12

141 6 0
                                    

Mi svegliai che era già mattina inoltrata, lo capii dalla quantità di luce che invadeva la mia stanza. La sera prima, dopo avermi sollevato, Oikawa doveva avermi portato fino a là, uno sforzo stupefacente considerate le sue condizioni fisiche. Cercai di non pensarci. Cercai di non pensare a nulla che riguardasse la sera precedente.

Eppure non riuscivo a farne a meno. Non uscii della mia camera per una settimana. Rimasi steso sul letto per otto giorni e sette notti, gli occhi a volte aperti, ma più spesso chiusi. Ogni volta che li chiudevo lo vedevo lì di fronte a me. Vedevo Oikawa, addormentato, mentre la mia mano gli scostava i capelli dalla fronte. Sentivo le sue braccia che mi stringevano, sentivo il senso di pace legato a quel momento.

Ancora una volta, dopo la notte sul tetto, Oikawa era riuscito a spezzarmi in due. Questa volta però, dovevo scegliere attentamente quale parte di me ascoltare.

La prima immagine, quella del volto di Oikawa, mi provocava una sensazione che conoscevo bene: era dolore. Mi schiacciava, mi faceva mancare il respiro. Era insopportabile, soffocante. Mi impediva di pensare, mi impediva di muovermi.

Già molto tempo prima avevo capito che il dolore non mi piaceva. Volevo soltanto togliermelo di dosso, come una sciarpa quando d'inverno si rientra in casa dopo essere stati fuori all'aperto. Sembrava però che quella sciarpa mi si fosse annodata intorno al collo, e che continuasse a stringersi, stringersi, stringersi. Non riuscivo più a sopportarlo.

Poi però sopraggiungeva la seconda immagine, che più che un'immagine era una sensazione. Riuscivo a percepirla come se fosse stata reale: le braccia di Oikawa intorno a me, il suo collo, tiepido, contro il mio viso, il profumo del suo corpo, che odorava d'estate, di sale marino, di limonata fresca...quell'odore sferzante di agrumi che avevo detestato a lungo ma che ora mi faceva sentire così a mio agio...Quel momento mi aveva bloccato, mi aveva tolto il respiro; in quell'istante, tra le sue braccia, il mio dolore, anche se solo per un attimo, era svanito.

Le mie notti erano insonni. Da una parte sentivo di volermi solo allontanare: allontanarmi da lui, allontanarmi dal centro, allontanarmi dal vecchio me stesso, allontanarmi dal dolore. Dall'altra però, continuavo a sentire quell'attrazione...quella forza invisibile che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni secondo, cercava di spingermi verso di lui. Quella forza alla quale non riuscivo ancora a capire se sarei riuscito mai ad oppormi.

Silenzio. Il silenzio è l'eco delle parole non dette, ed io ero muto, immobile, paralizzato. Silenzio che si interrompeva solo per pochi minuti, rotto dalle infermiere che mi portavano in camera i pasti che a malapena toccavo, perché avevano ormai rinunciato a cercare di convincermi a scendere in sala mensa. Poi, di nuovo, silenzio.

Silenzio, silenzio, silenzio.

portami a casaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora