi impediva quasi di respirare.

"...sono innamorato di te, Hajime"

Lo disse con tutta la naturalezza del mondo, nonostante i suoi occhi lasciassero trasparire quanto fosse agitato. Quelle parole sciolsero il nodo che mi si era formato in gola, il quale si disperse sul mio viso sotto forma di lacrime silenziose. Da quanto tempo avevo bisogno, senza saperlo, di sentire quelle parole? L'amore era qualcosa che avevo ormai dimenticato, perché da troppo tempo ormai non scorgevo più quel sentimento nemmeno negli occhi dei miei genitori.

E poi lo dissi, pronunciai quelle parole che significavano tutto e che sapevo essere vere dalla prima all'ultima sillaba.

"Ti amo anche io, Tooru"

Quel nome...il suo nome. Non lo avevo mai pronunciato prima di allora, e decisi che l'avrei fatto soltanto in situazioni speciali. Situazioni come quella. Quelle cinque lettere, il loro suono, il loro sapore sulle mie labbra.

Tooru.

Oikawa si sollevò dalla sua posizione ed allungò le mani fino a toccare i miei polsi, poi lentamente se li avvicinò al viso e toccò con le labbra le mie cicatrici. Il suo gesto mi provocò un brivido, ma con un'occhiata feci capire ad Oikawa che non mi aveva affatto infastidito. Dopodiché Oikawa fece risalire le mani lungo le mie braccia, fino a raggiungere i miei capelli. Mentre lui mi avvicinava a sé, io mi avvicinavo a lui. Eravamo due magneti che si attiravano reciprocamente. E quando finalmente le nostre labbra giunsero a sfiorarsi, quel peso, che ancora esercitava una leggera pressione sul mio petto, quel peso si sollevò del tutto. Mi gettai tra le sue braccia, che avevo bramato, senza mai ammetterlo davvero, per tutta quella settimana. Lui mi strinse forte, come aveva fatto quella volta che gli avevo urlato di andarsene ma lui era rimasto immobile. Rimanemmo abbracciati per ore e ore, senza fiatare. Prima di chiudere gli occhi, e di lasciarmi cullare da quella sensazione che si chiamava felicità, ringraziai mentalmente Oikawa per avermi ricordato cosa fosse l'amore.

portami a casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora