61- Domande scomode, risposte sincere

80 9 16
                                    

P.O.V.
Caitlin

L'aria calda del phon, appeso alla parete al di sopra di alcuni specchi, passa tra i miei capelli, tornati ricci a causa del cloro, come dita di mani sottili e gentili.
Vorrei perdermi dentro la loro carezza e smarrirmi per sempre, stando con le spalle al muro e con lo sguardo perso mentre avverto i muscoli bruciare, a causa dello sforzo, e la forza abbandonarmi.

Una simile privazione di autonomina è sempre stata un campanello di allarme per me, a causa della mia malattia, ma adesso è una manna dal cielo che mi aiuterà a dormire con più serenità questa notte, intrappolata nelle lenzuola del nostro letto.

Dovrei mostrarmi più forte, lo so. Non sarei dovuta scappare lontano da lui, decidendo invece di affrontarlo, ancora una volta, di petto.
Sfortuna vuole che la giustizia non coincida sempre con il volere, o con la grinta, impossibile da indossare tutti i giorni.
Sono stanca di sentirmi così e allo stesso tempo non posso impormi, non avendo i mezzi per scappare da una simile condizione.

Spero che la nostra non diventi una guerra di logoramento, vinta esclusivamente dal concorrente che con fredda attesa resta impassibile fino alla fatidica caduta dell'altro, il collasso.

Me lo auguro non come possibile perdente, ma come partecipante consapevole che ogni gioco è simile a un viaggio. Le tappe sono infinite ma, mentre ci passi attraverso, finisci per cambiare per sempre e in maniera inderogabile.
Non si torna indietro da mutazioni importanti.
Come non lo si torna da discorsi troppo avventati.

L'aria calda termina con il sopraggiungere di questo pensiero, esortandomi ad uscire dallo spogliatoio. Afferro le scarpe e le indosso, occupandomi di recuperare, quindi, anche il borsone e il giubbotto.
Pochi secondi dopo sto già salutando la donna alla reception, augurando, dentro di me, a entrambe una tardiva riconciliazione, perché significherebbe non aver più bisogno di una distrazione per stare bene.

Posso solo sperare che sia così ma ogni evento sembra essere sancito da un'inevitabile ripetizioni di abitudini. Sto superando il portone otre la hall quando scopro che quello che mi aspettavo non coincide con la realtà.

Mi arresto l'istante stesso in cui sollevo la testa e trovo la sua figura in disparte, nel gelido nero serale.

Sono ferma con la borsa della piscina in spalla, ad osservarlo mentre i suoi occhi sono lontani. Il cappotto nero che indossa, poi, lo rende parte stessa della notte, andando in opposizione con i capelli ricci dorati.
Ho giusto il tempo di chiedermi il perché sia qui che acquisisco la sua attenzione.

Nessuno dei due emette una parola ed è quasi ridicolo, fissarsi e non dire niente. Non mi è mai capitato con amici e pareti, con amori, e quasi mi trasmette nuovamente disagio.

Solo con le parole riuscirà a trascinarselo via, offrendomi una spiegazione su come sia possibile per lui conoscere l'unico luogo nel quale riesco a scappare.

Mordo l'angolo destro del labbro inferiore mentre sposto il peso da un piede all'altro, presa dal nervosismo, e fortuna vuole che Ethan noti tutti i segnali.

Si allontana dall'ombra e avanza, con insolita lentezza, lasciando le ombre dei parapetti in ferro corrergli lungo il viso.

Quando si arresta, mantiene la distanza di circa un metro per permettere ad entrambi di fissare negli occhi l'altro, senza essere sfavoriti dalla differenza di altezza.

«Ciao» pronuncia nella notte, e di colpo tutta la stanchezza si manifesta nel mio corpo.

«Che cosa ci fai qui?»

La domanda è guidata dalla curiosità, nessuna cattiveria, e spero che questo traspaia anche dal mio tono di voce.

«Sono venuto a cercarti. Lexy mi ha dato una dritta.»

Esiliato dal tuo cieloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora